Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 02 settembre 2005, n.17710

Costituisce violazione del dovere di assistenza morale e materiale
sancito dall’art. 143, comma 2, c.c., oltre che del dovere di
collaborazione nell’interesse della famiglia, tale da giustificare la
pronuncia di addebito della separazione, la condotta del coniuge che
si traduca in fatti di violenza nei confronti dell’altro coniuge ed in
forme di persecuzione morale. In particolare, al fine
dell’addebitabilità della separazione, il comportamento di un
coniuge, rivolto ad imporre i propri particolari principi e la propria
particolare mentalità, può assumere rilevanza solo se si traduca in
violazione dei doveri discendenti dal matrimonio, o comunque sia
inconciliabile con i doveri medesimi, atteso che, in caso contrario, e
per quanto detti principi o mentalità siano criticabili, si resta
nell’ambito delle peculiarità caratteriali, le quali valgono a
spiegare le difficoltà del rapporto, ed eventualmente l’errore
originariamente commesso nella reciproca scelta, ma non integrano
situazioni d’imputabilità della crisi, nel senso previsto dall’art.
151, secondo comma, c.c. Ciò premesso, occorre sottolineare che il
dovere che entrambi i coniugi hanno di mantenere, istruire ed educare
la prole, sancito dall’art. 147 c.c., non impone obblighi soltanto nei
confronti dei figli, ancorché costoro siano ovviamente i primi
beneficiari del dovere stabilito dal legislatore a carico dei coniugi.
L’art. 144 stabilisce, infatti, l’obbligo per i coniugi di concordare
tra di loro l’indirizzo della vita familiare, sì che le scelte
educative e gli interventi diretti a risolvere i problemi dei figli
non possono che essere adottati d’intesa tra i coniugi. Un
atteggiamento unilaterale, sordo alle valutazioni ad alle richieste
dell’altro coniuge, a tratti violento ed eccessivamente rigido, può
tradursi, oltre che in una violazione degli obblighi del genitore nei
confronti dei figli, anche nella violazione dell’obbligo nei confronti
dell’altro coniuge di concordare l’indirizzo della vita familiare e,
in quanto fonte di angoscia e dolore per l’altro coniuge, nella
violazione del dovere di assistenza morale e materiale sancito
dall’art. 143 c.c. Ove tale condotta si protragga e persista nel
tempo, aprendo una frattura tra un coniuge e i figli ed obbligando
l’altro coniuge a schierarsi a difesa di costoro, essa può divenire
fonte d’intollerabilità della convivenza e rappresentare, in quanto
contraria ai doveri che derivano dal matrimonio sia nei confronti del
coniuge che dei figli in quanto tali, causa di addebito della
separazione ai sensi dell’art. 151, comma 2, c.c.

Sentenza 05 febbraio 1997

La professione di una fede religiosa non condivisa o apprezzata dal
coniuge, non puo`, di per se´, costituire motivo di addebito della
separazione, non potendosi in alcun modo rimproverare ad un soggetto
di esercitare un diritto costituzionalmente garantito, quale quello di
libertà religiosa. Tuttavia, quando la professione di un determinato
credo – nel caso di specie quello dettato dal movimento Lubavitch –
comporti, per l’aspetto particolarmente totalizzante, integralista e
di intransigenza assunto dal singolo adepto, il venir meno a
fondamentali doveri nell’ambito del rapporto con il coniuge e sia,
soprattutto, tale da influire negativamente sull’educazione della
prole, tale comportamento non puo` non assumere rilevanza ai sensi e
per gli effetti dell’art. 151 c.c., con conseguente addebito del
relativo provvedimento di separazione.

Sentenza 12 luglio 1995, n.427

L’adozione o ancor piú il proseguimento, da parte di una persona,
di una fede religiosa diversa da quella professata dal coniuge e da
quest’ultimo non condivisa né apprezzata, non può costituire di
per sé motivo di addebito della separazione, non potendosi in alcun
modo rimproverare ad un soggetto di esercitare un suo diritto
costituzionale, nonostante l’inevitabile incidenza sull’armonia
del ménage familiare. L’appartenenza di un genitore ad una
religione (nella specie: dei Testimoni di Geova) diversa da quella
cattolica professata dall’altro coniuge, non può costituire fattore
di discriminazione nella scelta del genitore affidatario, ma solo
elemento di valutazione nella prospettiva di garantire al minore un
equilibrato sviluppo. Peraltro, atteso il carattere tendenzialmente
segregativo e totalizzante del modello comportamentale geovista, il
giudice può inibire al genitore la partecipazione del minore alle
riunioni del gruppo religioso e l’assistenza a quelle che si
svolgano eventualmente in casa, almeno fino a quando costui non appaia
così condizionabile e impressionabile in ragione della sua età.