Varie 2002
Commissione Teologica Internazionale. “Comunione e servizio. La persona umana come immagine di Dio”, 2002.
INTRODUZIONE
1. L’aumento esplosivo delle conoscenze scientifiche e delle capacità tecnologiche nell’epoca moderna ha portato notevoli vantaggi al genere umano, ma pone anche difficili sfide. Alla luce delle nostre conoscenze sull’immensità e l’antichità dell’universo appaiono assai meno rilevanti e sicure la posizione e l’importanza dell’uomo al suo interno. Il progresso tecnologico ha considerevolmente accresciuto la nostra capacità di controllare e dirigere le forze della natura, ma ha anche finito con l’esercitare un impatto imprevisto e forse incontrollabile sul nostro ambiente e persino sullo stesso genere umano.
2. La Commissione Teologica Internazionale offre la seguente meditazione teologica sulla dottrina dell’imago Dei per orientare la riflessione sul significato dell’esistenza umana di fronte a tali sfide. Al tempo stesso desideriamo presentare la visione positiva della persona umana all’interno dell’universo che ci viene offerta da questo tema dottrinale recentemente riscoperto.
3. Soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II, la dottrina dell’imago Dei ha avuto una rilevanza sempre maggiore nell’insegnamento del Magistero e nella ricerca teologica. In precedenza, a causa di diversi fattori, la teologia dell’imago Dei era stata lasciata in ombra da alcuni teologi e filosofi occidentali moderni. Nella filosofia il concetto stesso di «immagine» è stato oggetto di pesanti critiche provenienti da quelle teorie della conoscenza che o privilegiavano il ruolo dell’«idea» a scapito dell’immagine (razionalismo), o consideravano l’esperienza il criterio ultimo della verità, senza fare riferimento al ruolo dell’immagine (empirismo). Esistono inoltre fattori culturali, come l’influenza dell’umanesimo secolare e, in tempi più recenti, la profusione di immagini da parte dei media, che hanno reso difficile affermare, da una parte, l’orientamento umano verso il divino e, dall’altra, il riferimento ontologico dell’immagine, entrambi presupposti essenziali per una qualsiasi teologia dell’imago Dei. All’interno della stessa teologia occidentale lo scarso peso attribuito a questo tema si spiega anche alla luce di interpretazioni bibliche che hanno sottolineato la validità permanente del divieto di creare immagini (cfr Es 20,3-4) o hanno postulato un influsso ellenistico sulla comparsa di questo tema nella Bibbia.
4. Soltanto alla vigilia del Concilio Vaticano II i teologi hanno cominciato a riscoprire la fecondità di questo tema ai fini di una comprensione e articolazione dei misteri della fede cristiana. Effettivamente i documenti conciliari esprimono e al tempo stesso confermano questo sviluppo significativo nella teologia del XX secolo. In linea con il crescente recupero di interesse del tema dell’imago Dei, verificatosi successivamente al Concilio Vaticano II, la Commissione Teologica Internazionale si propone nelle pagine seguenti di riaffermare la verità che la persona umana è creata a immagine di Dio per godere di una comunione personale con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo e, in loro, con gli altri uomini, e per esercitare, in nome di Dio, un’amministrazione responsabile sul mondo creato. Alla luce di questa verità, l’universo non ci appare come semplicemente immenso e forse privo di significato, ma piuttosto come un luogo creato per la comunione personale.
5. Come cercheremo di dimostrare nei capitoli seguenti, queste verità profonde non hanno perduto nulla della loro rilevanza o del loro peso. Dopo una breve rassegna delle basi scritturistiche e tradizionali dell’imago Dei nel capitolo 1°, passiamo ai due grandi temi della teologia dell’imago Dei: nel capitolo 2° esaminiamo l’imago Dei come fondamento della comunione con il Dio uno e trino e tra le persone umane e, nel capitolo 3°, l’imago Dei come fondamento della partecipazione al governo che Dio esercita sulla creazione visibile. Queste riflessioni mettono insieme i principali elementi dell’antropologia cristiana e alcuni elementi dell’etica e della teologia morale così come vengono illuminati dalla teologia dell’imago Dei. Siamo ben consapevoli dell’ampiezza delle tematiche che abbiamo qui cercato di affrontare, ma offriamo queste riflessioni per ricordare a noi stessi e ai nostri lettori quanto sia immensa la potenza esplicativa della teologia dell’imago Dei proprio per riaffermare la verità divina relativamente all’universo e al significato della vita umana.
