Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 20 gennaio 2010, n.936

Quando siano provati la fonte dell’obbligazione ed il fatto storico
dell’avvenuto adempimento e si controverta soltanto in ordine
all’esattezza di quest’ultimo, spetterà al debitore della
prestazione, quale che ne sia la posizione processuale, provare
l’esattezza dell’adempimento, al fine dell’accoglimento della propria
domanda o eccezione. Tali principi non possono ritenersi inapplicabili
in materia di appalto, le cui disposizioni speciali non derogano alla
regola generale, che governa l’adempimento del contratto con
prestazioni corrispettive, comportante che l’appaltatore che agisca in
giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto ha l’onere di
provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e,
quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto ed alle
regole dell’arte (nel caso di specie, dunque, in cui la parte
attrice – una società incaricata di realizzare un impianto di
sonorizzazione di un santuario – ha agito per ottenere l’adempimento
dell’obbligazione di pagamento e quella convenuta appellante – ente
ecclesiastico – ha opposto la risoluzione del contratto per
inadempimento della sinallagmatica prestazione dovuta dalla
controparte, erroneamente i giudici di appello, in un contesto nel
quale erano incontroverse la sussistenza dell’obbligazione degli
appaltatori e la sola consegna dell’opera, ma controversa l’idoneità
di questa all’uso convenuto, hanno ritenuto la committente gravata
dall’onere di provare la sussistenza dei difetti della stessa, senza
tener conto che la committente aveva rifiutato di adempiere la propria
controprestazione, avvalendosi della facoltà di cui all’art. 1667
u.c. c.c. a seguito dell’esito negativo del collaudo).

Sentenza 31 ottobre 2000, n.5894

La disciplina relativa agli appalti di lavori pubblici è applicabile
anche agli interventi promossi da un ente ecclesiastico con il
finanziamento statale previsto dalla legge 7 agosto 1997, n. 270, in
quanto l’ampia dizione dell’art. 2, secondo comma, lettera c), della
legge 11 febbraio 1994, n. 109 appare idonea a comprendere anche i
manufatti strumentali all’attività culturale, religiosa o di
devozione, purchè destinata a coinvolgere una platea ampia ed
indifferenziata di soggetti. La posizione degli enti ecclesiastici
rispetto agl interventi per il Giubileo del 2000 comporta, inoltre, la
devoluzione al giudice amministrativo della giurisdizione sulle
relative controversie, sia per la funzione propria della normativa di
evidenza pubblica, sia perchè, mediante l’attribuzione di denaro
dello stato, si affida al privato di provvedere ad un compito
pubblico, con la conseguenza che anche il sistema della tutela
processuale deve essere coerente con la disciplina sotanziale della
mataria.

Sentenza 04 giugno 2004, n.3478

In virtù del D.M.LL.PP. 2 giugno 1998, gli enti ecclesiastici
civilmente riconosciuti che fruiscano di finanziamento pubblico
superiore al 50% dell’importo dei lavori, in relazione ad interventi
finanziati nell’ambito del piano relativo al Giubileo del 2000, sono
assimilati ai soggetti di cui all’art. 2, co. 2, lett. c), della
legge n. 109/1994, e vincolati al rispetto delle procedure di evidenza
pubblica nell’affidamento dell’appalto. Tale vincolo al rispetto
delle suddette procedure comporta, pertanto, l’attribuzione delle
relative controversie alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Detto principio trova conferma anche nella disposizione contenuta
nell’art. 6, della legge n. 205/2000, secondo cui sussiste la
giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alle procedure
di affidamento di lavori, servizi, forniture, poste in essere da
soggetti comunque tenuti – in virtù di un vincolo eteronomo, quale,
nel caso di specie, il citato D.M.LL.PP. – al rispetto delle procedure
di evidenza pubblica prescritte dal diritto interno o comunitario. Né
rileva, al riguardo, che la suddetta disposizione normativa sia
successiva rispetto alla data dell’appalto e dell’instaurazione
del giudizio, in quanto, secondo consolidata giurisprudenza, il
disposto dell’art. 5, c.p.c. – secondo cui la giurisdizione si
determina in base alla legge vigente e allo stato di fatto esistente
al momento della proposizione della domanda, con irrilevanza dei
successivi mutamenti – trova applicazione solo nel caso di
sopravvenuta carenza di giurisdizione del giudice originariamente
adito, ma non anche allorché il mutamento dello stato di diritto o di
fatto comporti l’attribuzione della giurisdizione al giudice che ne
era privo inizialmente.