Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 04 novembre 2009

Non costituisce provvedimento discriminatorio per motivi religiosi
quello che impedisce a un farmacista di religione ebraica, che intenda
osservare il giorno di riposo dello «Shabbath», l’apertura
domenicale dell’esercizio a compensazione della chiusura del sabato

Contratto collettivo 18 maggio 2011

Contratto collettivo nazionale di lavoro per i sacristi addetti al culto dipendenti di enti ecclesiastici (2011-2013), 18 maggio 2011 CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE DI LAVORO PER I SACRISTI ADDETTI AL CULTO DIPENDENTI DI ENTI ECCLESIASTICI 2011-2013 Il giorno 18 maggio 2011 a Roma, presso la sede della F.A.C.I. (l’Associazione del Clero Italiano) è stato siglato il […]

Sentenza 01 agosto 2011, n.16847

L’immunità di giurisdizione prevista dall’art. 11 del Trattato
Lateranense a favore degli enti centrali della Chiesa cattolica non si
estende agli istituti ecclesiastici di educazione e di istruzione (nel
caso di specie, un Collegio Ecclesiastico della Santa Sede, annoverato
nell’Annuario Pontificio tra gli Istituti Ecclesiastici di Educazione
ed Istruzione che svolgono la propria funzione istituzionale di
seminario e collegio per candidati al sacerdozio). La funzione da essi
svolta in concreto non appare, infatti, compatibile con la nozione di
enti centrali della Chiesa, che è riferita all’organizzazione
centrale del governo della Comunità ecclesiale, cui appartengono le
istituzioni e gli uffici della Curia romana.

Sentenza 19 agosto 2011, n.17399

Una comunità religiosa può svolgere, accanto all’attività
principale di religione o di culto, anche altra attività, meramente
accessoria, ma non sporadica od occasionale di tipo alberghiero,
richiedente pertanto l’impiego di personale per esigenze e necessità
organizzative tipiche di tale tipologie di strutture. 
Questa ipotesi si verifica in particolare laddove essa, oltre ad
offrire – in via principale – stabile permanenza ai soggetti
appartenenti alla comunità, consenta anche – in via accessoria –
temporaneo soggiorno ad ospiti laici e religiosi estranei alla
comunità tenuti per l’accoglienza al pagamento di un corrispettivo.
Il fine spirituale o comunque altruistico perseguito dall’ente
religioso non pregiudica, infatti, l’attribuzione del carattere
dell’imprenditorialità dei servizi resi, ove la prestazione sia
oggettivamente organizzata in modo che essa sia resa previo compenso
adeguato al costo del servizio, dato che il requisito dello scopo di
lucro assume rilievo meramente oggettivo ed è quindi collegato alle
modalità dello svolgimento dell’attività (Cass. 31 marzo 2009, n.
7770; Cass. 12 ottobre 1995, n. 10636; Cass. 19 dicembre 1990, n.
12390).
Pertanto, deve essere qualificata come commerciale un’attività di
gestione di una struttura alberghiera da parte di ente assistenziale,
sia pure svolta in modo da non eccedere i costì relativi alla
produzione del servizio, dal momento che, ai fini della valutazione
del carattere imprenditoriale di un’attività economica, organizzata
per la produzione o lo scambio di beni o servizi, rimangono
giuridicamente irrilevanti sia il perseguimento di uno scopo di lucro
– che riguarda il movente soggettivo che induce l’imprenditore ad
esercitare la sua attività (Cass. 29 febbraio 2008; Cass. 34 giugno
1994, n. 5766; Cass. 23 aprile 2004, n. 7725) – sia il fatto che i
proventi della attività siano poi destinati alle iniziative connesse
con gli scopi istituzionali dell’ente (Cass. 17 febbraio 2010, n.
3733). Nelle suddette ipotesi, infatti, il carattere imprenditoriale
dell’attività “collaterale” va escluso soltanto nel caso in cui essa
sia svolta in modo del tutto gratuito, dato che non può essere
considerata imprenditoriale l’erogazione gratuita dei beni o servizi
prodotti (Cass. 14 giugno 1994, n. 5766; Cass. 23 aprile 2004, n.
7725).Di qui, nel caso di specie, posto che le mansioni svolte dal
ricorrente riguardavano precipuamente esigenze proprie della suddetta
attività accessoria (attività di portierato), l’inapplicabilità del
c.c.n.l. per i lavoratori domestici, e la conseguente parametrazione
della retribuzione secondo il c.c.n.l. per i dipendenti delle aziende
alberghiere.