CAPITOLO PRIMO
LA PERSONA UMANA CREATA A IMMAGINE DI DIO
6. Come testimoniato dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione e dal Magistero, la verità che gli esseri umani sono creati a immagine di Dio è nel cuore della rivelazione cristiana. I Padri della Chiesa e i grandi teologi scolastici hanno riconosciuto tale verità e ne hanno esposte le implicazioni di massima. Nonostante che questa verità, come vedremo più oltre, sia stata messa in discussione da alcuni influenti pensatori moderni, oggi i teologi e gli studiosi biblici sono concordi con il Magistero nel riscoprire e riaffermare la dottrina dell’imago Dei.
1. L’«imago Dei» nella Scrittura e nella Tradizione
7. Con alcune rare eccezioni, la maggior parte degli esegeti contemporanei riconosce la centralità del tema dell’imago Dei nella rivelazione biblica (cfr Gn 1,26-27; 5,1-3; 9,6). Questo tema viene visto come la chiave per una comprensione biblica della natura umana e per tutte le affermazioni di antropologia biblica nell’Antico come nel Nuovo Testamento. Per la Bibbia, l’imago Dei costituisce quasi una definizione dell’uomo: il mistero dell’uomo non può essere compreso separatamente dal mistero di Dio.
8. Il concetto veterotestamentario dell’uomo creato a imago Dei riflette in parte il pensiero del Vicino Oriente antico, secondo il quale il re era immagine di Dio sulla Terra. L’interpretazione biblica è però diversa, in quanto estende il concetto di immagine di Dio a tutti gli uomini. La Bibbia si differenzia ulteriormente dal pensiero del Vicino Oriente in quanto vede l’uomo come diretto innanzitutto non verso il culto degli dèi, ma verso la coltivazione della Terra (cfr Gn 2,15). Collegando, per così dire, il culto più direttamente con la coltivazione, la Bibbia comprende che l’attività umana nei sei giorni della settimana è ordinata al sabato, un giorno di benedizione e di santificazione.
9. Due temi convergono nel dare forma alla prospettiva biblica. Innanzitutto è l’uomo nella sua interezza ad essere creato a immagine di Dio. Questa prospettiva esclude le interpretazioni che fanno risiedere l’imago Dei nell’uno o nell’altro aspetto della natura umana (ad esempio, nella sua rettitudine o nel suo intelletto), o in una delle sue qualità o funzioni (ad esempio, la sua natura sessuale o il suo dominio sulla Terra). Evitando sia il monismo sia il dualismo, la Bibbia presenta una visione dell’essere umano nella quale la dimensione spirituale è vista insieme alla dimensione fisica, sociale e storica dell’uomo.
10. In secondo luogo il racconto della creazione della Genesi mette in evidenza come l’uomo non sia stato creato come un individuo isolato: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gn 1,27). Dio ha posto i primi esseri umani in relazione l’uno con l’altro, ognuno con un partner dell’altro sesso. La Bibbia afferma che l’uomo esiste in relazione con altre persone, con Dio, con il mondo e con se stesso. Secondo questo concetto, l’uomo non è un individuo isolato, ma una persona: un essere essenzialmente relazionale. Lungi dal significare un attualismo puro che ne negherebbe lo status ontologico permanente, il carattere fondamentalmente relazionale dell’imago Dei stessa ne costituisce la struttura ontologica ed è fondamento per l’esercizio della libertà e della responsabilità.
11. Secondo il Nuovo Testamento, l’immagine creata presente nell’Antico Testamento deve essere completata nell’imago Christi. Nello sviluppo neotestamentario di questo tema emergono due elementi distintivi: il carattere cristologico e trinitario dell’imago Dei, e il ruolo della mediazione sacramentale nella formazione dell’imago Christi.
