Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 27 aprile 1994

Il suono delle campane di una chiesa in orario diurno e per intervalli
di tempo ragionevolmente brevi non rientra nella previsione del
D.P.C.M. 1 marzo 1991, applicandosi tale decreto solo ai rumori, cioè
ai fenomeni acustici casuali, sgradevoli, fastidiosi, non musicali.
Pertanto, mancando, altresì, nella fattispecie l’attitudine a
produrre disturbo nei soggetti di media sensibilità, non sussistono
né il reato di cui all’art. 659 c.p., né conseguenzialmente il
reato di cui all’art. 650 c.p. essendo l’ordinanza sindacale
viziata da violazione di legge.

Sentenza 18 ottobre 1993

L’esercizio del diritto di critica e di quello di satira costituisce
estrinsecazione tipica ed essenziale della libertà di manifestazione
del pensiero e quindi può estendersi, in un ordinamento ispirato ai
principi del laicismo, anche ai fatti, ai simboli, alle cose e alle
persone pertinenti alla religione; l’unico limite frapposto dalla
legge penale alla libera manifestazione del pensiero anche in campo
religioso è quello del vilipendio, da intendersi, nell’accezione
comune e, altresì, in quella tecnico-giuridica, come ostentazione di
disprezzo, manifestazione di biasimo, espressione di apprezzamento
negativi implicanti disdegno e disistima generalizzati, alla stregua
di canoni assiologici universali o, comunque, non circoscritti a
determinate dottrine o ideologie; offesa alla religione può pertanto
aversi solo ove siano spregiativamente chiamati in causa i valori
etico-spirituali e le credenze fondamentali della religione medesima,
nel loro complesso o in parti essenziali e qualificanti (nella specie,
la corte ha ritenuto non offensivo ai sensi dell’art. 403, 2º
comma, c.p. il riferimento agli istinti sessuali del sommo pontefice
contenuto in una vignetta manifestamente ispirata a registri
umoristici e ad un chiaro gusto bozzettistico, trattandosi di
espressione satirica priva di qualsiasi valenza ideologica e di ogni
carica lesiva nei confronti dei capisaldi o dell’intima sostanza
della fede cattolica.

Ordinanza 23 maggio 2002, n.213

È manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3 e 8 cost., la
q.l.c. dell’art. 404 c.p., il quale, sanzionando esclusivamente le
offese commesse ai danni della religione cattolica, porrebbe
quest’ultima su un piano diverso e privilegiato di tutela rispetto
alle religioni diverse da quella cattolica, in quanto il rimettente
muove da una premessa interpretativa che è contraddetta dall’art. 406
c.p., che considera punibili gli stessi fatti, se commessi ai danni di
confessioni religiose diverse da quella cattolica.

Ordinanza 26 febbraio 2002, n.34

È manifestamente inammissibile la q.l.c. dell’art. 402 c.p. – che
punisce con la reclusione fino a un anno “chiunque pubblicamente
vilipende la religione dello Stato”, accordando una tutela
privilegiata alla sola religione cattolica – in quanto la disposizione
censurata è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, per
violazione degli art. 3 e 8 cost., con la sent. n. 508 del 2000,
successiva all’ordinanza di rimessione.

Legge 08 marzo 1989, n.101

Legge 8 marzo 1989, n. 101: "Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l’Unione delle Comunità ebraiche italiane". (Da Supplemento Ordinario alla "Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana" n. 69 del 23 marzo 1989) Art. 1. – 1. I rapporti tra lo Stato e l’Unione delle Comunità israelitiche italiane, la quale, ai sensi […]

Sentenza 01 luglio 2002, n.327

E’ costituzionalmente illegittimo l’articolo 405 del codice penale,
nella parte in cui, per i fatti di turbamento di funzioni religiose
del culto cattolico, prevede pene più gravi, anziché le pene
diminuite stabilite dall’articolo 406 del codice penale, per gli
stessi fatti commessi contro gli altri culti. Il principio
fondamentale di laicità dello Stato, che implica equidistanza e
imparzialità verso tutte le confessioni, non potrebbe infatti
tollerare che il comportamento di chi impedisca o turbi l’esercizio
delle funzioni, cerimonie o pratiche religiose di culti diversi da
quello cattolico, sia ritenuto meno grave, e quindi assoggettato a
più lieve trattamento sanzionatorio, rispetto al comportamento di chi
compia i medesimi fatti ai danni del culto cattolico.

