_Regno Unito_
Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland) nasce con l'Atto di Unione del 1800 che unì il Regno di Gran Bretagna (nato con l'Act of Union del 1707) e il Regno d'Irlanda. Gran parte dell'Irlanda si separò poi nel 1922 costituendo lo Stato Libero d'Irlanda (l'attuale Repubblica d'Irlanda).
I secoli XIX e XX rappresentano le epoche cruciali per la definizione ed il consolidamento dell'assetto dei rapporti tra Stato e Chiese nelle varie nazioni del Regno Unito, le quali coerentemente con la loro varietà ed eterogeneità sociale e culturale, hanno rivendicato la loro specificità anche, e soprattutto, in materia religiosa e istituzionale. I sistemi "ecclesiastici" vigenti nelle nazioni del Regno Unito, quindi, si differenziano tra loro, in special modo rispetto alla questione delle relazioni tra Stati e Chiesa di Inghilterra. Si possono riscontrare, così, dei sistemi di relazioni ecclesiastiche riconducibili ancora all'assetto creato all'indomani della riforma anglicana ad opera di Enrico VIII (es. Established Church of England) e dei sistemi segnati, invece, dall'evoluzione del fenomeno del disestablishment che ha eliminato il ruolo privilegiato della Chiesa di Inghilterra, instaurando un sistema di rapporti che considera le chiese mere associazioni di diritto privato.
L'aspetto interessante del contesto del Regno Unito è che, nonostante la varietà e la molteplicità dei sistemi di relazioni ecclesiastiche, esso è caratterizzato da un crescente pluralismo religioso che impone scelte di politica sociale attente all'attuazione, da un lato, del principio di uguaglianza e, dall'altro, del diritto alla diversità in ambito religioso. Il fenomeno della secolarizzazione è entrato nel Regno Unito in modo del tutto peculiare: esso non ha inciso sugli assetti istituzionali del Paese e non ha determinato una espulsione del "religioso" dalla sfera pubblica, anzi ha contribuito ad una valorizzazione sotto il profilo normativo e culturale delle molteplicità di opzioni religiose presenti di fatto nella società anglosassone. In questo contesto di progressiva presa di coscienza della complessità religiosa della nazione, la Church of England ha svolto e svolge un ruolo determinante nella promozione di tutte le istanze religiose – indipendentemente dall'appartenenza confessionale – presso le istituzioni politiche, divenendo così spesso il tramite fondamentale del dialogo tra Stato e confessioni religiose.
I dati sulla composizione religiosa di Inghilterra e Galles sono contenuti nel rapporto pubblicato nel 2011 dall'Office for National Statistics.
(Anna Gianfreda)
Approfondimenti e fonti
Stato e Chiesa in Inghilterra
Il tratto più caratteristico dell'assetto ecclesiastico britannico è il ruolo riconosciuto alla Chiesa anglicana, la quale come dispone il Canone A1 della Church of England: " […] is "established according to the laws of the realm under the Queen's Majesty, […]".
Nonostante la difficoltà, rilevata dalla dottrina inglese più autorevole, di costruire una univoca e certa definizione di Establishment, ciò che qualifica tale sistema di rapporti è la stretta correlazione, se non identificazione, tra Chiesa anglicana e Regno di Inghilterra. La legge della Church of England è parte integrante della legge di Inghilterra. Lucida la spiegazione del giudice Uthwatt nel caso Attorney General v Dean and Chapter of Ripon Cathedral [1945]: "The law is one, but jurisdiction as to its enforcement is divided between the ecclesiastical courts and the temporal courts".
Il monarca è il supremo capo della Church of England. Per effetto dell'Act of Settlement 1700 i sovrani devono professare la religione protestante "in comunione con la established Church of England"; in seguito al Bill of Rights 1688 gli eredi cattolici e le loro spose sono esclusi dalla successione al trono. Le measures emanate dal General Synod della Chiesa anglicana devono essere approvate dal parlamento. Gli stessi canoni della Chiesa di Inghilterra, poi, pur non necessitando dell'approvazione del Parlamento, hanno bisogno dell'assenso reale (royal assent) per avere valore giuridico nell'ordinamento britannico. Accanto alle competenze legislative, la più tradizionale prerogativa del potere secolare sulla Chiesa di Stato è rintracciabile nel potere di veto dell'autorità regia sulla nomina dei vescovi, così come previsto dall'Ecclesiastical Licences Act 1533, ancora oggi in vigore. Gli arcivescovi e i vescovi della Chiesa di Inghilterra, pertanto, sono nominati dalla Corona, su indicazione del primo ministro.