12. Poiché l’immagine perfetta di Dio è Cristo stesso (2 Cor 4,4; Col 1,15; Eb 1,3), l’uomo dev’essere a lui conformato (Rm 8,29) per diventare figlio del Padre attraverso la potenza dello Spirito Santo (Rm 8,23). Effettivamente per «diventare» immagine di Dio è necessario che l’uomo partecipi attivamente alla sua trasformazione secondo il modello dell’immagine del Figlio (Col 3,10), che manifesta la propria identità tramite il movimento storico dalla sua Incarnazione alla sua gloria. Secondo il modello tratteggiato per primo dal Figlio, l’immagine di Dio in ogni uomo è costituita dal suo stesso percorso storico che parte dalla creazione, passando per la conversione dal peccato, fino alla salvezza e al suo compimento. Proprio come Cristo ha manifestato la sua signoria sul peccato e sulla morte attraverso la sua Passione e Risurrezione, così ogni uomo consegue la propria signoria attraverso Cristo nello Spirito Santo — non soltanto una sovranità sulla Terra e sul regno animale (come afferma l’Antico Testamento) — ma principalmente sul peccato e sulla morte.
13. Secondo il Nuovo Testamento, questa trasformazione nell’immagine di Cristo si attua attraverso i sacramenti, innanzitutto come effetto dell’illuminazione del messaggio di Cristo (2 Cor 3,18-4,6) e del battesimo (1 Cor 12,13). La comunione con Cristo deriva dalla fede in lui e dal battesimo, attraverso il quale si muore all’uomo vecchio tramite Cristo (Gal 3,26-28) e ci si riveste dell’uomo nuovo (Gal 3,27; Rm 13,14). La Penitenza, l’Eucaristia e gli altri sacramenti ci confermano e ci rafforzano in questa trasformazione radicale, che avviene secondo il modello della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo. Creati a immagine di Dio e perfezionati a immagine di Cristo grazie alla potenza dello Spirito Santo nei sacramenti, siamo stretti in un abbraccio d’amore dal Padre.
14. La visione biblica dell’immagine di Dio ha continuato a occupare un posto di rilievo nell’antropologia cristiana dei Padri della Chiesa e nella teologia successiva, fino all’inizio dell’epoca moderna. A dimostrazione della centralità di questo tema vediamo come i primi cristiani hanno cercato di interpretare la proibizione biblica delle rappresentazioni artistiche di Dio (cfr Es 20,2-3; Dt 27,15) alla luce dell’Incarnazione. Infatti il mistero dell’Incarnazione ha dimostrato la possibilità di rappresentare Dio-fatto-uomo nella sua realtà umana e storica. Le argomentazioni che nelle dispute iconoclastiche del VII e VIII secolo sono state addotte a difesa della rappresentazione artistica del Verbo Incarnato e degli eventi della salvezza si basavano su una profonda comprensione dell’unione ipostatica, che rifiutava di separare nell’«immagine» il divino dall’umano.
15. La teologia patristica e medievale per certi aspetti ha preso le distanze dall’antropologia biblica, e per altri l’ha ulteriormente sviluppata. La maggior parte dei rappresentanti della tradizione, ad esempio, non ha aderito pienamente alla visione biblica che identificava l’immagine con la totalità dell’uomo. Uno sviluppo significativo del racconto biblico è dato dalla distinzione che fa sant’Ireneo tra immagine e somiglianza, secondo la quale «immagine» denota una partecipazione ontologica (methexis) e «somiglianza» (mimēsis) una trasformazione morale (Adv. Haer. V, 6, 1; V, 8, 1; V, 16, 2). Secondo Tertulliano, Dio ha creato l’uomo a sua immagine e gli ha trasfuso il suo soffio vitale in quanto sua somiglianza. Mentre l’immagine non potrà mai essere distrutta, la somiglianza può essere perduta tramite il peccato (Bapt. 5, 6. 7). Sant’Agostino non ha fatto sua questa distinzione, ma ha presentato una versione più personalistica, psicologica ed esistenziale dell’imago Dei. Per lui, l’immagine di Dio nell’uomo ha una struttura trinitaria, che riflette o la struttura tripartita dell’anima umana (spirito, coscienza di sé e amore) o i tre aspetti della psiche (memoria, intelligenza e volontà). Secondo Agostino, l’immagine di Dio nell’uomo lo orienta verso Dio nell’invocazione, nella conoscenza e nell’amore (Confessioni I, 1, 1).
