Il licenziamento senza preavviso di una educatrice d’infanzia
impiegata presso un asilo di una parrocchia protestante, a motivo
dell’appartenenza della dipendente ad una confessione religiosa
diversa da quella dell’istituzione presso cui lavora, non
costituisce violazione dell’art. 9 CEDU, in quanto è espressione
dell’autonomia dell’organizzazione religiosa che ha fatto
sottoscrivere in sede di firma del contratto una clausola di lealtà
all’istituzione di tendenza.
Nel caso di specie, la ricorrente, divenuta membro della Chiesa
Universale/Fraternità dell’Umanità ed assunte in questa
organizzazione delle attività di iniziazione e diffusione del
messaggio religioso, lamenta l’illegittimità del licenziamento
subito ad opera della parrocchia protestante presso cui lavora come
educatrice e la violazione del suo diritto di libertà religiosa. La
Corte afferma che quando si tratta di controversie tra individuo e
confessione religiosa organizzata, l’applicazione dell’art. 9 deve
essere coordinata con l’art. 11 CEDU che, sancendo la libertà di
associazione, riconosce l’autonomia di tali comunità a garanzia
del pluralismo nelle società democratiche e dello stesso godimento
effettivo delle libertà di cui all’art. 9. Pertanto, le autorità
giudiziarie nazionali del lavoro, adite in una serie di ricorsi
interni dalla ricorrente, hanno rispettato quell’autonomia,
ritenendo che il contratto di lavoro stipulato dalla ricorrente non le
consentiva né di appartenere né partecipare alle attività di
un’organizzazione confessionale con finalità incompatibili con
quelle dell’organizzazione presso cui lavorava, la quale “pouvait
imposer à ses employés de s’abstenir d’activités mettant en
doute leur loyauté envers elle et d’adopter une conduite
professionnelle et privée conforme à ces exigences”. Le
giurisdizioni nazionali, d’altra parte, nel rispetto
dell’autonomia confessionale, non possono spingersi ad un giudizio
nel merito della compatibilità tra finalità religiose
dell’organizzazione di appartenenza della ricorrente e finalità
proprie della Chiesa protestante datrice di lavoro, ma devono
limitarsi a verificare che il licenziamento ad opera di quest’ultima
non abbia violato i principi fondamentali dell’ordinamento
giuridico, come ad esempio imporre ai propri impiegati clausole di
lealtà inaccettabili. Nel momento in cui ha sottoscritto il
contratto, la ricorrente poteva rendersi perfettamente conto
dell’incompatibilità tra la sua appartenenza alla “Chiesa
Universale” e l’impiego presso la Chiesa protestante, la quale, in
quanto organizzazione fondata sull’etica e la religione, può
legittimamente pretendere dai propri impiegati doveri di lealtà, per
preservare la propria credibilità all’esterno e nei confronti dei
genitori degli allievi dell’asilo parrocchiale. Tenuto conto del
margine di apprezzamento delle giurisdizioni statali nel bilanciamento
concreto tra una pluralità di interessi individuali, la Corte ritiene
che l’art. 9 CEDU non impone allo stato tedesco di predisporre per
la ricorrente una tutela maggiore di quella prevista dalle autorità
nazionali, che non hanno riscontrato alcuna violazione dell’art. 9
CEDU.