Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 20 maggio 2016, n.579

L’art. 3, comma 3 del D.Lgs. n. 216 del 2003 stabilisce che
“nel rispetto dei principi di proporzionalità e
ragionevolezza e purché la finalità sia legittima,
nell’ambito del rapporto di lavoro o dell’esercizio
dell’attività di impresa, non costituiscono atti di
discriminazione […] quelle differenze di trattamento dovute a
caratteristiche connesse alla religione, […], qualora per la
natura della attività lavorativa o per il contesto in cui essa
viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un
requisito essenziale o determinante ai fini dello svolgimento della
attività medesima”. Nel caso di specie, il giudice di
seconda istanza ha affermato che il “non indossare il
velo” non sia da ritenersi requisito essenziale o determinante
ai fini della selezione per l’attività di hostess,
riformando pertanto la sentenza del Tribunale di primo grado, ed ha
dichiarato il carattere discriminatorio del comportamento posto in
essere dalla società appellata, condannando quest’ultima
al risarcimento del danno non patrimoniale subito
dall’appellante.

Decreto 22 febbraio 2016

Parte della dottrina ha evidenziato la cd. “trascrizione
tardiva” è un istituto tipico del diritto concordatario
(v. art. 8 dell’Accordo del 18.2.1984), e andrebbe più
esattamente definita "trascrizione a richiesta degli sposi",
dal momento che, in questo caso, la trascrizione tempestiva non
è stata impedita da un "vizio" nel normale iter, ma
non è stata voluta per espresso intendimento degli sposi, ai
quali l'ordinamento in questo caso consente comunque, in prosieguo
di tempo, la possibilità di mutare opinione, trascrivendo
"tardivamente" – ma anche in questo caso con effetti
retroattivi – il matrimonio religioso a suo tempo celebrato; nei sensi
sopra ricordati, a parere del Tribunale adito, la trascrizione tardiva
non è applicabile nel caso di matrimoni celebrati con riti
diversi da quello concordatario, trattandosi di uno jus speciale non
esteso alle confessioni religiose diverse dalla cattolica; ciò
nondimeno, esclusa l’ipotesi della trascrizione tardiva –
nei sensi sopra indicati -, è invece ammissibile quella che la
dottrina definisce “trascrizione con effetti ex tunc”,
ossia un procedimento che risponde alla mera esigenza di porre riparo
a vizi o errori in cui sia incorso l’organo preposto nel
procedimento di mera trasmissione. Secondo il giudice adito, nel
silenzio della Legge, certamente esclusa una trascrizione tardiva per
mera volontà degli sposi – nei sensi in cui è ammessa –
dall’Accordo del 1984 per la confessione cattolica –,
è invece ammissibile una trascrizione riparatrice ossia il
porre rimedio a un procedimento di registrazione del matrimonio che,
per mero fatto ostativo non rimproverabile ai nubendi, non si è
validamente perfezionato; ciò a condizione che, al momento
della istanza di trascrizione posticipata, sussistano ancora i
requisiti per accedere all’unione matrimoniale e, soprattutto,
non siano venute meno le condizioni che legittimavano, a suo tempo, il
matrimonio (ad es., lo stato libero di entrambi i nubendi); ciò
anche a condizione che sia provato come, sin dall’inizio,
l’intenzione degli sposi fosse quella di ottenere un matrimonio
con effetti civili (e ciò è provato producendo – nel
caso di specie – la richiesta di nulla osta all’Ufficiale dello
Stato Civile, prima dell’unione).

Legge regionale 12 aprile 2016, n.12

L.R. Veneto 12 aprile 2016, n. 12: "Modifica della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 – Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio (e successive modificazioni)". (BUR Veneto n. 35 del 15 aprile 2016) Art. 1 Modifica dell’articolo 31 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo […]

Esortazione apostolica 19 marzo 2016

Chirografo del Santo Padre Francesco ai Vescovi per accompagnare
l’Esortazione Apostolica post-sinodale “Amoris
laetitia” [fonte: www.vatican.va]

Vaticano 8 aprile
2016
Caro fratello:
invocando la protezione della Santa
Famiglia di Nazareth, sono lieto di inviarti la mia Esortazione
“Amoris laetitia” per il bene di tutte le famiglie e di
tutte le persone, giovani e anziane, affidate al tuo ministero
pastorale.
Uniti nel Signore Gesù, con Maria e Giuseppe,
ti chiedo di non dimenticarti di pregare per me.
Franciscus

