Sentenza 26 giugno 1997
Alla luce delle tradizioni e delle pratiche legali della nazione
americana l’asserito “diritto” all’assistenza al suicidio non è una
libertà fondamentale protetta dal Due Process Clause anche se si
tratta di malati terminali adulti capaci di intendere e di volere.
Tale preteso “diritto” non è equiparabile al rifiuto degli interventi
curativi necessari a mantenere in vita un malato. In quest’ultimo caso
è dato riscontrare un diritto costituzionalmente protetto, che non si
fonda su di un astratto ed indefinito concetto di autonomia personale
ma sulla storia e le tradizioni legali della nazione secondo cui ogni
trattamento medico imposto è una violazione della libertà personale.
La circostanza che i diritti e le libertà tutelati dal Due Process
Clause trovino il loro fondamento nell’autonomia personale, non
comporta che tutte le singole rilevanti, intime e personali decisioni
siano costituzionalmente protette. Il divieto penale di assistenza al
suicidio è razionalmente giustificato, da un punto di vista
costituzionale, per la ricorrenza di legittimi interessi generali e
quindi non può essere considerato in contrasto con la clausola del
Due Process contenuta nel quattordicesimo emendamento.