16. In Tommaso d’Aquino, l’imago Dei possiede una natura storica, in quanto passa attraverso tre fasi: l’imago creationis (naturae), l’imago recreationis (gratiae) e l’imago similitudinis (gloriae) (S. Th. I q. 93 a. 4). Per l’Aquinate, l’imago Dei è fondamento della partecipazione alla vita divina. L’immagine di Dio si realizza principalmente in un atto di contemplazione nell’intelletto (S. Th. I q. 93 a. 4 e 7). Questa concezione si distingue da quella di Bonaventura, per il quale l’immagine si realizza principalmente attraverso la volontà nell’atto religioso dell’uomo (Sent. II d. 16 a. 2 q. 3). Rimanendo nella stessa visione mistica, ma con maggiore audacia, Meister Eckhart tende a spiritualizzare l’imago Dei, collocandola al vertice dell’anima e distaccandola dal corpo (Quint. I, 5, 5-7; V, 6. 9 s).
17. Le controversie legate alla Riforma dimostrano quanto peso continuasse ad avere la teologia dell’imago Dei per i teologi protestanti come per quelli cattolici. I riformatori accusavano i cattolici di ridurre l’immagine di Dio a una «imago naturae», che presentava una concezione statica della natura umana e incoraggiava il peccatore a costituirsi davanti a Dio. Da parte loro, i cattolici accusavano i riformatori di negare la realtà ontologica dell’immagine di Dio, riducendola a pura relazione. Inoltre, i riformatori insistevano sul fatto che l’immagine di Dio era corrotta dal peccato, mentre i teologi cattolici vedevano il peccato come una ferita dell’immagine di Dio nell’uomo.
2. La critica moderna della teologia dell’«imago Dei»
18. La centralità della teologia dell’imago Dei all’interno dell’antropologia teologica si è mantenuta fino agli albori dell’era moderna. Tale era la forza e il fascino esercitato da questa dottrina che lungo tutto il corso della storia del pensiero cristiano essa è stata in grado di tenere testa a quelle critiche isolate (ad esempio, nell’iconoclastia) secondo le quali il suo antropomorfismo fomentava l’idolatria. Nell’epoca moderna, tuttavia, la teologia dell’imago Dei è stata oggetto di critiche più serrate e sistematiche.
19. La concezione di un universo che progredisce grazie alla scienza moderna si è sostituita all’idea classica di un cosmo fatto a immagine divina, scardinando così un elemento importante della struttura concettuale a sostegno della teologia dell’imago Dei. Quest’ultima venne considerata una tematica poco conforme all’esperienza dagli empiristi, e ambigua dai razionalisti. Ma il più significativo tra i fattori che hanno minato la teologia dell’imago Dei è stata la concezione dell’uomo come soggetto autonomo auto-costituentesi, scisso da qualsiasi rapporto con Dio. Uno sviluppo del genere non rendeva più possibile sostenere la nozione di imago Dei. Da qui al rovesciamento dell’antropologia biblica il passo era breve, un passaggio che assunse forme diverse nel pensiero di Ludwig Feuerbach, Karl Marx e Sigmund Freud: non è l’uomo a essere stato fatto a immagine di Dio, ma è Dio a essere semplicemente un’immagine proiettata dall’uomo. Alla fine, perché l’uomo potesse dichiararsi autocostituito, l’ateismo era un presupposto necessario.
20. Inizialmente nella teologia occidentale del XX secolo non spirava un’aria favorevole al tema dell’imago Dei. Tenuto conto degli sviluppi del secolo precedente che abbiamo appena descritto era forse inevitabile che alcune forme della teologia dialettica considerassero il tema come un’espressione dell’arroganza umana, per cui l’uomo si confronta o si equipara a Dio. La teologia esistenziale, ponendo l’accento sull’evento dell’incontro con Dio, ha messo in discussione il concetto, implicito nella dottrina dell’imago Dei, di una relazione stabile o permanente con Dio. La teologia della secolarizzazione ha respinto la nozione di un riferimento oggettivo nel mondo che collochi l’uomo con riferimento a Dio. Il «Dio senza proprietà» — di fatto un Dio impersonale — proposto da alcune versioni della teologia negativa non poteva essere un modello per l’uomo fatto a sua immagine. Nella teologia politica, che pone al centro del suo interesse l’ortoprassi, il tema dell’imago Dei è stato lasciato in ombra. Infine, altre critiche sono state mosse da teologi e da rappresentanti del pensiero laico che accusavano la teologia dell’imago Dei di avere alimentato una mancanza di considerazione nei confronti dell’ambiente naturale e del benessere degli animali.
