Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 26 ottobre 2015, n.4898

Il matrimonio tra persone dello stesso sesso deve intendersi incapace,
nel vigente sistema di regole, di costituire tra le parti lo status
giuridico proprio delle persone coniugate (con i diritti e gli
obblighi connessi) in quanto privo dell'indefettibile condizione
della diversità di sesso dei nubendi, che il nostro ordinamento
configura quale connotazione "ontologica" essenziale
dell'atto di matrimonio.
Ciò premesso, occorre
esaminare il regime positivo della trascrivibilità negli atti
dello stato civile del matrimonio omosessuale laddove sia contratto
all'estero. Al riguardo, si può rilevare come la
trascrizione di tali matrimoni sia impedita all'ufficiale di stato
civile per il difetto della condizione relativa alla
“dichiarazione degli sposi di volersi prendere rispettivamente
in marito e moglie”, prevista dall’art.64, comma 1, lett.
e), d.P.R. 3 novembre 2000, n.396 (Regolamento per la revisione e la
semplificazione dell’ordinamento dello stato civile), quale
condizione dell’atto di matrimonio trascrivibile (così
come dall’art.16, d.P.R. cit., rubricato “Matrimonio
celebrato all’estero”, che utilizza, evidentemente, la
dizione “sposi” nell’unica accezione codicistica,
codificata all’art.107 c.c., di marito e moglie). Una volta
accertata l’inesistenza, alla stregua dell’ordinamento
positivo, di un diritto alla trascrizione dei matrimoni omosessuali
celebrati all’estero (e, quindi, la legittimità della
circolare del Ministro dell’interno che la vieta), occorre
verificare se il titolo rivendicato dagli originari ricorrenti possa
essere affermato in esito ad un’operazione ermeneutica imposta
dal rispetto di principi costituzionali o enunciati in convenzioni
internazionali. La compatibilità del divieto, in Italia, di
matrimoni tra persone dello stesso sesso (e, quindi, si aggiunga, come
logico corollario, della trascrizione di quelli celebrati
all’estero) è già stata scrutinata ed affermata
dalla Corte Costituzionale (Corte
Cost., sent. 11 giugno 2014, n.170
; sent. 15 aprile
2010, n.138
; ordinanze n. 4 del 2011 e n.276 del 2010), che ha
chiarito come la regolazione normativa censurata risulti, per un
verso, compatibile con l’art.29 della Costituzione
(contestualmente interpretato come riferito alla nozione civilistica
di matrimonio tra persone di sesso diverso) e, per un altro, conforme
alle norme interposte contenute negli artt.12 della CEDU e 9 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (d’ora
innanzi Carta di Nizza), nella misura in cui le stesse rinviano
espressamente alle legislazioni nazionali, senza vincolarne i
contenuti, la disciplina dell’istituto del matrimonio,
riservandosi l’eventuale delibazione
dell’incostituzionalità di disposizioni legislative che
introducono irragionevoli disparità di trattamento delle coppie
omosessuali in relazioni ad ipotesi particolari (per le quali si
impone il trattamento omogeneo tra le due tipologie di
unioni). 
Tanto rilevato occorre accertare se, tra i
poteri assegnati al Prefetto, resti o meno incluso quello di annullare
gli atti dello stato civile di cui il Sindaco ha ordinato contra legem
la trascrizione. Reputa il Collegio che la potestà in
questione debba intendersi implicata dalle funzioni di direzione,
sostituzione e vigilanza. A ben vedere, infatti, se si negasse al
Prefetto la potestà in questione, la sua posizione di
sovraordinazione rispetto al Sindaco (allorchè agisce come
ufficiale di governo), in quanto chiaramente funzionale a garantire
l’osservanza delle direttive impartite dal Ministro
dell’interno ai Sindaci e, in definitiva, ad impedire
disfunzioni o irregolarità nell’amministrazione dei
registri di stato civile, rimarrebbe inammissibilmente sprovvista di
contenuti adeguati al raggiungimento di quel fine.
Ne consegue,
in definitiva, l’accoglimento dell’appello del Ministero
e, in riforma del capo di decisione impugnato, l’integrale
reiezione del ricorso di primo grado contro il provvedimento con cui
il Prefetto (nel caso di specie di Roma) ha annullato le trascrizioni
dei matrimoni omosessuali celebrati all’estero dagli originari
ricorrenti.