Il sistema dei tribunali della Church of England è strettamente connesso a quello statuale, soprattutto a seguito del fatto che la legge ecclesiastica (ecclesiastical law) amministrata nei tribunali della Chiesa è parte dell'ordinamento britannico.
Se, come è stato affermato, "la relazione tra lo Stato e la religione negli Stati moderni secolarizzati è regolata da due principi: la separazione tra Stato e Chiesa e la libertà di religione", nel Regno Unito trova spazio solo il principio della libertà di religione, in quanto non esiste separazione tra Stato e religione.
Da un lato, infatti, la libertà religiosa è un elemento essenziale della vita nella società britannica contemporanea. L'approvazione nel 1998 dello Human Rights Act ha confermato, infatti, la completa adesione della Gran Bretagna al modello europeo di promozione, garanzia e salvaguardia della libertà religiosa. Gli individui godono della libertà di culto e i fedeli dei vari gruppi religiosi possono costruire, gestire e registrare i loro edifici di culto, possono liberamente celebrare le loro festività religiose e praticare il culto anche nei luoghi di detenzione. Paradossalmente l'unico soggetto che non può liberamente cambiare la sua religione è il monarca che, in quanto "supremo governatore" della established Church of England, deve essere in comunione con essa garantendo la successione protestante al trono. Dall'altro lato, la Church of England è una istituzione a tutti gli effetti di "diritto pubblico", mentre le altre religioni "non established" sono considerate mere associazioni di diritto privato. "È solo nel quadro dell'Established Church che i ministri della Chiesa sono ‘pubblici ufficiali' dello Stato; che gli organi di governo della Chiesa sono anche organi governativi dello Stato; e che i giudici della Chiesa appartengono tanto quanto i giudici dello Stato alla giurisdizione ‘secolare". Per altro verso, "È solo l'Established Church che deve riconoscere gli organi dello Stato come appartenenti all'apparato ecclesiastico; che può far applicare le sue leggi nei tribunali statali; e che considera il sovrano quale effettiva suprema autorità nella regolamentazione dei suoi affari".
Fonti
Submission of the Clergy Act 1533, c. 19 (25 Hen 8)
The Appointment of Bishops Act 1533, c. 20 (25 Hen 8)
Act of Supremacy, 1558 s. 36 (1 Eliz. c. 1)
Places of Worship Registration Act 1855, c. 81 (18 and 19 Vict)
Ecclesiastical Courts Jurisdiction Act 1860, c. 32 (23 and 24 Vict)
Stato e Chiesa in Galles
La legge del 1914 modificò i rapporti tra Chiesa e Stato: le risorse ecclesiastiche furono attribuite alle quattro diocesi gallesi divenute autonome dalla Church of England; cessò la supremazia reale sulla Chiesa gallese ed il sovrano perse i suoi diritti di patronato nella nomina e designazione degli uffici ecclesiastici. Dalla data del disestablishment tutte le corporazioni ecclesiastiche e cattedrali furono dissolte e i vescovi delle diocesi gallesi cessarono di essere membri della House of Lords, ma non furono più interdetti dalla legittimazione passiva dell'elettorato alla House of Commons; i vescovi e il clero non poterono più partecipare ed essere rappresentati alla Convocazione di Canterbury e al General Synod.
I tribunali della Church of England persero i loro poteri giurisdizionali coercitivi in Galles, e la "nuova" Chiesa fu legittimata a predisporre propri tribunali ecclesiastici le cui decisioni non furono più sottoposte al procedimento di judicial review da parte dei tribunali statali. Solo le questioni legate alle vicende proprietarie derivate dal disestablishment rimasero conoscibili anche dai tribunali secolari.
Fonti
Oltre alle fonti citate per l'Inghilterra si vedano:
Welsh Church Act 1914, c. 91 (4 and 5 Geo 5)
Welsh Church (Temporalities) Act 1919, c. 65 (9 and 10 Geo 5)
Welsh Church (Amendment) Act 1938, c. 39
Stato e Chiesa in Scozia
In Scozia esistono due confessioni appartenenti alla Anglican Communion: la Church of Scotland (comunemente denominata Kirk) e la Scottish Episcopal Church.
