Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 19 febbraio 2009

Il porto del pugnale kirpan costituisce un segno distintivo di
adesione ad una regola religiosa e, quindi, una modalità di
espressione della fede religiosa Sikh, garantita dall’art. 19 Cost.
oltre che da plurimi atti internazionali, perciò non costituisce
reato.
Nella fattispecie il Tribunale di Cremona ha assolto un indiano sikh
dal reato di porto ingiustificato di armi od oggetti atti ad offendere
(art. 4 l. 18 aprile 1975 n. 110) per avere portato con sé fuori
dalla propria abitazione un pugnale kirpan della lunghezza complessiva
di 17 cm (di cui 10 di lama), calzato in un fodero. L’indiano era
stato fermato dalle forze dell’ordine mentre si trovava
all’interno di un centro commerciale, vestito con una tunica bianca
e con un turbante. Una volta fermato, aveva subito giustificato il
porto del pugnale kirpan affermandone la natura di simbolo religioso:
una circostanza ha trovato riscontro durante il processo, dove è
risultato provato, anche grazie a un certificato del Consolato
generale dell’India, che per i sikh il kirpan è simbolo della
resistenza al male e che deve essere sempre portato in modo visibile.

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Un’annotazione dell’ordinanza, da parte di Gian Luigi Gatta, è
stata pubblicata ne Il Corriere del Merito (Ipsoa ed.), 2009, n. 4, p.
399 s., all’interno della rubrica ‘Osservatorio di diritto e
processo penale’.

Ordinanza 26 febbraio 2009

Un’ordinanza del G.i.p. di Milano, pronunciata nel corso di un
processo per terrorismo internazionale, ha affermato che qualora un
imputato islamico indossi all’interno dell’aula del tribunale un
tradizionale copricapo, il giudice può invitarlo a toglierlo, atteso
che per consolidata prassi istituzionale nessuno può presenziare in
udienza a capo coperto, ad eccezione delle Forze dell’Ordine adibite
alla sicurezza dell’udienza. Non sarebbe ravvisabile alcuna
violazione del diritto di difesa se poi, come è avvenuto nel caso di
specie, dopo aver dichiarato che il copricapo è un simbolo religioso
l’imputato rifiuta l’invito del giudice e, pur di non togliersi il
copricapo, rinuncia a partecipare all’udienza senza essere
allontanato coattivamente.

L’ordinanza non dà conto e non affronta il problema, cruciale,
della rilevanza del motivo religioso fatto valere dall’imputato
(tunisino) che, invitato dal giudice a togliersi il copricapo avrebbe
risposto: “è un simbolo religioso, anche tu giudice porti la
croce” (lo si apprende dalla stampa: cfr. l’articolo Via quel
turbante. Islamico si ribella al giudice. E’ un simbolo religioso,
non me lo levo, ne La Repubblica del 27 febbraio 2009, p. 17). Il
G.i.p., senza considerare il diritto dell’imputato a professare
liberamente la propria fede religiosa, ha giustificato l’ordine di
togliere il copricapo all’interno dell’aula del tribunale sulla
base dei poteri di disciplina dell’udienza attribuitigli dall’art.
470 c.p.p. a tutela del decoro e del rispetto dell’Autorità
Giudiziaria: prassi istituzionale vorrebbe che nessuno presenzi in
udienza a capo coperto, ad eccezione delle forze dell’ordine adibite
alla sicurezza dell’udienza. Con buona pace della libertà di
professare la propria fede religiosa.

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Un’annotazione dell’ordinanza, da parte di Gian Luigi Gatta,
Ricercatore di Diritto Penale nell’Università degli Studi di
Milano, è stata pubblicata ne Il Corriere del Merito (Ipsoa ed.),
2009, n. 4, p. 403 s., all’interno della rubrica ‘Osservatorio di
diritto e processo penale’.

Sentenza 04 dicembre 2008

L’espulsione da una scuola superiore pubblica di una studentessa
musulmana che durante le lezioni di educazione fisica si era rifiutata
di togliersi il velo non è in contrasto con il diritto di libertà
religiosa. In una società democratica ove coesistono molteplici
comunità religiose, può rivelarsi necessario limitare la libertà di
religione di alcuni gruppi al fine di conciliare gli interessi dei
vari orientamenti religiosi. Nel caso di specie, inoltre, la
restrizione della libertà di religione non era dettata esclusivamente
da motivi di sicurezza e di salute, ma anche dallo scopo di preservare
la neutralità e la laicità dell’ambiente scolastico pubblico. A tal
proposito, la Corte ricorda che in Francia il principio di laicità è
uno dei principi fondamentali e che la Corte deve lasciare un cospicuo
margine d’apprezzamento alle autorità statali in materia di relazioni
tra Stato e confessioni religiose. (cfr. anche CORTE EUROPEA DEI
DIRITTI DELL’UOMO, Sentenza 4 dicembre 2008, Kervanci c. France
[https://www.olir.it/ricerca/index.php?Form_Document=4926]).

