Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 20 dicembre 2017, n.C-372/16

Interpellata in sede di rinvio pregiudiziale, la Corte di Giustizia
dell'Unione Europea ha chiarito che l’articolo 1 del
regolamento (UE) n. 1259/2010 del Consiglio, del 20 dicembre 2010,
relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel
settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione
personale, va interpretato nel senso che il divorzio risultante da una
dichiarazione unilaterale di uno dei coniugi dinanzi a un tribunale
religioso, come quello oggetto del procedimento principale, non ricade
nella sfera di applicazione ratione materiae di detto regolamento.

Conventio 08 maggio 2012

In Acta Apostolicae Sedis 7 Septembris 2012 N. 9
Instrumenta ratihabitionis Conventionis inter Apostolicam Sedem
atque Foederatam Civitatem Saxoniae Inferioris constitutae, accepta
et reddita mutuo fuerunt Berolini in urbe die XXV mensis Iulii anno
MMXII; a quo ipso die Conventio vigere coepit ad normam eiusdem
Pactionis.

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 vedi anche:
Concordato tra la Santa Sede ed il Land Niedersachsen
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=5312] (1965)
Accordo fra la Santa Sede e il Land Niedersachsen a modifica del
Concordato del 26 febbraio 1965 (2010)
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=5813]

Sentenza 03 febbraio 2011, n.18136/02

Il licenziamento senza preavviso di una educatrice d’infanzia
impiegata presso un asilo di una parrocchia protestante, a motivo
dell’appartenenza della dipendente ad una confessione religiosa
diversa da quella dell’istituzione presso cui lavora, non
costituisce violazione dell’art. 9 CEDU, in quanto è espressione
dell’autonomia dell’organizzazione religiosa che ha fatto
sottoscrivere in sede di firma del contratto una clausola di lealtà
all’istituzione di tendenza.
Nel caso di specie, la ricorrente, divenuta membro della Chiesa
Universale/Fraternità dell’Umanità ed assunte in questa
organizzazione delle attività di iniziazione e diffusione del
messaggio religioso, lamenta l’illegittimità del licenziamento
subito ad opera della parrocchia protestante presso cui lavora come
educatrice e la violazione del suo diritto di libertà religiosa. La
Corte afferma che quando si tratta di controversie tra individuo e
confessione religiosa organizzata, l’applicazione dell’art. 9 deve
essere coordinata con l’art. 11 CEDU che, sancendo la libertà di
associazione, riconosce l’autonomia  di tali comunità a garanzia
del pluralismo nelle società democratiche e dello stesso godimento
effettivo delle libertà di cui all’art. 9. Pertanto, le autorità
giudiziarie nazionali del lavoro, adite in una serie di ricorsi
interni dalla ricorrente, hanno rispettato quell’autonomia,
ritenendo che il contratto di lavoro stipulato dalla ricorrente non le
consentiva né di appartenere né partecipare alle attività di
un’organizzazione confessionale con finalità incompatibili con
quelle dell’organizzazione presso cui lavorava, la quale “pouvait
imposer à ses employés de s’abstenir d’activités mettant en
doute leur loyauté envers elle et d’adopter une conduite
professionnelle et privée conforme à ces exigences”. Le
giurisdizioni nazionali, d’altra parte, nel rispetto
dell’autonomia confessionale, non possono spingersi ad un giudizio
nel merito della compatibilità tra finalità religiose
dell’organizzazione di appartenenza della ricorrente e finalità
proprie della Chiesa protestante datrice di lavoro, ma devono
limitarsi a verificare che il licenziamento ad opera di quest’ultima
non abbia violato i principi fondamentali dell’ordinamento
giuridico, come ad esempio imporre ai propri impiegati clausole di
lealtà inaccettabili. Nel momento in cui ha sottoscritto il
contratto, la ricorrente poteva rendersi perfettamente conto
dell’incompatibilità tra la sua appartenenza alla “Chiesa
Universale” e l’impiego presso la Chiesa protestante, la quale, in
quanto organizzazione fondata sull’etica e la religione, può
legittimamente pretendere dai propri impiegati doveri di lealtà, per
preservare la propria credibilità all’esterno e nei confronti dei
genitori degli allievi dell’asilo parrocchiale. Tenuto conto del
margine di apprezzamento delle giurisdizioni statali nel bilanciamento
concreto tra una pluralità di interessi individuali, la Corte ritiene
che l’art. 9 CEDU non impone allo stato tedesco di predisporre per
la ricorrente una tutela maggiore di quella prevista dalle autorità
nazionali, che non hanno riscontrato alcuna violazione dell’art. 9
CEDU.