La Church of Scotland, così come conformata dopo il Church of Scotland Act del 1921, è stata descritta come "both established and free": nonostante i tribunali ecclesiastici siano considerati tribunali del regno (fora publica), essi rappresentano una specie di giurisdizione parallela e le corti secolari hanno tradizionalmente rifiutato di esercitare la judicial review sulle loro decisioni. Questa "attenuata forma di establishment" trova riscontro nei rapporti tra istituzioni ecclesiastiche e statali.
Il sovrano, al momento dell'incoronazione, ha l'obbligo di giurare di proteggere la Chiesa e la forma presbiteriana del governo scozzese; esso è un membro della Chiesa ed è formalmente rappresentato dall'Alto Lord Ufficiale (Lord High Commissioner) all'Annuale Assemblea Generale.
La Scottish Episcopal Church, benché membro della Comunione Anglicana, è storicamente distinta dalla Church of England ed ha ottenuto il disestablishment nel 1689. I vescovi sono eletti e non designati e la Chiesa, in quanto disestablished, è considerata una associazione a carattere volontario. Tutti i ministri della Chiesa episcopale sono "obbligati a presentare le loro Letters of Orders" al giudice di pace per essere registrati ed ottenere così un piccolo compenso. I ministri hanno il diritto di amministrare i sacramenti e di celebrare i matrimoni.
Fonti
Scottish Episcopalians Act 1711, c. 10 (10 Ann)
Episcopal Church (Scotland) Act 1864, c. 94 (27 and 28 Vict)
Church of Scotland Act 1921, c. 29 (11 and 12 Geo 5)
Episcopal Church (Scotland) Act 1964, c. 12
Marriage (Scotland) Act 1977, c. 15
Marriage (Scotland) Act 2002 (asp. 8)
Stato e Chiesa in Irlanda del Nord
Come è avvenuto per gli altri Paesi del Regno Unito, anche i rapporti tra Stato e Chiesa in Irlanda hanno consolidato il loro assetto tra il XIX e il XX secolo.
L'atto di unione dell'Irlanda con la Gran Bretagna nel 1800 ha creato un unico Stato, creando al contempo la fusione tra la Chiesa anglicana di Irlanda e la Chiesa di Inghilterra. In effetti, la Chiesa d'Irlanda coincideva in origine con la Chiesa di Inghilterra in Irlanda, ed oggi tale Chiesa è ancora in vita nella Repubblica d'Irlanda e nell'Ulster, dove è articolata in due province ecclesiastiche. Nel 1834 il Parlamento inglese soppresse 10 dei 22 seggi episcopali e 2 seggi arcivescovili irlandesi. Una legge del 1869, l'Irish Church Act, sancì il disestablishment della Church of England in Irlanda, facendo venire meno l'unione tra le due chiese. Di conseguenza, la legge ecclesiastica inglese ha perso efficacia, i tribunali ecclesiastici non sono più dotati di competenze coercitive, e le associazioni ecclesiastiche sono state dissolte. Sotto la vigenza della legge del 1869, fu creato il Representative Body, con il compito di gestire la proprietà ecclesiastica per il sostentamento dei membri della Chiesa sul modello del trust civilistico. La Chiesa, quindi, esiste in Irlanda come un'associazione volontaria e contrattuale. I giudici secolari possono applicare i termini di questo contratto canonico, specialmente in presenza di una questione di proprietà o relativa ai diritti civili. Se fino al 1922 la storia di Irlanda e di Inghilterra viaggia su un binario comune, dopo la promulgazione della Costituzione del Libero Stato Irlandese, la Repubblica di Irlanda diviene autonoma e solo l'Irlanda del Nord continua a far parte del Regno Unito.
Fonti
Ireland Act 1949 c.41 (12 13 and 14 Geo 6)
Church Temporalities Fund Act (Northern Ireland) 1922 c. 13
(Anna Gianfreda)
Sentenza 21 maggio 2010
Il caso riguarda un’infermiera cristiana, licenziata per avere
indossato una catenina con la croce, contravvenendo alle regole
dell’ospedale che vietatavano al personale di indossare oggetti
di gioielleria, anche per i rischi per la sicurezza dei pazienti in
caso, ad es., di un contatto con ferite. Tali regole si applicano a
tutto il personale, indipendentemente dal credo religioso, ma non sono
indirettamente discriminatorie, poiché perseguono una
finalità legittima. Nel caso della ricorrente, inoltre,
è stato notato che portare un crocifisso era una manifestazione
della libertà religiosa, ma non una pratica obbligatoria per la
religione cristiana; inoltre, erano stati tentati alcuni
accomodamenti, tutti rifiutati dalla ricorrente. Non si è,
quindi, rilevata una violazione della libertà religiosa o delle
norme sulla discriminazione.