In Olir.it: cfr. Consiglio di
Stato, Sez. III, sentenze nn. 4897-4899 del 26 ottobre 2015

Sentenza 26 ottobre 2015, n.4897

Il matrimonio tra persone dello stesso sesso deve intendersi incapace,
nel vigente sistema di regole, di costituire tra le parti lo status
giuridico proprio delle persone coniugate (con i diritti e gli
obblighi connessi) in quanto privo dell'indefettibile condizione
della diversità di sesso dei nubendi, che il nostro ordinamento
configura quale connotazione "ontologica" essenziale
dell'atto di matrimonio.
Ciò premesso, occorre
esaminare il regime positivo della trascrivibilità negli atti
dello stato civile del matrimonio omosessuale laddove sia contratto
all'estero. Al riguardo, si può rilevare come la
trascrizione di tali matrimoni sia impedita all'ufficiale di stato
civile per il difetto della condizione relativa alla
“dichiarazione degli sposi di volersi prendere rispettivamente
in marito e moglie”, prevista dall’art.64, comma 1, lett.
e), d.P.R. 3 novembre 2000, n.396 (Regolamento per la revisione e la
semplificazione dell’ordinamento dello stato civile), quale
condizione dell’atto di matrimonio trascrivibile (così
come dall’art.16, d.P.R. cit., rubricato “Matrimonio
celebrato all’estero”, che utilizza, evidentemente, la
dizione “sposi” nell’unica accezione codicistica,
codificata all’art.107 c.c., di marito e moglie). Una volta
accertata l’inesistenza, alla stregua dell’ordinamento
positivo, di un diritto alla trascrizione dei matrimoni omosessuali
celebrati all’estero (e, quindi, la legittimità della
circolare del Ministro dell’interno che la vieta), occorre
verificare se il titolo rivendicato dagli originari ricorrenti possa
essere affermato in esito ad un’operazione ermeneutica imposta
dal rispetto di principi costituzionali o enunciati in convenzioni
internazionali. La compatibilità del divieto, in Italia,
di matrimoni tra persone dello stesso sesso (e, quindi, si aggiunga,
come logico corollario, della trascrizione di quelli celebrati
all’estero) è già stata scrutinata ed affermata
dalla Corte Costituzionale (Corte
Cost., sent. 11 giugno 2014, n.170
; sent. 15 aprile
2010, n.138
; ordinanze
n. 4 del 2011
e n.276 del 2010), che ha chiarito come la
regolazione normativa censurata risulti, per un verso, compatibile con
l’art.29 della Costituzione (contestualmente interpretato come
riferito alla nozione civilistica di matrimonio tra persone di sesso
diverso) e, per un altro, conforme alle norme interposte contenute
negli artt.12 della CEDU e 9 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea (d’ora innanzi Carta di Nizza), nella
misura in cui le stesse rinviano espressamente alle legislazioni
nazionali, senza vincolarne i contenuti, la disciplina
dell’istituto del matrimonio, riservandosi l’eventuale
delibazione dell’incostituzionalità di disposizioni
legislative che introducono irragionevoli disparità di
trattamento delle coppie omosessuali in relazioni ad ipotesi
particolari (per le quali si impone il trattamento omogeneo tra le due
tipologie di unioni).
Tanto rilevato occorre accertare se, tra i
poteri assegnati al Prefetto, resti o meno incluso quello di annullare
gli atti dello stato civile di cui il Sindaco ha ordinato contra legem
la trascrizione. Reputa il Collegio che la potestà in questione
debba intendersi implicata dalle funzioni di direzione, sostituzione e
vigilanza. A ben vedere, infatti, se si negasse al Prefetto la
potestà in questione, la sua posizione di sovraordinazione
rispetto al Sindaco (allorchè agisce come ufficiale di
governo), in quanto chiaramente funzionale a garantire
l’osservanza delle direttive impartite dal Ministro
dell’interno ai Sindaci e, in definitiva, ad impedire
disfunzioni o irregolarità nell’amministrazione dei
registri di stato civile, rimarrebbe inammissibilmente sprovvista di
contenuti adeguati al raggiungimento di quel fine.
Ne consegue,
in definitiva, l’accoglimento dell’appello del Ministero
e, in riforma del capo di decisione impugnato, l’integrale
reiezione del ricorso di primo grado contro il provvedimento con cui
il Prefetto (nel caso di specie di Roma) ha annullato le trascrizioni
dei matrimoni omosessuali celebrati all’estero dagli originari
ricorrenti.


