Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 18 giugno 2018, n.16031/18

La Corte di Cassazione ha chiarito che l’essere
un’organizzazione non lucrativa di utilità sociale
(Onlus) non dimostra necessariamente la natura non imprenditoriale
dell’organizzazione; infatti, laddove l’organizzazione di
tendenza eserciti un’attività strutturata a modo di
impresa, alla stregua dei parametri fissati dall'art. 2082 c.c.,
essa finisce per non essere dissimile da qualunque altro datore di
lavoro, così che un trattamento privilegiato, di esclusione
dell’operatività della tutela reale per i lavoratori in
caso di licenziamento, non sarebbe giustificabile. 

Sentenza 03 dicembre 2009

Stante l’espressa considerazione normativa della possibilità di
svolgimento da parte dell’ente ecclesiastico di attività commerciali
o a scopo di lucro (art. 16 l. n. 222/1985
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=424]e art. 1 d.lgs.
n. 155/2006 [https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=3544]) e
l’osservazione che la disposizione del TUIR ha portata limitata alla
previsione di esenzioni fiscali e non una valenza generale nell’ambito
civilistico (v. Cass. Sez. I 20/06/2000, n. 8374), si deve ritenere
che, ove l’ente ecclesiastico svolga stabilmente attività organizzata
di produzione o scambio di beni e servizi con metodo economico, sia
imprenditore (si v. Cass. Lav. sentenza 5 gennaio 2001, n. 97
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=1402] relativa
all’Istituto Scolastico Beata Maria De Mattias). Ove l’ente
ecclesiastico si faccia imprenditore dovrà, dunque, applicarsi la
relativa disciplina ivi compresa quella fallimentare.

Sentenza 19 giugno 2008, n.16612

La nozione di imprenditore, ai sensi dell’art. 2082 c.c., va intesa in
senso oggettivo, dovendosi riconoscere il carattere imprenditoriale
all’attività economica organizzata che sia ricollegabile ad un dato
“obiettivo” inerente all’attitudine a conseguire la remunerazione dei
fattori produttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di
lucro che riguarda il movente “soggettivo” (Cass. 5766/1994,
16435/2003, e 7725/2004). Tanto premesso, ai fini della la
qualificazione dell’industrialità dell’attività (art. 2195 c.c.,
comma 1), per integrare il fine di lucro è necessaria l’idoneità –
almeno tendenziale – dei ricavi a perseguire il pareggio di bilancio,
nè ad escludere tale finalità è sufficiente la qualità di
congregazione religiosa dell’ente (Cass. G.U. 3353/1994, Cass.
97/2001).

Sentenza 14 marzo 2003, n.12634

Al fine di configurare un’organizzazione di tendenza, che, ai sensi
dell’art. 4 della legge n. 108 del 1990, è esclusa dall’ambito di
operatività della tutela reale prevista – in caso di licenziamenti
illegittimi – dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970 (come
modificato dall’art. 1 della legge n. 108 del 1990), è necessario che
si tratti di datore di lavoro “non imprenditore”, privo dei requisiti
previsti dall’art. 2082 c.c. (e cioè professionalità,
organizzazione, natura economica dell’attività).In particolare,
l’applicazione della disciplina prevista dalla predetta legge n. 108
del 1990 per le organizzazioni di tendenza presuppone l’accertamento
in concreto da parte del giudice di merito dell’assenza nella singola
organizzazione di una struttura imprenditoriale e della presenza dei
requisiti tipici dell’organizzazione di tendenza, come definita dalla
stessa legge all’art. 4. (Nella specie la S.C. ha confermato la
sentenza di merito che aveva ritenuto la natura di organizzazione di
tendenza dell’Associazione nazionale bieticoltori, argomentando dalla
natura della stessa di ente con personalità giuridica privata, senza
finalità di lucro, in quanto avente lo scopo della tutela degli
interessi collettivi professionali della categoria dei coltivatori di
bietole, e priva del carattere imprenditoriale, non svolgendo alcuna
attività economica).

Sentenza 23 aprile 2004, n.7725

L’art. 23 bis del D.L. 30 dicembre 1979 n. 663, convertito in legge 29
febbraio 1980 n. 33, stabilisce che agli istituti, enti, ospedali che
erogano prestazioni del servizio sanitario nazionale, anche in regime
convenzionale, si applica l’art. 7 della legge 11.6.1974 n. 252, il
quale prevede l’esonero dal pagamento dei contributi dovuti alla
Cassa Unica Assegni Familiari, ove detti enti non abbiano fine di
lucro ed assicurino un trattamento per carichi di famiglia non
inferiore a quello previsto per gli assegni familiari dal D.P.R. n.
797/1955. Tale disposizione deve ritenersi operante anche
relativamente agli enti ecclesiastici, quali case di cura gestite da
religiosi. La nozione di imprenditore, ai sensi dell’art. 2082 c.c.,
va intesa in senso oggettivo, dovendosi riconoscere il carattere
imprenditoriale all’attività economica organizzata che sia
ricollegabile ad un dato obiettivo inerente all’attitudine a
conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo
giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro. La decisione del giudice
di merito impugnata, tuttavia, ha privilegiato lo scopo dell’Ente
(citando lo statuto dell’Ente) anziché le caratteristiche
imprenditoriali proprie dell’Istituto di cura, affermando di
conseguenza, in modo logicamente incongruente, che l’attività della
Casa di cura dovesse essere considerata come attività imprenditoriale
priva di fine lucrativo.

Sentenza 27 febbraio 1992, n.1347

Sussiste la finalità di lucro sotto il profilo oggettivo, allorché
una Congregazione religiosa (nella specie: quella delle Suore
Domenicane) gestisce con criteri imprenditoriali una Casa di Cura che
offre un servizio di assistenza sanitaria a chiunque chieda di essere
ricoverato, dietro il pagamento di rette di degenza, annualmente
indicizzate e non comprensive dei costi delle operazioni da
determinarsi, questi ultimi, con i singoli chirurghi. In tale ottica
gestionale, la predetta Congregazione deve essere considerata
“imprenditore” e la clinica da essa gestita va correttamente
inquadrata nella tipologia delle “aziende commerciali”. Con la
conseguenza dell’assoggettamento alla normativa sugli assegni
familiari ex art. 33 L. 797/1955, non ricorrendo nemmeno l’esonero
di cui al D.L. n. 663/79, convertito con la L. n. 33/80.