[La Redazione di OLIR.it
ringrazia per la segnalazione del documento Mattia Francesco Ferrero,
Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano]
Sentenza 15 gennaio 2013
Non tutti gli atti ispirati dal credo religioso sono da considerarsi
una manifestazione della libertà religiosa tutelata
dall'art. 9 della CEDU: per godere della protezione di tale
articolo, deve trattarsi di atti "strettamente connessi alla
religione". La libertà di manifestare il credo, tuttavia,
non è limitata agli atti di culto, ma si estende anche ad altri
comportamenti e pratiche. Per quanto riguarda la tutela della
libertà religiosa nel luogo di lavoro, la giurisprudenza della
Corte europea ha spesso affermato che, qualora vi siano delle
restrizioni alla messa in atto di particolari pratiche connesse alla
religione, la libertà dei lavoratori non sarebbe violata nel
caso in cui possano dimettersi e cambiare lavoro. Tuttavia, in primo
luogo questo criterio non è sempre applicabile e deve tener
conto della tipologia delle restrizioni previste; in secondo luogo,
data l'importanza della libertà religiosa per le
società democratiche, occorre valutare se la possibilità
del lavoratore di cambiare impiego sia accettabile, considerato il
contesto e la proporzionalità delle restrizioni poste a tale
libertà.
Per quanto riguarda il divieto di
discriminazione (art. 14, da analizzare congiuntamente all'art. 9
CEDU), la Corte ricorda che risultano vietati sia trattamenti diversi
di situazioni analoghe, sia trattamenti uguali di situazioni
differenti, a meno che non si tratti del perseguimento di un obiettivo
legittimo e ragionevole, nel rispetto del principio di
proporzionalità.
La proporzionalità (relativa sia
ai limiti alla libertà religiosa, sia alla valutazione della
discriminatorietà di un trattamento) deve essere valutata nel
rispetto del "margine di apprezzamento", ovvero una certa
discrezionalità riconosciuta agli Stati nell'applicazione
dei diritti fondamentali. Nei quattro casi riuniti ed esaminati dalla
sentenza – tutti relativi a controversie avvenute nel Regno Unito a
proposito di pratiche religiose sul luogo di lavoro – la Corte di
Strasburgo ha affermato che:
- nel caso della prima ricorrente
(Ms. Eweida), la decisione di British Airways di licenziare una
hostess che aveva indossato un crocifisso visibile sulla sua divisa
era da ritenersi non proporzionale e, di conseguenza, i giudici
nazionali hanno violato il diritto di libertà religiosa nel
convalidare il licenziamento; - nel caso della seconda
ricorrente (Ms. Chaplin), il divieto di indossare una catenina con la
croce era invece da considerare proporzionato, perché
finalizzato alla tutela della salute e sicurezza dei pazienti e dei
lavoratori di un ospedale pubblico; - nel caso della terza
ricorrente (Ms. Ladele), il rifiuto di registrare le unioni
omosessuali nel registro dello stato civile era sì un atto
intimamente connesso al credo cristiano; tuttavia l'intervento
dello Stato, che ha riconosciuto i medesimi diritti alle coppie
eterosessuali ed omosessuali, è da ritenersi legittimo e la
limitazione alla manifestazione del credo è stata
proporzionale, rientrando nel margine di apprezzamento nazionale la
valutazione e il bilanciamento dei diritti di non discriminazione
religiosa e di parità in base all'orientamento
sessuale; - nel caso del quarto ricorrente (Mr. McFarlane),
analogamente a quello della sig.ra Ladele, le autorità statali
hanno operato un corretto bilanciamento degli interessi in gioco,
nell'ambito del loro margine d'apprezzamento, anche tenuto
conto che il ricorrente aveva volontariamente accettato di svolgere
attività di consulenza in una società privata, sapendo
di venire a contatto anche con coppie dello stesso sesso.
(Stella Coglievina)
Le sentenze dei tribunali inglesi:
Eweida
v. British Airways (Court of Appeal, 12 febbraio 2010)
Eweida v.