Determinazione/i 30 marzo 2011

Determinazione circa la disciplina del rapporto di lavoro dei giudici laici, dei difensori del vincolo laici e degli uditori laici operanti nei Tribunali ecclesiastici regionali italiani Il Consiglio Episcopale Permanente, nella sessione del 28-30 marzo 2011 – VISTE le Norme circa il regime amministrativo e le questioni economiche dei Tribunali ecclesiastici regionali nonché l’attività di […]

Sentenza 03 febbraio 2011, n.18136/02

Il licenziamento senza preavviso di una educatrice d’infanzia
impiegata presso un asilo di una parrocchia protestante, a motivo
dell’appartenenza della dipendente ad una confessione religiosa
diversa da quella dell’istituzione presso cui lavora, non
costituisce violazione dell’art. 9 CEDU, in quanto è espressione
dell’autonomia dell’organizzazione religiosa che ha fatto
sottoscrivere in sede di firma del contratto una clausola di lealtà
all’istituzione di tendenza.
Nel caso di specie, la ricorrente, divenuta membro della Chiesa
Universale/Fraternità dell’Umanità ed assunte in questa
organizzazione delle attività di iniziazione e diffusione del
messaggio religioso, lamenta l’illegittimità del licenziamento
subito ad opera della parrocchia protestante presso cui lavora come
educatrice e la violazione del suo diritto di libertà religiosa. La
Corte afferma che quando si tratta di controversie tra individuo e
confessione religiosa organizzata, l’applicazione dell’art. 9 deve
essere coordinata con l’art. 11 CEDU che, sancendo la libertà di
associazione, riconosce l’autonomia  di tali comunità a garanzia
del pluralismo nelle società democratiche e dello stesso godimento
effettivo delle libertà di cui all’art. 9. Pertanto, le autorità
giudiziarie nazionali del lavoro, adite in una serie di ricorsi
interni dalla ricorrente, hanno rispettato quell’autonomia,
ritenendo che il contratto di lavoro stipulato dalla ricorrente non le
consentiva né di appartenere né partecipare alle attività di
un’organizzazione confessionale con finalità incompatibili con
quelle dell’organizzazione presso cui lavorava, la quale “pouvait
imposer à ses employés de s’abstenir d’activités mettant en
doute leur loyauté envers elle et d’adopter une conduite
professionnelle et privée conforme à ces exigences”. Le
giurisdizioni nazionali, d’altra parte, nel rispetto
dell’autonomia confessionale, non possono spingersi ad un giudizio
nel merito della compatibilità tra finalità religiose
dell’organizzazione di appartenenza della ricorrente e finalità
proprie della Chiesa protestante datrice di lavoro, ma devono
limitarsi a verificare che il licenziamento ad opera di quest’ultima
non abbia violato i principi fondamentali dell’ordinamento
giuridico, come ad esempio imporre ai propri impiegati clausole di
lealtà inaccettabili. Nel momento in cui ha sottoscritto il
contratto, la ricorrente poteva rendersi perfettamente conto
dell’incompatibilità tra la sua appartenenza alla “Chiesa
Universale” e l’impiego presso la Chiesa protestante, la quale, in
quanto organizzazione fondata sull’etica e la religione, può
legittimamente pretendere dai propri impiegati doveri di lealtà, per
preservare la propria credibilità all’esterno e nei confronti dei
genitori degli allievi dell’asilo parrocchiale. Tenuto conto del
margine di apprezzamento delle giurisdizioni statali nel bilanciamento
concreto tra una pluralità di interessi individuali, la Corte ritiene
che l’art. 9 CEDU non impone allo stato tedesco di predisporre per
la ricorrente una tutela maggiore di quella prevista dalle autorità
nazionali, che non hanno riscontrato alcuna violazione dell’art. 9
CEDU.