Decisione 13 novembre 2008

Il diritto di libertà religiosa non è una libertà assoluta, tale da
consentire a ogni persona qualsiasi comportamento motivato dal proprio
credo. Le limitazioni all’esercizio della libertà di religione,
garantita dall’art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo,
sono giustificate se necessarie per motivi di sicurezza e
dell’ordine pubblico, della salute o della morale pubblica o per la
protezione dei diritti e della libertà altrui. Nel caso di specie, la
norma francese relativa alle foto sulle patenti di guida, che devono
ritrarre le persone a capo scoperto, non costituisce un’illegittima
restrizione della libertà religiosa di un Sikh, che aveva richiesto
di essere fotografato indossando il tradizionale turbante. Lo Stato,
infatti, può imporre misure idonee a garantire la sicurezza pubblica
e a mettere in atto controlli stradali nei quali è necessaria la
perfetta identificazione del conducente. (cfr. Conseil d’Etat,
Ordonnance 6 mars 2006, n. 289947
[https://www.olir.it/ricerca/index.php?Form_Document=3739])

Sentenza 04 marzo 2008

Rimuovere il velo, al fine di sottoporsi ad un controllo
d’identità, costituisce una restrizione ai sensi del secondo
paragrafo dell’articolo 9 CEDU. Occorre perciò stabilire se tale
ingerenza sia “necessaria in una società democratica” per
raggiungere tali finalità. Nel caso in esame, la Corte ha ritenuto,
in relazione ai controlli di sicurezza imposti per l’accesso a
locali consolari, la rimozione temporanea del velo come una misura
necessaria per la sicurezza pubblica. Inoltre, quanto alla proposta
della ricorrente di rimuovere il velo unicamente in presenza di una
donna, la Corte ha affermato che il mancato conferimento dell’incarico
di identificazione ad un agente di sesso femminile da parte delle
autorità consolari non oltrepassasse il margine di discrezionalità
dello Stato in materia. La Corte ha ritenuto, pertanto, che la
ricorrente non avesse subito alcuna restrizione sproporzionata
nell’esercizio del suo diritto alla libertà di religione.

Sentenza 20 novembre 2008

L’obbligo di indossare una divisa, senza mostrare oggetti di
gioielleria né simboli religiosi, non costituisce una discriminazione
nei confronti di una dipendente che intenda indossare un crocifisso.
La ricorrente, hostess di British Airways, lamentava in particolare di
aver subito una discriminazione indiretta, poiché il divieto di
mostrare gioielli e simboli sulla divisa, applicato indistintamente a
tutti, le causava una situazione di svantaggio, impedendole di
indossare il crocifisso, mentre agli appartenenti ad altre religioni
era permesso l’uso di indumenti religiosi. In base all'”Employment
Equality Regulations (Religion or Belief) 2003″ una discriminazione
indiretta è dimostrata quando uno svantaggio sussiste non solo per il
ricorrente, ma anche per il gruppo confessionale di appartenenza. Nel
caso di specie, il regolamento aziendale sulle divise non causa un
“disparate impact” per tutti i dipendenti cristiani della British
Airways, ma solo uno svantaggio per la ricorrente: infatti, a
differenza dei simboli religiosi che debbono essere indossati
obbligatoriamente in base ai precetti confessionali, portare un
crocifisso non rappresenta un obbligo per tutti i cristiani, ma è
solo un’espressione personale del credo della ricorrente.

Sentenza 14 novembre 2008, n.288/2008

Viola i diritti fondamentali riconosciuti dagli artt. 14 (uguaglianza)
e 16.1 (libertà religiosa) la scelta di un Consiglio scolastico di
una scuola pubblica di mantenere nelle aule e negli altri locali
l’esposizione di crocifissi. Gli stessi vanno quindi rimossi poichè,
al di là della loro valenza storico-culturale, continuano ad avere un
chiaro significato religioso. La loro presenza all’interno di istituto
scolastico pubblico destinato all’insegnamento di base gratuito per i
minori in piena fase di sviluppo della loro capacità intellettiva,
può ingenerare in essi la convizione che lo Stato sia più vicino
alla confessione religiosa di cui tali simboli siano espressione.

Sentenza 16 marzo 2001

Le refus de l’employeur en raison des conséquences sur le
fonctionnement de son entreprise, du comportement d’une vendeuse dont
la tête, le cou et une partie du visage étaient dissimulés par un
foulard, est justifié (ex art. 120-2 code du travail) par la nature
de la tâche à accomplir qui impose la neutralité ou à défaut la
discrétion dans l’expression des options personnelles face un large
public ayant des convictions variées. La restriction à la liberté
individuelle de la salariée, dans l’intérêt de l’entreprise,
limitée au seul foulard porté de façon ostentatoire ne constituant
pas une faute dans l’exercice du pouvoir de direction, est légitime.
Dans ces circonstances, le refus de la salariée de renoncer à une
coiffe selon des modalités en réalité non nécessaires au respect
de ses croyances, constitue une cause réelle et sérieuse de
licenciement.

Sentenza 07 dicembre 2005, n.264464

Le port du voile ou du foulard, par lequel les femmes de confession
musulmane peuvent entendre manifester leurs convictions religieuses,
peut faire l’objet de restrictions notamment dans l’intérêt de
l’ordre public. En conséquence, le retrait temporaire du voile ou du
foulard peut être exigé à l’entrée d’un consulat pour des motifs
de sécurité.