Sentenza 30 luglio 2010
Gli insegnamenti alternativi a quello di religione cattolica devono
essere offerti obbligatoriamente dalla Pubblica Amministrazione, ciò
al fine di rendere effettiva la scelta compiuta dallo studente, ma
tale scelta non incide, comunque, sul carattere facoltativo dei
suddetti insegnamenti.
La Pubblica Amministrazione non dispone di discrezionalità in base
all’argomento per cui l’attivazione dei corsi alternativi sarebbe
subordinato alla disponibilità di mezzi economici; la disponibilità
economica dell’amministrazione, infatti, non influisce sulla
posizione giuridica soggettiva della persona, che rimane tale pur a
fronte dell’inesistenza di mezzi economici.
Stante la nozione di discriminazione data dalle Direttive 2000/43/CE
del 29 giugno 2000 e 2000/78/CE del 27 novembre 2000, recepite
nell’ordinamento italiano rispettivamente con D. Lgs. nn. 215 e 216
del 2003 è da considerarsi comportamento indirettamente
discriminatorio la condotta di un istituto scolastico che non avendo
attivato gli insegnamenti alternativi a quello di religione cattolica
ha costretto una alunna non avvalentesi per una parte dell’anno ad
assistere all’ora di religione cattolica (condotta che integra
sicuramente una lesione della libertà di religione della stessa
essendo incisa la libera scelta di non seguire l’insegnamento
religioso) e per altro periodo ad essere collocata presso una classe
parallela durante l’orario nel quale nella sua classe si teneva
l’ora di religione (integrando in questo caso una discriminazione
rispetto ai propri colleghi che hanno potuto fruire di un apporto
conoscitivo di tipo confessionale, rispondente alle proprie
convinzioni religiose). Tale condotta della p.a., essendo stata
accertata la lesione di due valori costituzionale della persona (la
libertà di religione ed il diritto all’istruzione), genera un
“danno non patrimoniale” risarcibile (danno esistenziale): nella
fattiscpecie l’istituto scolastico è stato condanato a un
risarcimento di euro 1500 in favore dei genitori dell’alunna.