Sentenza 24 marzo 2016, n.63

Sono fondate le questioni di legittimità costituzionale aventi
ad oggetto i commi 2, 2-bis, lettere a) e b), e 2-quater,
dell’art. 70 della legge regionale Lombardia n. 12 del 2005,
come modificati dall’art. 1, comma 1, lettera b), della legge
regionale n. 2 del 2015, per violazione degli artt. 3, 8, 19 e 117,
secondo comma, lettera c), della Costituzione.
In virtù
delle modifiche apportate dalla legge regionale n. 2 del 2015, la
legge regionale n. 12 del 2005, sul governo del territorio, nel capo
dedicato alla realizzazione di edifici di culto e di attrezzature
destinate a servizi religiosi (artt. 70-73), distingue tre ordini di
destinatari: gli enti della Chiesa cattolica (art. 70, comma 1); gli
enti delle altre confessioni religiose con le quali lo Stato abbia
già approvato con legge un’intesa (art. 70, comma 2); gli
enti di tutte le altre confessioni religiose (art. 70, comma 2-bis). A
questa terza categoria di enti, collegati alle confessioni
“senza intesa”, i citati artt. 70-73 sono applicabili solo
a condizione che sussistano i seguenti requisiti: «a) presenza
diffusa, organizzata e consistente a livello territoriale e un
significativo insediamento nell’ambito del comune nel quale
vengono effettuati gli interventi disciplinati dal presente capo; b) i
relativi statuti esprim[a]no il carattere religioso delle loro
finalità istituzionali e il rispetto dei principi e dei valori
della Costituzione» (art. 70, comma 2 bis). In virtù del
comma 2-quater dell’art. 70, la valutazione di tali requisiti
è obbligatoriamente rimessa al vaglio preventivo,
ancorché non vincolante, di una consulta regionale, da
istituirsi e nominarsi con provvedimento della Giunta regionale della
Lombardia.
Ciò rilevato, la Regione è titolata,
nel governare la composizione dei diversi interessi che insistono sul
territorio, a dedicare specifiche disposizioni per la programmazione e
realizzazione di luoghi di culto;  viceversa, essa esorbita dalle
sue competenze, entrando in un ambito nel quale sussistono forti e
qualificate esigenze di eguaglianza, se, ai fini
dell’applicabilità di tali disposizioni, impone requisiti
differenziati, e più stringenti, per le sole confessioni per le
quali non sia stata stipulata e approvata con legge un’intesa ai
sensi dell’art. 8, terzo comma, della Costituzione. Del resto la
giurisprudenza della Corte adita è costante
nell’affermare che il legislatore non può operare
discriminazioni tra confessioni religiose in base alla sola
circostanza che esse abbiano o non abbiano regolato i loro rapporti
con lo Stato tramite accordi o intese (sentenze n. 346 del 2002 e n.
195 del 1993), posto che Il libero esercizio del culto è un
aspetto essenziale della libertà di religione (art. 19) ed
è, pertanto, riconosciuto egualmente a tutti e a tutte le
confessioni religiose (art. 8, primo e secondo comma).
Per
queste ragioni, deve essere dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 70, commi 2-bis, sia nelle lettere a) e
b), sia nella parte dell’alinea che le introduce (vale a dire,
nelle parole «che presentano i seguenti requisiti:»), e
2-quater, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005.

Sentenza 11 gennaio 2016, n.201

Sebbene nei CCNL per il comparto degli enti locali non sia
espressamente previsto il principio della necessaria annualità
dell'incarico di insegnamento della religione cattolica, dal
silenzio delle parti collettive non può desumersi la
possibilità per l'ente locale di assicurare
l'insegnamento religioso nelle scuole dell'infanzia mediante
il ricorso a contratti a termine di durata inferiore all'anno.

Sentenza 30 gennaio 2016, n.292

Dev’essere ritenuto illegittimo – e va pertanto caducato –
l’art. 4 del d.m. n. 46 del 2013 nella parte in cui identifica
le scuole paritarie che svolgono il servizio scolastico “senza
fini di lucro”, quali destinatarie di contributi pubblici in via
prioritaria rispetto alle altre scuole paritarie, ai sensi
dell’art. 1, comma 636, della legge 27 dicembre 2006, n. 296
("legge finanziaria 2007"), con le scuole paritarie
“gestite da soggetti giuridici senza fini di lucro”,
seguendo così il criterio “soggettivo –
formale” della natura giuridica dell’ente gestore,
anziché fare applicazione del criterio “oggettivo”
– coerente con la giurisprudenza in materia di aiuti di Stato, e
con la giurisprudenza nazionale -, in base al quale il fine di lucro
della scuola paritaria va posto in correlazione diretta con le
caratteristiche, economico – commerciali, o meno,
dell’attività esercitata, e non, come detto, con la
natura dell’ente; sicchè, diversamente da quanto
stabilito nel citato art. 4 del decreto impugnato in primo grado, per
scuole paritarie senza scopi di lucro, ai fini dell’erogazione
di contributi pubblici in via prioritaria, non devono intendersi
quelle gestite da soggetti giuridici senza fini di lucro, e neppure
possono essere presi in considerazione gli istituti ammessi a produrre
utilità apprezzabili sul piano economico, ossia contrassegnati
dalla presenza di “lucro in senso oggettivo” ma
assoggettati al divieto di distribuzione degli eventuali utili in
favore di amministratori o soci (c. d. “assenza di lucro
soggettivo”), ma debbono considerarsi tali le scuole paritarie
che svolgono il servizio scolastico senza corrispettivo, vale a dire a
titolo gratuito, o dietro versamento di un corrispettivo solo
simbolico per il servizio scolastico prestato, o comunque di un
corrispettivo tale da coprire solamente una frazione del costo
effettivo del servizio, dovendo, in questo contesto, il pagamento di
rette di importo non minimo essere considerato fatto rivelatore
dell’esercizio di un’attività con modalità
commerciali.