Ammissibilità
Decreto 22 febbraio 2016
Parte della dottrina ha evidenziato la cd. “trascrizione
tardiva” è un istituto tipico del diritto concordatario
(v. art. 8 dell’Accordo del 18.2.1984), e andrebbe più
esattamente definita "trascrizione a richiesta degli sposi",
dal momento che, in questo caso, la trascrizione tempestiva non
è stata impedita da un "vizio" nel normale iter, ma
non è stata voluta per espresso intendimento degli sposi, ai
quali l'ordinamento in questo caso consente comunque, in prosieguo
di tempo, la possibilità di mutare opinione, trascrivendo
"tardivamente" – ma anche in questo caso con effetti
retroattivi – il matrimonio religioso a suo tempo celebrato; nei sensi
sopra ricordati, a parere del Tribunale adito, la trascrizione tardiva
non è applicabile nel caso di matrimoni celebrati con riti
diversi da quello concordatario, trattandosi di uno jus speciale non
esteso alle confessioni religiose diverse dalla cattolica; ciò
nondimeno, esclusa l’ipotesi della trascrizione tardiva –
nei sensi sopra indicati -, è invece ammissibile quella che la
dottrina definisce “trascrizione con effetti ex tunc”,
ossia un procedimento che risponde alla mera esigenza di porre riparo
a vizi o errori in cui sia incorso l’organo preposto nel
procedimento di mera trasmissione. Secondo il giudice adito, nel
silenzio della Legge, certamente esclusa una trascrizione tardiva per
mera volontà degli sposi – nei sensi in cui è ammessa –
dall’Accordo del 1984 per la confessione cattolica –,
è invece ammissibile una trascrizione riparatrice ossia il
porre rimedio a un procedimento di registrazione del matrimonio che,
per mero fatto ostativo non rimproverabile ai nubendi, non si è
validamente perfezionato; ciò a condizione che, al momento
della istanza di trascrizione posticipata, sussistano ancora i
requisiti per accedere all’unione matrimoniale e, soprattutto,
non siano venute meno le condizioni che legittimavano, a suo tempo, il
matrimonio (ad es., lo stato libero di entrambi i nubendi); ciò
anche a condizione che sia provato come, sin dall’inizio,
l’intenzione degli sposi fosse quella di ottenere un matrimonio
con effetti civili (e ciò è provato producendo – nel
caso di specie – la richiesta di nulla osta all’Ufficiale dello
Stato Civile, prima dell’unione).
Sentenza 30 ottobre 1995
Un’interpretazione adeguata del tenore delle disposizioni normative
canoniche (can. 580.2 e can. 582 C.i.c. 1917) consente di ritenere che
la professione religiosa non comporti un vero e proprio trasferimento
di proprietà dei beni dal professo all’ordine di appartenenza, ma
la semplice cessione del possesso e dei redditi. Nel caso della
proprietà intellettuale, questa tesi risulta ancora più persuasiva,
perché in essa vanno distinti; a) un aspetto patrimoniale, costituito
dai proventi derivanti dal suo sfruttamento e percepibili o
personalmente dall’Autore o dal suo avente causa (l’ordine
religioso), sul presupposto che egli li abbia ceduti nel corso della
sua esistenza, adeguandosi ai precetti del diritto canonico; b) un
aspetto di carattere personale, il c.d. diritto morale dell’Autore,
certamente non cedibile. Per tanto, l’ordine religioso non può
ritenersi titolare del diritto di proprietà intellettuale così da
escludere che esso venga ricompreso nell’asse ereditario, e si
trasmetta in capo agli eredi legittimi del religioso, morto ab
intestato.
Sentenza 11 giugno 1993
I precedenti giurisprudenziali relativi alla tutela costituzionale del
libero esercizio della religione fissano il principio che le leggi
devono essere neutrali e di generale applicabilità per evitare
effetti discriminatori, sia pure indiretti, ai danni di qualsiasi
pratica di culto. I caratteri della neutralità e della generale
applicabilità delle leggi possono subire eccezioni solo in forza di
interessi pubblici cogenti allorché tali interessi non possano essere
soddisfatti in altro modo piú congruo. Nel caso di specie il vero
oggetto degli interventi, nonostante la loro apparente neutralità
(facial neutrality), non consiste nella tutela degli interessi alla
sicurezza pubblica ed alla protezione degli animali, perché essi
hanno come scopo effettivo una indebita discriminazione religiosa
(religious gerrymander). Con tali misure, infatti, non vengono puniti
tutti i comportamenti che, realizzando una uccisione di animali
possono violare questi interessi, ma solo le pratiche religiose di un
gruppo determinato, i cui sacrifici rituali pongono, per altro, in
essere una modalità di uccisione degli animali ritenuta in altre
circostanze non contraria a sentimenti umanitari. Le restrizioni
governative colpiscono solo comportamenti protetti dal primo
emendamento e mancano di disporre misure intese a restringere altre
condotte che producono analoghi attentati ai beni protetti; a motivo
di ciò gli interessi addotti per giustificare tali restrizioni non
possono essere considerati cogenti.