3. L’«imago Dei» nel Concilio Vaticano II e nella teologia di oggi
21. Nonostante queste tendenze contrarie, per tutta la metà del XX secolo si è assistito a un progressivo recupero d’interesse nei confronti della teologia dell’imago Dei. Grazie a un attento studio delle Scritture, dei Padri della Chiesa e dei grandi teologi scolastici, si è ripreso coscienza di quanto sia capillare e importante il tema dell’imago Dei. Questa riscoperta era già ampiamente in atto presso i teologi cristiani prima ancora del Concilio Vaticano II. Il Concilio ha poi dato nuovo slancio alla teologia dell’imago Dei, particolarmente nella Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes.
22. Appellandosi al tema dell’immagine di Dio, nella Gaudium et spes il Concilio afferma la dignità dell’uomo così come questa viene insegnata in Genesi 1,26 e nel Salmo 8,6 (GS, n. 12). Nella visione conciliare, l’imago Dei consiste nel fondamentale orientamento dell’uomo verso Dio, fondamento della dignità umana e dei diritti inalienabili della persona umana. Poiché ogni essere umano è un’immagine di Dio, nessuno può essere costretto a soggiacere a qualsiasi sistema o finalità di questo mondo. La signoria dell’uomo nel cosmo, la sua capacità di esistenza sociale, e la conoscenza di Dio e l’amore verso Dio sono tutti elementi che trovano le loro radici nel fatto che l’uomo è stato creato a immagine di Dio.
23. Alla base dell’insegnamento conciliare c’è la determinazione cristologica dell’immagine: è Cristo a essere immagine del Dio invisibile (Col 1,15) (GS, n. 10). Il Figlio è l’uomo perfetto che restituisce ai figli e alle figlie di Adamo la somiglianza divina, ferita dal peccato dei primi genitori (GS, n. 22). Rivelato da Dio che ha creato l’uomo a sua immagine, è il Figlio a dare all’uomo una risposta agli interrogativi sul significato della vita e della morte (GS, n. 41). Il Concilio, inoltre, sottolinea la struttura trinitaria dell’immagine: conformandosi a Cristo (Rm 8,29) e attraverso i doni dello Spirito Santo (Rm 8,23), viene creato un uomo nuovo, capace di adempiere il comandamento nuovo (GS, n. 22). Sono i santi ad essere pienamente trasformati nell’immagine di Cristo (cfr Cor 3,18); in loro, Dio manifesta la sua presenza e la sua grazia come segno del suo regno (GS, n. 24). Partendo dalla dottrina dell’immagine di Dio, il Concilio insegna che l’attività umana rispecchia la creatività divina che ne rappresenta il modello (GS, n. 34) e che essa va orientata verso la giustizia e la comunione per promuovere la formazione di una sola famiglia nella quale tutti possano essere fratelli e sorelle (GS, n. 24).
24. Il rinnovato interesse per la teologia dell’imago Dei emerso dal Concilio Vaticano II si riflette anche nella teologia contemporanea, dove si sono verificati sviluppi in diverse aree. Innanzitutto, i teologi stanno lavorando per dimostrare come la teologia dell’imago Dei illumini le connessioni tra antropologia e cristologia. Senza negare la grazia unica donata al genere umano attraverso l’Incarnazione, i teologi vogliono riconoscere il valore intrinseco della creazione dell’uomo a immagine di Dio. Le possibilità che Cristo apre all’uomo non significano la soppressione della realtà dell’uomo in quanto creatura, ma la sua trasformazione e realizzazione secondo l’immagine perfetta del Figlio. Inoltre, congiuntamente a questa nuova comprensione del legame tra cristologia e antropologia, emerge anche una maggiore comprensione del carattere dinamico dell’imago Dei. Senza negare il dono rappresentato dalla creazione originaria dell’uomo a immagine di Dio, i teologi vogliono riconoscere la verità che, alla luce della storia umana e dell’evoluzione della cultura umana, l’imago Dei può essere considerata, in un senso reale, ancora in divenire. Non solo, ma la teologia dell’imago Dei stabilisce anche un’ulteriore connessione tra antropologia e teologia morale dimostrando come l’uomo, nel suo stesso essere, possieda una partecipazione alla legge divina. Questa legge naturale orienta le persone umane verso la ricerca del bene nelle loro azioni. Ne consegue infine che l’imago Dei ha una dimensione teleologica ed escatologica che definisce l’uomo come homo viator, orientato alla parousia e al compimento del piano divino per l’universo così come viene realizzato nella storia di grazia nella vita di ogni singolo essere umano e nella storia dell’intero genere umano.
