Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Ordinanza 12 settembre 2018, n.22218/18

La Corte di Cassazione ha chiarito che può essere
dichiarata efficace nella Repubblica italiana la sentenza
ecclesiastica che dichiara la nullità del matrimonio per vizio
del consenso, qualora, dalle esternazioni fatte da un coniuge, anche
prima del matrimonio, all’altro fosse sicuramente chiara la
propria volontà di escludere l'indissolublità del
vincolo nuziale.
Nello specifico, le prove testimoniali
raccolte avevano confermato la consapevolezza della moglie in merito
alla posizione del marito e la possiblità di questa, anche
prima del matrimonio, di prendere coscienza delle volontà del
futuro coniuge.

Decisione 17 ottobre 2018, n.2807/2016

In due distinte decisioni, il Comitato per i Diritti Umani delle
Nazioni Unite ha rilevato una violazione dei diritti umani nella
normativa francese che multa il porto del niqab, il velo islamico
integrale. In particolare, il Comitato ha ritenuto una simile
limitazione della libertà religiosa non necessaria e
sproporzionata rispetto all'obiettivo che la legge si pone, il
"vivere insieme". Gli Stati possono certamente richiedere
agli individui di mostrare il proprio volto in determinate circostanze
per motivi di identificazione, ma questo non può portare al
divieto generalizzato di indossare un simbolo religioso. Anzi, un
simile ostacolo, più che proteggere le donne velate
integralmente, come la norma si propone, rischia di produrre il
risultato opposto: confinarle all'interno delle proprie
abitazioni, impedendo loro l'accesso ai servizi pubblici e
marginalizzandole.

Decisione 17 ottobre 2018, n.2747/2016

In due distinte decisioni, il Comitato per i Diritti Umani delle
Nazioni Unite ha rilevato una violazione dei diritti umani nella
normativa francese che multa il porto del niqab, il velo islamico
integrale. In particolare, il Comitato ha ritenuto una simile
limitazione della libertà religiosa non necessaria e
sproporzionata rispetto all'obiettivo che la legge si pone, il
"vivere insieme". Gli Stati possono certamente richiedere
agli individui di mostrare il proprio volto in determinate circostanze
per motivi di identificazione, ma questo non può portare al
divieto generalizzato di indossare un simbolo religioso. Anzi, un
simile ostacolo, più che proteggere le donne velate
integralmente, come la norma si propone, rischia di produrre il
risultato opposto: confinarle all'interno delle proprie
abitazioni, impedendo loro l'accesso ai servizi pubblici e
marginalizzandole.

Sentenza 06 novembre 2018, n.C-622-623/16

La Corte di Giustizia
dell'Unione Europea ha stabilito che lo Stato italiano deve
recuperare gli aiuti illegali concessi sulla base dell'esenzione
dall'ICI, annullando la decisione della Commissione del 2012 e la
sentenza del Tribunale UE del 2016 che avevano sancito
l’impossibilità di recupero dell’aiuto nei
confronti degli enti non commerciali, come scuole, cliniche e alberghi
"a causa di difficoltà organizzative". I giudici di
Lussemburgo hanno infatti riitenuto che tali circostanze costituiscano
mere «difficoltà interne»
all’Italia, esclusivamente ad essa imputabili e non idonee
a giustificare l’emanazione di una decisione di non recupero. La
Commissione europea avrebbe dovuto esaminare nel dettaglio
l’esistenza di modalità alternative volte a consentire il
recupero, anche soltanto parziale, delle somme; i ricorrenti erano
situati in prossimità immediata di enti ecclesiastici o
religiosi che esercitavano attività analoghe e quindi
l’esenzione ICI li poneva «in una situazione
concorrenziale sfavorevole e falsata. La Corte di giustizia ha
ritenuto invece legittime le esenzioni dall’IMU, in quanto con
quest'ultima imposta l’esenzione è stata limitata ai
soli locali dedicati al culto mentre l’imposta è dovuta
sul resto del fabbricato.