Sentenza 13 gennaio 1994, n.93-329
L’articolo 2 della legge relativa alle condizioni per il sostegno di
investimenti degli istituti scolastici privati da parte degli enti
territoriali pone il principio secondo cui tali sovvenzioni possono
essere concesse liberamente a qualsiasi istituto convenzionato e per
ogni grado d’istruzione, senza distinzione fra gli istituti
vincolati da contratto semplice e da contratto d’associazione, col
solo limite di un tetto massimo di contributi e con la possibilità di
assunzione totale in carico degli investimenti agevolati. Una norma
siffatta non garantisce il rispetto del principio di eguaglianza tra
gli stessi istituti privati, potendo dar luogo a differenze di
trattamento non giustificate, e non garantisce altresì un trattamento
paritario degli istituti scolastici pubblici, che, in ragione dei loro
più gravosi servizi ed obblighi, potrebbero risultare meno favoriti
di quelli privati; essa è, per tanto, da dichiarare contraria alla
costituzione.
Sentenza 23 agosto 1994
La libertà d’espressione garantita dall’art. 10 della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo non tollera ingerenze dei pubblici
poteri volte a limitarne l’esercizio, a meno che non si tratti di
misure che possano essere considerate necessarie, in una società
democratica, a garantire, fra l’altro, i diritti dei terzi. Fra i
diritti suddetti è da annoverare quello, garantito a sua volta
dall’art. 9 della Convenzione, alla libertà religiosa, i cui
titolari vanno tutelati da rappresentazioni provocatorie
dell’oggetto delle loro credenze, quando tali rappresentazioni
superano palesemente il limite dello spirito di tolleranza, che
caratterizza anch’esso una società democratica. é legittimo
ricorrere a strumenti di tutela dalle critiche gratuite alle credenze
altrui quando tali critiche non contribuiscono in forma alcuna ad un
pubblico dibattito capace di favorire il progresso della civiltà
umana. La valutazione della necessità e congruità dei detti
strumenti di tutela è rimessa, con qualche margine di apprezzamento,
alla discrezionalità delle autorità nazionali, che sono legittimate
a disporre il sequestro e la confisca di una produzione
cinematografica blasfema, nel caso in cui – come nella fattispecie in
esame, considerata la stragrande maggioranza cattolica della
popolazione – la proiezione del film possa essere interpretata quale
ingiustificato ed offensivo attacco ai sentimenti popolari, e possa
quindi recare turbamento alla pace religiosa della collettività.
Sentenza 25 maggio 1993
La libertà di manifestare la propria religione (art. 9 punto 2 della
Convenzione dei diritti dell’uomo) può essere oggetto di
restrizioni solo nei limiti in cui esse si rivelino necessarie in una
società democratica o garantiscano la protezione dei diritti e delle
libertà altrui. La repressione penale del proselitismo religioso
costituisce una restrizione della libertà di manifestare la propria
religione che non può giustificarsi ai sensi dell’art. 9 punto 2
della Convenzione dei diritti dell’uomo.
Sentenza 09 giugno 1993, n.419
La facoltà del Ministro dei beni culturali ed ambientali di ordinare
la ricollocazione in pristino di beni di pertinenza di enti
ecclesiastici, soggetti, a norma dell’art. 4 L. 1 giugno 1939, n.
1089, ai poteri di tutela e sanzionatori dell’Amministrazione dei
beni culturali, si concreta in una potestà autorizzativa, a fronte
della quale il destinatario del provvedimento può vantare solo un
mero interesse legittimo, almeno fino a quando non si sia accertato
che, trattandosi di beni di proprietà privata, tale potere può
essere legittimamente esercitato soltanto dopo l’imposizione
espressa del vincolo a norma dell’art. 3 legge n. 1089 del 1939;
pertanto, la condizione proprietaria delle sculture va accertata
incidentalmente, in quanto attinente ad uno dei presupposti di
legittimità del decreto impugnato.
Parere 17 marzo 1993, n.233
Non vi sono ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza di
modifica della denominazione e dello statuto di un ente già
riconosciuto ai fini civili come istituzione religiosa di diritto
pontificio in un ente di diritto diocesano, sempre che l’ente
presenti i requisiti di cui all’art. 6 della legge n. 222 del 1985.
Parere 24 febbraio 1993, n.104
É possibile accordare l’autorizzazione all’acquisto di un bene
legato, anche quando sia oggetto di un contratto preliminare di
vendita, qualora non sia intervenuta la revoca dello stesso legato
procedendo all’alienazione del bene ex art. 686 c.c.