Sentenza 23 settembre 2010, n.425/03

Nel caso di un dipendente di una confessione religiosa, licenziato per
motivi riguardanti la sfera privata (nel caso di specie: aver avuto
una relazione extra-coniugale), occorre operare un bilanciamento tra i
diritti delle parti: l’esigenza di lealtà all’organizzazione di
tendenza, da un lato, e il diritto alla vita privata e familiare,
dall’altro. Nel caso di specie, il licenziamento appare giustificato
se si considera la peculiarità delle mansioni esercitate dal
ricorrente, responsabile delle pubbliche relazioni in Europa per la
Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (Chiesa Mormone),
e la particolare importanza attribuita dalla Chiesa in questione alla
fedeltà matrimoniale. Si trattava, perciò, di un licenziamento reso
necessario dalla esigenza di preservare la credibilità della Chiesa
Mormone e il dovere di lealtà da parte dei dipendenti risultava
chiaramente dal contratto stipulato tra la Chiesa e il ricorrente; non
risulta violato l’art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata
e familiare).
Con questa sentenza (insieme alla “Schüth c. Germania
[https://www.olir.it/documenti/index.php?argomento=&documento=5491]”,
23 settembre 2010) la Corte europea dei diritti dell’Uomo si è
pronunciata per la prima volta su un caso relativo a un contrasto tra
organizzazioni di tendenza e dipendenti per motivi legati alla vita
privata di questi ultimi.

Sentenza 23 settembre 2010, n.1620/03

Nel rapporto di lavoro con un ente ecclesiastico (nella specie, una
parrocchia cattolica), il dipendente, firmando il suo contratto di
lavoro, accetta un dovere di lealtà verso la Chiesa e una
certa limitazione del proprio diritto al rispetto della vita privata
(sancito dall’art. 8 CEDU). Tale limitazione, tuttavia,
risulta consentita ai sensi della CEDU se liberamente accettata. Nel
caso di specie, la Corte ritiene che il dovere di lealtà non si
spinga fino al punto di obbligare il ricorrente (un organista in una
parrocchia di Essen) ad un impegno a vivere in astinenza in caso di
separazione o di divorzio; inoltre, a differenza del caso Obst c.
Germania (dove il dipendente licenziato aveva compiti di
rappresentanza e diffusione del credo della Chiesa Mormone), il
ricorrente non appare tenuto, in forza delle mansioni esercitate, a un
dovere di fedeltà particolarmente stringente. Risulta perciò violato
l’art. 8 della CEDU. Nelle sue conclusioni, la Corte ha tenuto conto
anche della difficoltà del ricorrente a trovare un nuovo impiego dopo
il licenziamento da parte della parrocchia cattolica, visto il
carattere specifico del suo lavoro. 
Con questa sentenza (insieme alla “Obst c. Germania
[https://www.olir.it/documenti/index.php?argomento=&documento=5492]”,
23 settembre 2010) la Corte europea dei diritti dell’Uomo si è
pronunciata per la prima volta su un caso relativo a un contrasto tra
organizzazioni di tendenza e dipendenti per motivi legati alla vita
privata di questi ultimi.

Comunicato 28 luglio 2010

Ministero dell'interno, Comunicato 28 luglio 2010, Calendario delle festività religiose ebraiche per il 2011. (in Gazz. Uff. 28 luglio 2010, n. 174) L'art. 5, n. 2. della legge 8 marzo 1989, n. 101, recante «Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione delle Comunità ebraiche italiane», emanata sulla base dell'intesa stipulata il […]