In Olir.it: cfr. Consiglio di Stato, Sez.
III, sentenze nn. 4898-4899 del 26 ottobre 2015

Sentenza 26 ottobre 2015, n.4899

Il matrimonio tra persone dello stesso sesso deve intendersi incapace,
nel vigente sistema di regole, di costituire tra le parti lo status
giuridico proprio delle persone coniugate (con i diritti e gli
obblighi connessi) in quanto privo dell'indefettibile condizione
della diversità di sesso dei nubendi, che il nostro ordinamento
configura quale connotazione "ontologica" essenziale
dell'atto di matrimonio.
Ciò premesso, occorre
esaminare il regime positivo della trascrivibilità negli atti
dello stato civile del matrimonio omosessuale contratto
all'estero. Al riguardo, si può rilevare come la
trascrizione di tali matrimoni sia impedita all'ufficiale di stato
civile per il difetto della condizione relativa alla
“dichiarazione degli sposi di volersi prendere rispettivamente
in marito e moglie”, prevista dall’art.64, comma 1, lett.
e), d.P.R. 3 novembre 2000, n.396 (Regolamento per la revisione e la
semplificazione dell’ordinamento dello stato civile), quale
condizione dell’atto di matrimonio trascrivibile (così
come dall’art.16, d.P.R. cit., rubricato “Matrimonio
celebrato all’estero”, che utilizza, evidentemente, la
dizione “sposi” nell’unica accezione codicistica,
codificata all’art.107 c.c., di marito e moglie). Una volta
accertata l’inesistenza, alla stregua dell’ordinamento
positivo, di un diritto alla trascrizione dei matrimoni omosessuali
celebrati all’estero (e, quindi, la legittimità della
circolare del Ministro dell’interno che la vieta), occorre
verificare se il titolo rivendicato dagli originari ricorrenti possa
essere affermato in esito ad un’operazione ermeneutica imposta
dal rispetto di principi costituzionali o enunciati in convenzioni
internazionali. La compatibilità del divieto, in Italia, di
matrimoni tra persone dello stesso sesso (e, quindi, si aggiunga, come
logico corollario, della trascrizione di quelli celebrati
all’estero) è già stata scrutinata ed affermata
dalla Corte Costituzionale (Corte Cost., sent. 11
giugno 2014, n.170
; sent. 15 aprile
2010, n.138
; ordinanze n. 4 del 2011 e n.276 del 2010), che ha
chiarito come la regolazione normativa censurata risulti, per un
verso, compatibile con l’art.29 della Costituzione
(contestualmente interpretato come riferito alla nozione civilistica
di matrimonio tra persone di sesso diverso) e, per un altro, conforme
alle norme interposte contenute negli artt.12 della CEDU e 9 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (d’ora
innanzi Carta di Nizza), nella misura in cui le stesse rinviano
espressamente alle legislazioni nazionali, senza vincolarne i
contenuti, la disciplina dell’istituto del matrimonio,
riservandosi l’eventuale delibazione
dell’incostituzionalità di disposizioni legislative che
introducono irragionevoli disparità di trattamento delle coppie
omosessuali in relazioni ad ipotesi particolari (per le quali si
impone il trattamento omogeneo tra le due tipologie di unioni).
Tanto rilevato occorre accertare se, tra i poteri assegnati al
Prefetto, resti o meno incluso quello di annullare gli atti dello
stato civile di cui il Sindaco ha ordinato contra legem la
trascrizione. Reputa il Collegio che la potestà in questione
debba intendersi implicata dalle funzioni di direzione, sostituzione e
vigilanza. A ben vedere, infatti, se si negasse al Prefetto la
potestà in questione, la sua posizione di sovraordinazione
rispetto al Sindaco (allorchè agisce come ufficiale di
governo), in quanto chiaramente funzionale a garantire
l’osservanza delle direttive impartite dal Ministro
dell’interno ai Sindaci e, in definitiva, ad impedire
disfunzioni o irregolarità nell’amministrazione dei
registri di stato civile, rimarrebbe inammissibilmente sprovvista di
contenuti adeguati al raggiungimento di quel fine.
Ne consegue,
in definitiva, l’accoglimento dell’appello del Ministero
e, in riforma del capo di decisione impugnato, l’integrale
reiezione del ricorso di primo grado contro il provvedimento con cui
il Prefetto (nel caso di specie di Roma) ha annullato le trascrizioni
dei matrimoni omosessuali celebrati all’estero dagli originari
ricorrenti.


n Olir.it: cfr. Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenze nn. 4897-4898 del 26 ottobre 2015

Parere 28 agosto 2015, n.1048

La specificità ed eccezionalità della disciplina
concernente il rilascio del permesso di soggiorno per motivi religiosi
esclude che si possa ritenere che, allo stato della attuale normativa,
in mancanza di una disposizione esplicita, le fonti normative
prevedano la facoltà di conversione del permesso di soggiorno
rilasciato per motivi religiosi in permesso di soggiorno per motivi di
lavoro.