Sentenza 13 novembre 2000, n.508

E’ costituzionalmente illegittimo l’art. 402 del codice penale che
punisce con la reclusione fino a un anno “chiunque pubblicamente
vilipende la religione di Stato”, accordando una tutela privilegiata
alla sola religione cattolica, ritenuta fattore di unita’ morale della
Nazione e assunta a elemento costitutivo della compagine statale. Non
e’ infatti conforme ai principi fondamentali di uguaglianza di tutti i
cittadini senza distinzione di religione (art. 3 della Costituzione) e
di uguale liberta’ davanti alla legge di tutte le confessioni
religiose (art. 8 della Costituzione), nonche’ al “principio supremo”
di laicita’, che caratterizza in senso pluralistico la forma del
nostro Stato, l’atteggiamento di quest’ultimo non equidistante e
imparziale nei confronti di tutte le confessioni religiose e la
mancanza di parita’ nella protezione della coscienza di ciascuna
persona che si riconosce in una fede, quale che sia la confessione di
appartenenza.

Sentenza 10 novembre 1997, n.329

E’ costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3, comma
1, e 8, comma 1, Cost., l’art. 404, comma 1, cod. pen., nella parte in
cui prevede la pena della reclusione da uno a tre anni, anziche’ la
pena diminuita prevista dall’art. 406 cod. pen., sia perche’, nella
visione costituzionale attuale, la ‘ratio’ differenziatrice – che
ispiro’ il legislatore del 1930 con il riconoscimento alla Chiesa e
alle religioni cattoliche di un valore politico, quale fattore di
unita’ morale della nazione – non vale piu’ oggi, quando la
Costituzione esclude che la religione possa considerarsi
strumentalmente rispetto alle finalita’ dello Stato e viceversa; sia
perche’, in attuazione del principio costituzionale della laicita’ e
non confessionalita’ dello Stato – che non significa indifferenza di
fronte all’esperienza religiosa, ma comporta equidistanza e
imparzialita’ della legislazione rispetto a tutte le confessioni
religiose – la protezione del sentimento religioso e’ venuta ad
assumere il significato di un corollario del diritto costituzionale di
liberta’ di religione, corollario che, naturalmente, deve abbracciare
allo stesso modo l’esperienza religiosa di tutti coloro che la vivono,
nella sua dimensione individuale e comunitaria, indipendentemente dai
diversi contenuti di fede delle diverse confessioni; sia, infine,
perche’ il richiamo alla cosiddetta coscienza sociale – quale criterio
di giustificazione di differenze fra confessioni religiose operate
dalla legge – se puo’ valere come argomento di apprezzamento delle
scelte del legislatore sotto il profilo della loro ragionevolezza, e’
viceversa vietato laddove la Costituzione, nell’art. 3, comma 1,
stabilisce espressamente il divieto di discipline differenziate in
base a determinati elementi distintivi, tra i quali sta per l’appunto
la religione, e cioe’ che la protezione del sentimento religioso,
quale aspetto del diritto costituzionale di liberta’ religiosa, non e’
divisibile.

Sentenza 18 ottobre 1995, n.440

É costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 3 e 8,
primo comma, Cost., l’art. 724, primo comma, del codice penale – che
punisce con un’ammenda chiunque pubblicamente bestemmi, con invettive
o parole oltraggiose, contro la Divinità o i Simboli o le Persone
venerati nella religione dello Stato – , limitatamente alle parole: “o
i Simboli o le Persone venerati nella religione dello Stato”, in
quanto differenzia la tutela penale del sentimento religioso
individuale a seconda della fede professata. Infatti, mentre la
bestemmia contro la Divinità può considerarsi punita
indipendentemente dalla riconducibilità della Divinità stessa a
questa o a quella religione, di guisa che, già ora, risultano
protetti dalle invettive e dalle espressioni oltraggiose tutti i
credenti e tutte le fedi religiose, senza distinzioni o
discriminazioni, la bestemmia contro i Simboli o le Persone venerati,
di cui alla seconda parte della disposizione, si riferisce
testualmente soltanto alla “religione dello Stato”, e cioè alla
religione cattolica. Alla riconosciuta violazione del principio di
eguaglianza, in presenza del divieto di decisioni additive, in materia
penale, che preclude alla Corte l’estensione della norma alle fedi
religiose escluse, consegue il suo annullamento per difetto di
generalità.

Sentenza 08 luglio 1988, n.925

Riguardo al reato di bestemmia, l’espressione “religione dello Stato”,
di cui all’art. 724 cod. pen., ha un significato non corrispondente a
quello originario, ma pur sempre sufficientemente determinabile, e,
cioè, quello – riconosciuto anche dalla Cassazione – di “religione
cattolica”, atteso che quest’ultima era la religione dello Stato
secondo la qualificazione definitivamente superata con l’entrata in
vigore della legge n. 121 del 1985, di ratifica ed esecuzione
dell’Accordo di modificazioni al Concordato Lateranense e del relativo
Protocollo addizionale. (Non fondatezza, nei sensi di cui in
motivazione, della questione di legittimità costituzionale dell’art.
724 cod. pen. , in riferimento al principio di legalità ‘ex’ art. 25,
comma secondo, Cost.).