Sentenza 26 marzo 2002, n.15178
Non è considerato necessario, per la sussistenza del reato di
ingiuria e diffamazione, il c.d. “animus iniuriandi vel diffamandi”,
essendo invece sufficiente, come notato dal ricorrente, il dolo
generico (che, è stato affermato, può assumere la forma anche del
dolo eventuale). È dunque bastevole che vengano usate consapevolmente
espressioni il cui valore, socialmente diffuso, sia obiettivamente
offensivo, espressioni, insomma, adoperate in base al significato che
esse vengono ad assumere presso la stragrande maggioranza dei
consociati. Va da sè che, quando si accusi taluno di comportamenti
penalmente sanzionati, la offesa è innegabile, in quanto il disvalore
della azione cui si riferisce l’espressione è, non solo socialmente
condiviso, ma giuridicamente stabilito. Nè la qualità o lo status
colui che adopera la espressione ingiuriosa può assumere rilievo
discriminante, a meno che tale potere “pedagogico” (che comunque deve
essere esercitato entro i limiti della continenza) gli sia
riconosciuto dal destinatario o dal l’ordinamento.