Una comunità religiosa può svolgere, accanto all’attività
principale di religione o di culto, anche altra attività, meramente
accessoria, ma non sporadica od occasionale di tipo alberghiero,
richiedente pertanto l’impiego di personale per esigenze e necessità
organizzative tipiche di tale tipologie di strutture.
Questa ipotesi si verifica in particolare laddove essa, oltre ad
offrire – in via principale – stabile permanenza ai soggetti
appartenenti alla comunità, consenta anche – in via accessoria –
temporaneo soggiorno ad ospiti laici e religiosi estranei alla
comunità tenuti per l’accoglienza al pagamento di un corrispettivo.
Il fine spirituale o comunque altruistico perseguito dall’ente
religioso non pregiudica, infatti, l’attribuzione del carattere
dell’imprenditorialità dei servizi resi, ove la prestazione sia
oggettivamente organizzata in modo che essa sia resa previo compenso
adeguato al costo del servizio, dato che il requisito dello scopo di
lucro assume rilievo meramente oggettivo ed è quindi collegato alle
modalità dello svolgimento dell’attività (Cass. 31 marzo 2009, n.
7770; Cass. 12 ottobre 1995, n. 10636; Cass. 19 dicembre 1990, n.
12390).
Pertanto, deve essere qualificata come commerciale un’attività di
gestione di una struttura alberghiera da parte di ente assistenziale,
sia pure svolta in modo da non eccedere i costì relativi alla
produzione del servizio, dal momento che, ai fini della valutazione
del carattere imprenditoriale di un’attività economica, organizzata
per la produzione o lo scambio di beni o servizi, rimangono
giuridicamente irrilevanti sia il perseguimento di uno scopo di lucro
– che riguarda il movente soggettivo che induce l’imprenditore ad
esercitare la sua attività (Cass. 29 febbraio 2008; Cass. 34 giugno
1994, n. 5766; Cass. 23 aprile 2004, n. 7725) – sia il fatto che i
proventi della attività siano poi destinati alle iniziative connesse
con gli scopi istituzionali dell’ente (Cass. 17 febbraio 2010, n.
3733). Nelle suddette ipotesi, infatti, il carattere imprenditoriale
dell’attività “collaterale” va escluso soltanto nel caso in cui essa
sia svolta in modo del tutto gratuito, dato che non può essere
considerata imprenditoriale l’erogazione gratuita dei beni o servizi
prodotti (Cass. 14 giugno 1994, n. 5766; Cass. 23 aprile 2004, n.
7725).Di qui, nel caso di specie, posto che le mansioni svolte dal
ricorrente riguardavano precipuamente esigenze proprie della suddetta
attività accessoria (attività di portierato), l’inapplicabilità del
c.c.n.l. per i lavoratori domestici, e la conseguente parametrazione
della retribuzione secondo il c.c.n.l. per i dipendenti delle aziende
alberghiere.