Sentenza 23 settembre 2015, n.38733

Sebbene non possa escludersi in linea astratta che “le
indispensabili esigenze di vita” di cui terzo comma
dell’art. 284 c.p.p. possano riguardare bisogni non solo
materiali, ma anche spirituali, nel cui ambito potrebbe rientrare la
soddisfazione bisogni di natura religiosa, occorre considerare il
disposto di cui all’art. 277 c.p.p., che nel prevedere che le
misure cautelari salvaguardino i diritti della persona, subordina il
loro rispetto alla compatibilità con le esigenze cautelari,
sicchè deve ritenersi legittima la limitazione, nei confronti
di persona sottoposta al regime detentivo, di diritti e facoltà
normalmente spettanti ad ogni persona libera, quando detta limitazione
non dia luogo ad una loro totale soppressione e per altro verso sia
finalizzata a garantire le esigenze cautelari (Sez. 4, n. 32364 del
27/04/2012). In tale contesto dunque non può non tenersi conto
dei fatto che l’evoluzione della tecnologia consente di
osservare il precetto canonico anche attraverso modalità
diverse dalla diretta partecipazione al culto, ad esempio attraverso
l’utilizzo del mezzo’televisivo, come peraltro fanno gli
infermi costretti a rimanere allettati in ambito ospedaliero o
domiciliare. Da ciò discende che in presenza di esigenze
cautelari che impongono la restrizione agli arresti domiciliari
dell’indagato, il diniego della autorizzazione all’uscita
di casa per partecipare alla messa, non compromette
“indispensabili esigenze di vita” del ricorrente.

Risoluzione 09 settembre 2015

Parlamento Europeo. Risoluzione 9 settembre 2015: "Emancipazione delle ragazze attraverso l'istruzione nell'UE". Il Parlamento europeo, – vista la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, – vista la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, – visti l'articolo 2 e l'articolo 3, paragrafo 3, secondo comma, del trattato sull'Unione europea, nonché l'articolo 8 del […]

Ordinanza 04 marzo 2015, n.164

Il Tribunale adito rimette alla Corte costituzionale la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 2, e
dell'art. 4, comma 1 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, per
contrasto con gli articoli 2, 3 e 32 Cost., nonche' con l'art.
117, comma 1 della Costituzione, in relazione agli articoli 8 e 14
della Cedu nella parte in cui dette norme non consentono il ricorso
alla procreazione medicalmente assistita, e dunque anche alla diagnosi
preimpianto, alle coppie fertili, portatrici di malattia geneticamente
trasmissibile.

Sentenza 13 ottobre 2015, n.41044

L'art. 403 cod. pen. sanziona chiunque offenda una confessione
religiosa mediante vilipendio di chi la professa o di un ministro del
culto. Al riguardo, la Corte costituzionale ha affermato
come «il vilipendio di una religione, tanto più se
posto in essere attraverso il vilipendio di coloro che la professano o
di un ministro del culto rispettivo, …, legittimamente può
limitare l'ambito di operatività dell'art. 21: sempre
che, beninteso, la figura della condotta vilipendiosa sia circoscritta
entro i giusti confini, segnati, per un verso, dallo stesso
significato etimologico della parola (che vuoi dire “tenere a
vile” e quindi additare al pubblico disprezzo o dileggio), e per
altro verso, dalla esigenza di rendere compatibile la tutela penale
accordata al bene protetto dalla norma in questione con la più
ampia libertà di manifestazione del proprio pensiero in materia
religiosa, con specifico riferimento alla quale non a caso l'art.
19 anticipa, in termini quanto mai espliciti, il più generale
principio dell'art. 21» (sentenza n. 188 del 1975). Sono
pertanto vilipendio, e dunque esclusi dalla garanzia dell'art. 21,
la contumelia, lo scherno, l'offesa fine a se stessa che
costituiscono oltraggio ai valori etici di cui si sostanza ed alimenta
il fenomeno religioso. (Nel caso di specie, la Corte adita ha pertanto
rigettato il ricorso, ritenendo violato il limite dovuto al rispetto
della devozione altrui, ingiustamente messo a repentaglio da una
manifestazione che, lungi dall'essere meramente critica di costumi
sessuali non consentiti a ministri di culto, è apparsa
costituire appunto una mera contumelia, scherno ed offesa fine a se
stessa).