British Airways (Employment Appeal Tribunal, 20 novembre 2008)
Chaplin
v. Royal Devon and Exeter NHS Foundation Trust (Employment
Tribunal, 21 ottobre 2010)
Ladele v.
London Borough of Islington (sentenza 15 dicembre 2009)
Caso
McFarlane: Contrasto tra convinzioni religiose e prestazioni
lavorative (sentenza 29 ottobre 2010)
McFarlane vs.
Relate Avon LTD (Employment Appeal Tribunal 30 novembre 2009)
Sentenza 02 novembre 2012
Con questa sentenza di appello (ma non definitiva) l’_Upper
Tribunal_ ha confermato la legittimità del provvedimento con cui la
_Charity Commission_ per l’Inghilterra ed il Galles aveva rifiutato
alla _charity Catholic Care_ il permesso di modificare lo statuto in
modo da poter proseguire nella pratica di non erogare i propri servizi
adottivi a coppie omosessuali.
L’appellante _Catholic Care_ è una _charity_ della Diocesi
cattolica di Leeds che presta diversi servizi sociali, tra i quali
l’individuazione e selezione di potenziali genitori adottivi, il
collocamento di bambini adottivi ed il supporto post-adottivo in
favore dei genitori. Nel passato _Catholic Care_ aveva erogato tali
servizi esclusivamente in favore di genitori eterosessuali, anche se
di religione diversa dalla cattolica, motivando tale pratica con
l’osservanza del magistero della Chiesa cattolica.
Prima gli _Equality Act (Sexual Orientation) Regulations 2007_ e,
successivamente, l’_Equality Act 2010_ hanno introdotto, dopo un
periodo transitorio, un divieto di discriminazione nella prestazione
dei servizi, anche in capo alle _charities_.
In particolare, il vigente _Equality Act 2010_ – su cui si fonda la
sentenza – dispone che qualunque soggetto (pubblico o privato)
erogatore di un servizio pubblico non possa discriminare una persona
che richiede tale servizio (_Section_ 29) e che si ha discriminazione
ogniqualvolta sia accordato un trattamento meno favorevole in ragione
di una “caratteristica protetta” (_Section_ 13), tra le quali
rientra l’orientamento sessuale (_Section_ 4, dove sono indicate
tutte le “categorie protette”).
La _Section_ 193(2)(a) dell’_Equality Act 2010_, con specifico
riferimento alle _charities_, prevede la possibilità di limitare
l’erogazione di servizi a persone che condividono una certa
“caratteristica protetta”, ma solo ove ciò costituisca un mezzo
proporzionato per raggiungere un fine legittimo.
_Catholic Care_ ha, dunque, sostenuto che la modifica statutaria
proposta era finalizzata a garantire proprio l’erogazione dei
servizi adottivi poiché, ove non le fosse stato permesso di limitarli
alle coppie eterosessuali, i suoi sostenitori (motivati da determinate
convinzioni religiose) non l’avrebbero finanziata e, pertanto, essa
ne avrebbe cessato l’erogazione. Ad avviso della medesima appellante
il requisito della proporzionalità sarebbe stato, poi, assicurato
dalla possibilità per le coppie omosessuali di rivolgersi ad altri
operatori.
La sentenza ha, però, negato che nel caso specifico vi sarebbe un
danno per l’erogazione dei servizi adottivi nel caso di cessazione
dell’attività di _Catholic Care_ poiché gli altri operatori
sarebbero comunque in grado di soddisfare la domanda di servizi
adottivi.
Inoltre, richiamando alcune pronunce della Corte di Strasburgo
relative all’art. 14 della CEDU, l’_Upper Tribunal_ ha evidenziato
come un trattamento differenziato sulla base dell’orientamento
sessuale sia legittimo ove discenda da una decisione del legislatore
nazionale mentre in presenza di una legislazione che lo vieta
difficilmente può essere giustificato, quantunque motivato dal
perseguimento di un fine legittimo.