Sentenza 23 settembre 2010, n.425/03

Nel caso di un dipendente di una confessione religiosa, licenziato per
motivi riguardanti la sfera privata (nel caso di specie: aver avuto
una relazione extra-coniugale), occorre operare un bilanciamento tra i
diritti delle parti: l’esigenza di lealtà all’organizzazione di
tendenza, da un lato, e il diritto alla vita privata e familiare,
dall’altro. Nel caso di specie, il licenziamento appare giustificato
se si considera la peculiarità delle mansioni esercitate dal
ricorrente, responsabile delle pubbliche relazioni in Europa per la
Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (Chiesa Mormone),
e la particolare importanza attribuita dalla Chiesa in questione alla
fedeltà matrimoniale. Si trattava, perciò, di un licenziamento reso
necessario dalla esigenza di preservare la credibilità della Chiesa
Mormone e il dovere di lealtà da parte dei dipendenti risultava
chiaramente dal contratto stipulato tra la Chiesa e il ricorrente; non
risulta violato l’art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata
e familiare).
Con questa sentenza (insieme alla “Schüth c. Germania
[https://www.olir.it/documenti/index.php?argomento=&documento=5491]”,
23 settembre 2010) la Corte europea dei diritti dell’Uomo si è
pronunciata per la prima volta su un caso relativo a un contrasto tra
organizzazioni di tendenza e dipendenti per motivi legati alla vita
privata di questi ultimi.

Sentenza 23 settembre 2010, n.1620/03

Nel rapporto di lavoro con un ente ecclesiastico (nella specie, una
parrocchia cattolica), il dipendente, firmando il suo contratto di
lavoro, accetta un dovere di lealtà verso la Chiesa e una
certa limitazione del proprio diritto al rispetto della vita privata
(sancito dall’art. 8 CEDU). Tale limitazione, tuttavia,
risulta consentita ai sensi della CEDU se liberamente accettata. Nel
caso di specie, la Corte ritiene che il dovere di lealtà non si
spinga fino al punto di obbligare il ricorrente (un organista in una
parrocchia di Essen) ad un impegno a vivere in astinenza in caso di
separazione o di divorzio; inoltre, a differenza del caso Obst c.
Germania (dove il dipendente licenziato aveva compiti di
rappresentanza e diffusione del credo della Chiesa Mormone), il
ricorrente non appare tenuto, in forza delle mansioni esercitate, a un
dovere di fedeltà particolarmente stringente. Risulta perciò violato
l’art. 8 della CEDU. Nelle sue conclusioni, la Corte ha tenuto conto
anche della difficoltà del ricorrente a trovare un nuovo impiego dopo
il licenziamento da parte della parrocchia cattolica, visto il
carattere specifico del suo lavoro. 
Con questa sentenza (insieme alla “Obst c. Germania
[https://www.olir.it/documenti/index.php?argomento=&documento=5492]”,
23 settembre 2010) la Corte europea dei diritti dell’Uomo si è
pronunciata per la prima volta su un caso relativo a un contrasto tra
organizzazioni di tendenza e dipendenti per motivi legati alla vita
privata di questi ultimi.

Concordato 26 febbraio 1965

CONVENTIO INTER APOSTOLICAM SEDEM ET SAXONIAM INFERIOREM CONCORDATO TRA LA SANTA SEDE E IL LAND NIEDERSACHSEN (A.A.S., vol. LVII (1965), n. 12, pp. 834-856) Sua Santità il Papa Paolo VI e il Presidente dei Ministri del Niedersachsen concordi nel desiderio di consolidare e promuovere in spirito di amicizia i rapporti tra la Chiesa Cattolica e […]

Sentenza 23 febbraio 2006

Corte di Giustizia delle Comunità Europea. Sentenza 23 febbraio 2006: “Mancata trasposizione della direttiva 2000/78/CE sulla discriminazione da parte della Germania”. ARRÊT DE LA COUR (quatrième chambre) Dans l’affaire C-43/05, ayant pour objet un recours en manquement au titre de l’article 226 CE, introduit le 3 février 2005, Commission des Communautés européennes, représentée par MM. […]