Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 22 gennaio 2015

L’ampiezza del sindacato del giudice statale sui provvedimenti
di espulsione adottati all’interno di un gruppo confessionale si
riduce al vaglio del rispetto dei diritti fondamenali concretamente
offerti e, segnatamente, del diritto di difesa, inteso nel suo nucleo
essenziale di sostanziale possibilità di contraddire
all’interno del procedimento di espulsione. Ciò in
quanto nell’ordinamento giuridico italiano la potestà
sanzionatoria e disciplinare di tali gruppi trova una sua propria
fonte (in luogo di quella comune prevista dal codice civile per gli
enti associativi), da una parte, dal combinato disposto costituzionale
di cui agli artt. 7, I° co. e 8, II° co.; e dall’altra
parte, dalla giurisprudenza della Consulta, che ha ribadito nel tempo
la forza e la cogenza di tali precetti, mettendo a fuoco il ruolo
limite costituito dai “principi supremi”
dell’ordinamento statuale. Ne deriva, quindi, secondo il
Tribunale adito, che l’espulsione del singolo adepto a seguito
dell’esplicarsi di quella autonoma potestà organizzativa,
che comprende l’irrogazione di sanzioni, possa essere sindacata
e dichiarata illegittima unicamente laddove questi riscontri la chiara
ed effettiva lesività in concreto dei diritti fondamentali
della persona garantiti dalla Costituzione (art. 2) –
all’esterno e – all’interno delle formazioni
sociali; ossia quando, sulla base dei documenti e delle allegazioni di
causa offerti allo scrutinio giudiziale, si appalesi l’effettiva
attitudine dell’espulsione a recare un danno ingiusto in spregio
ai beni costituzionalmente presidiati (ad es. con modalità tali
da ledere il prestigio, l’onore e la dignità del soggetto
espulso).

Ordinanza 03 febbraio 2015

La procedura di fecondazione attivata dai coniugi, che abbia avuto
inizio prima dell'entrata in vigore della L. 40/2004 e non ancora
conclusa (sussistendo embrioni crioconservati non abbandonati), trova
la propria disciplina nell'art. 7 della L.40/2004 e nelle
correlate linee guida degli anni 2004 e 2008, volte a dettare una
normativa transitoria relativa alle procedure di fecondazione
assistita intraprese antecedentemente alla suddetta legge. Pertanto, a
norma di tali linee guida, in caso di embrioni crioconservati, ma non
abbandonali, la donna ha sempre il diritto di ottenerne il
trasferimento. Le suddette linee guida, peraltro, non stabiliscono
limiti di sorta a tale facoltà, la quale dipende, secondo la
lettera della normativa, dalla volontà esclusiva della donna
(non essendo in alcun modo richiesto il consenso del marito o di altri
soggetti).

Ordinanza 05 febbraio 2015, n.5888

Accolta la sospensiava relativa l’efficacia di parte del decreto
del commissario ad acta per la Sanità nel Lazio, con il quale
si prevedeva che anche i medici obiettori di coscienza operanti nei
consultori della regione fossero obbligati a rilasciare la
certificazione necessaria per l’interruzione volontaria di
gravidanza.

Sentenza 09 febbraio 2015, n.2400

Nel nostro sistema giuridico il matrimonio tra persone dello stesso
sesso è inidoneo a produrre effetti perché non previsto
tra le ipotesi legislative di unione coniugale. Il nucleo relazionale
che caratterizza l’unione "omoaffettiva", invece,
riceve un diretto riconoscimento costituzionale dall’art. 2
Cost. e mediante il processo di adeguamento e di equiparazione imposto
dal rilievo costituzionale dei diritti in discussione può
acquisire un grado di protezione e tutela equiparabile a quello
matrimoniale in tutte le situazioni nelle quali la mancanza di una
disciplina legislativa determina una lesione di diritti fondamentali
scaturenti dalla relazione in questione. L’insussistenza di un
obbligo costituzionale ad estendere il vincolo coniugale alle
unioni omoaffettive è stata del resto ribadita dalla sentenza
n. 170 del 2014
della Corte Costituzionale, nella quale è
stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della
disciplina normativa che faceva conseguire in via automatica, alla
rettificazione del sesso, lo scioglimento o la cessazione degli
effetti civili del matrimonio, senza preoccuparsi di prevedere per
l’unione, divenuta omoaffettiva, un riconoscimento e uno statuto
di diritti e doveri che ne consentisse la conservazione in una
condizione coerente con l’art. 2 Cost. (e 8 Cedu). La Corte ha
in questo senso evidenziato che il contrasto in tale fattispecie si
determina il “passaggio da uno stato di massima protezione
giuridica ad una condizione di assoluta indeterminatezza", con
conseguente necessità di un tempestivo intervento legislativo.

Sentenza 27 gennaio 2015, n.1495

Secondo la sentenza della Corte di
Cassazione, S.U., n. 16379 del 2014
, la convivenza come coniugi,
protrattasi per almeno tre anni dalla data di celebrazione del
matrimonio "concordatario" regolarmente trascritto,
connotando nell'essenziale l'istituto del matrimonio
nell'ordinamento italiano, è costitutiva di una situazione
giuridica disciplinata da norme costituzionali, convenzionali ed
ordinarie, di "ordine pubblico italiano" e, pertanto, anche
in applicazione del principio supremo di laicità dello Stato,
è ostativa alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica
Italiana delle sentenze definitive di nullità di matrimonio
pronunciate dai tribunali ecclesiastici, per qualsiasi vizio genetico
del matrimonio accertato e dichiarato dal giudice ecclesiastico
nell'ordine canonico nonostante la sussistenza di detta convivenza
coniugale. Nella medesima sentenza tuttavia è anche affermato,
nel paragrafo 4.3. lett. b) , che "secondo la speciale disciplina
dell'Accordo, occorre distinguere due ipotesi, a seconda che la
delibazione sia proposta "dalle parti" oppure "da una
di esse" (alinea dell'art. 8, n. 2 dell'Accordo)" e
che nella prima ipotesi non possono sussistere dubbi circa la
tendenziale delibabilità della sentenza canonica di
nullità, anche nel caso in cui già emergesse ex actis
una situazione di convivenza coniugale, potenzialmente idonea a
costituire ostacolo alla delibazione. Deve, pertanto, ritenersi che la
proposizione di un ricorso "congiunto" volto ad ottenere il
riconoscimento dell'efficacia nel nostro ordinamento di una
sentenza di nullità del matrimonio canonica pronunciato dal
tribunale ecclesiastico, escluda l'interferenza della condizione
ostativa costituita dalla convivenza così come precisamente
configurata dalle Sezioni Unite.