Sentenza 08 ottobre 2018, n.2227/2018

Il TAR Lombardia ha rimesso alla Corte costituzionale, per
contrasto con gli artt. 2, 3, 5, 19, 114, 117, commi 2, lett. m), e 6,
terzo periodo, e 118 Cost., la questione di legittimità
costituzionale relativa all’art. 72, comma 5, l. reg.
Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, nel testo risultante dalle modifiche
apportate dall’art. 1, comma 1, lett. c), l. reg. Lombardia 3
febbraio 2015, n. 2, nella parte in cui, avuto riguardo alla tutela
costituzionale riservata alla libertà religiosa, non detta
alcun limite alla discrezionalità del Comune nel decidere
quando e in che senso determinarsi a fronte della richiesta di
individuazione di edifici o aree da destinare al culto. Ritiene
infatti il Tar che la domanda di spazi da dedicare all’esercizio
di tale libertà debba trovare una risposta – in un senso
positivo o in senso negativo – in tempi certi, ed entro un termine
ragionevole, avuto riguardo sia ai tempi connessi alla valutazione di
impatto sul tessuto urbanistico, a volte indiscutibilmente complessa,
sia avuto riguardo alla particolare importanza del bene della vita al
quale aspirano i fedeli interessati. La richiamata condizione di
attesa a tempo indeterminato e di incertezza rileva quale ostacolo
all’esplicazione del diritto di libertà religiosa.

Sentenza 03 agosto 2018, n.1939/2018

Il TAR di Milano ha rimesso alla Corte costituzionale, per
contrasto con gli artt. 2, 3 e 19 Cost., la questione di
legittimità costituzionale relativa all’art. 72, commi 1
e 2, l. reg. Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, nella parte in cui
stabilisce che – in assenza o comunque al di fuori delle
previsioni del Piano delle attrezzature religiose – non sia
consentita l’apertura di alcuna attrezzatura religiosa, a
prescindere dal contesto e dal carico urbanistico generato dalla
specifica opera. Secondo il TAR, tali previsioni sono di dubbia
legittimità costituzionale in quanto preordinano una completa e
assoluta programmazione pubblica della realizzazione di
“attrezzature religiose”, in funzione delle
“esigenze locali” – rimesse all’apprezzamento
discrezionale del Comune – a prescindere dalle caratteristiche
in concreto di tali opere, e persino della loro destinazione alla
fruizione da parte di un pubblico più o meno esteso,
introducendo così un controllo pubblico totale, esorbitante
rispetto alle esigenze proprie della disciplina urbanistica, in ordine
all’apertura di qualsivoglia spazio destinato
all’esercizio del culto (o anche di semplici attività
culturali a connotazione religiosa).

Sentenza 27 agosto 2018, n.2018/18

Il TAR Lombardia ha respinto il ricorso proposto
da un'associazione culturale avverso l'ordinanza con cui il
Comune di Cantù aveva disposto la cessazione dell'utilizzo a
luogo di culto di un immobile di proprietà di quest'ultima,
per contrasto con la destinazione urbanistica dell'area e in
assenza del relativo permesso di costruire. Il rilevante numero di
persone che entra nell'immobile in occasione delle feste
religiose, infatti, palesa un utilizzo dei locali che, per la sua
incidenza urbanistica ed edilizia, necessita del previo rilascio di un
permesso di costruire, mai rilasciato. il Legislatore Regionale,
invece, ha imposto l'obbligatorietà del titolo edilizio ai fini
del conseguimento della destinazione di un immobile a luogo di culto,
anche in assenza di opere edilizie.

Sentenza 18 settembre 2018, n.3413/09

La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo
ha ravvisato una violazione dell'articolo 9 della Convenzione nel
provvedimento di un giudice belga che aveva imposto a una donna di
allontanarsi dall'aula di tribunale a seguito del suo rifiuto di
rimuovere  l'hijab, il velo islamico che copre esclusivamente
capelli e collo. Secondo la Corte, ciò ha comportato una
evidente restrizione all'esercizio del diritto di libertà
religiosa della donna, dal momento che il provvedimento non poteva
dirsi giustificato da esigenze di ordine pubblico: la condotta della
donna, infatti, non è stata in alcun modo irrispettosa e non ha
costituito alcuna minaccia al regolare svolgimento dell'udienza.
Inoltre, il velo non copriva l’intero volto e la donna non
rappresentava lo Stato nell’esercizio di una funzione pubblica
ma era una cittadina privata, senza obblighi di non mostrare in
pubblico il proprio credo religioso. Le aule di giustizia vanno
sì considerate luoghi pubblici, con la conseguenza che il
principio di neutralità deve essere garantito e prevalere
rispetto alla manifestazione del credo religioso, ma, nel caso di
specie, la motivazione alla base del provvedimento non era la
neutralità quanto il mantenimento dell’ordine che, per la
Corte, non era in alcun modo compromesso dal velo indossato dalla
donna.