[La Redazione di OLIR.it ringrazia per la segnalazione del documento
e per la stesura del relativo Abstract il dr. Mattia F. Ferrero –
Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano]
Sentenza 29 aprile 2010
Il licenziamento di un consulente familiare di religione cristiana,
che ha rifiutato di svolgere il suo lavoro con coppie omosessuali, è
legittimo e non è discriminatorio in base ai regolamenti “Employment
Equality (Religion or Belief) Regulations 2003. Il licenziamento è
stato infatti motivato da un rifiuto di svolgere le mansioni indicate
nel contratto (nello specifico: fornire terapie di coppia, senza
discriminazioini basate, tra le altre caratteristiche,
sull’orientamento sessuale) e non dalla religione del dipendente.
Inoltre occorre tener presente che, ferma restando la tutela della
libertà religiosa nell’ordinamento britannico, non tutte le
estrinsecazioni del proprio credo e non tutte le convinzioni derivanti
da precetti religiosi sono meritevoli di tutela in una società
democratica, attenta ad offrire un giusto bilanciamento tra i diritti
dei cittadini.
————————-
In OLIR.it:
Sentenza 30 novembre 2009
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=5265]: Regno Unito:
McFarlane vs. Relate Avon LTD. Contrasto tra convinzioni religiose e
prestazioni lavorative
Legge 18 marzo 2010, n.6
An Act to enable persons to be married in a place of worship in a
parish in the Church in Wales with which they have a qualifying
connection; and for connected purposes.
.
Legge 08 aprile 2010, n.15
Sentenza 12 febbraio 2010
Non si è in presenza di discriminazione indiretta quando lo
svantaggio derivante da una norma neutra riguarda un singolo individuo
e non un gruppo religioso. Nel caso di specie, la ricorrente (hostess
di British Airways) sosteneva che l’obbligo di indossare una divisa,
senza mostrare oggetti di gioielleria né simboli religiosi, le aveva
causato una discriminazione indiretta poiché le aveva impedito di
portare una catenina con una croce, espressione della sua religione.
In base all'”Employment Equality Regulations (Religion or Belief) 2003
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=1639]” una
discriminazione indiretta è dimostrata quando uno svantaggio sussiste
non solo per il ricorrente, ma anche per il gruppo confessionale di
appartenenza, fatto che non risulta dimostrato nel caso di specie.
La sentenza sottolinea anche che qualora fosse sufficiente dimostrare
lo svantaggio subito da un singolo lavoratore per provare una
discriminazione indiretta, ciò imporrebbe un onere insostenibile
per i datori di lavoro, tenuti a conoscere e a prevedere ogni credenza
presente nella società, anche se professata da un singolo individuo
o addirittura fittizia. La Corte ha inoltre rilevato che il codice di
abbigliamento di British Airways, che vieta gli ornamenti visibili,
sarebbe comunque stato giustificato come un mezzo proporzionato per
raggiungere uno scopo legittimo, ai sensi dei regolamenti del 2003,
art. 3 (1) (b) (iii).
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In OLIR.it:
Employment Appeal Tribunal, Sentenza 20 novembre 2008 – Regno Unito:
Eweida v. British Airways
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=4831]
Sentenza 30 novembre 2009
Il licenziamento di un consulente familiare di religione cristiana,
che ha rifiutato di svolgere il suo lavoro con coppie omosessuali, è
legittimo e non è discriminatorio in base ai regolamenti “Employment
Equality (Religion or Belief) Regulations 2003”.
Sentenza 15 dicembre 2009
La ricorrente, un’addetta ai registri dello stato civile,
rifiutava di registrare civil-partnerships; in seguito al suo
licenziamento ha lamentato una discriminazione indiretta nei suoi
confronti, derivante da una legge dello Stato che sarebbe di carattere
neutro e applicabile a tutti e non terrebbe conto delle
“obiezioni” di natura religiosa alle registrazioni delle
unioni civili. La richiesta neutra da parte dello Stato circa lo
svolgimento di pubbliche funzioni è giustificata e il carattere
indirettamente discriminatorio escluso. Il trattamento sfavorevole,
peraltro, non sarebbe fondato sulla religione ma sarebbe derivante
dall’atteggiamento di ostilità della ricorrente verso
comportamenti relativi (anche) all'orientamento sessuale. La
manifestazione del proprio credo non sempre riceve tutela: dal momento
in cui una legge dello Stato prevede le unioni civili (anche tra
persone dello stesso sesso), un pubblico funzionario non può
rifiutare di svolgere la propria professione affermando di essere
contrario, per motivi religiosi, a quella legge .
In
OLIR.it:
Employment Appeal Tribunal, sentenza
18 dicembre 2008, London Borough of Islington v. Miss Ladele