CAPITOLO SECONDO
A IMMAGINE DI DIO: PERSONE IN COMUNIONE
25. La comunione e il servizio sono i due grandi filoni di cui è intessuta la trama della dottrina dell’imago Dei. Il primo filone, che esamineremo in questo capitolo, può essere così ricapitolato: il Dio uno e trino ha rivelato il suo progetto di condivisione della comunione della vita trinitaria con persone create a sua immagine. Anzi, è per questa comunione trinitaria che le persone umane sono create a immagine di Dio. È proprio su questa somiglianza radicale al Dio uno e trino che si fonda la possibilità di una comunione di esseri creati con le persone increate della Santissima Trinità. Creati a immagine di Dio, gli esseri umani sono per natura corporei e spirituali, uomini e donne fatti gli uni per gli altri, persone orientate verso la comunione con Dio e reciproca, feriti dal peccato e bisognosi di salvezza, e destinati ad essere conformati a Cristo, immagine perfetta del Padre, nella potenza dello Spirito Santo.
1. Corpo e anima
26. Gli esseri umani, creati a immagine di Dio, sono persone chiamate a godere della comunione e a svolgere un servizio in un universo fisico. Le attività derivanti dalla comunione interpersonale e dal servizio responsabile interessano le capacità spirituali — intellettuali e affettive — delle persone umane, ma non escludono il corpo. Gli esseri umani sono esseri fisici che dividono il mondo con altri esseri viventi. Implicita nella teologia cattolica dell’imago Dei è la verità profonda che il mondo materiale crea le condizioni per l’impegno delle persone umane l’una nei confronti dell’altra.
27. Questa verità non ha sempre ricevuto l’attenzione che merita. La teologia di oggi sta cercando di superare l’influenza delle antropologie dualistiche che collocano l’imago Dei esclusivamente in relazione all’aspetto spirituale della natura umana. In parte sotto l’influsso dell’antropologia dualistica prima platonica e poi cartesiana, nella stessa teologia cristiana si è avuta la tendenza a identificare l’imago Dei negli esseri umani con quella che è la caratteristica più specifica della natura umana, ossia la mente o lo spirito. Un importante contributo al superamento di questa tendenza è stato dato dalla riscoperta sia di elementi dell’antropologia biblica sia di aspetti della sintesi tomistica.
28. Che la corporeità sia essenziale all’identità della persona è un concetto fondamentale, seppure non esplicitamente tematizzato, nella testimonianza della Rivelazione cristiana. L’antropologia biblica esclude il dualismo mente-corpo. L’uomo viene considerato nella sua interezza. Tra i termini ebraici fondamentali utilizzati nell’Antico Testamento per designare l’uomo, nèfèš significa la vita di una persona concreta che è viva (Gn 9,4; Lv 24,17-18; Prv 8,35). Ma l’uomo non ha un nèfèš; è un nèfèš (Gn 2,7; Lv 17,10). Basar si riferisce alla carne degli animali e degli uomini, e talvolta al corpo nel suo insieme (Lv 4,11; 26,29). Anche in questo caso l’uomo non ha un basar, ma è un basar. Il termine neotestamentario sarx (carne) può denotare la corporeità materiale dell’uomo (2 Cor 12,7), ma anche la persona nel suo insieme (Rm 8,6). Un altro termine greco, soma (corpo), si riferisce all’intero essere umano, ponendo l’accento sulla sua manifestazione esteriore. Anche qui l’uomo non ha il suo corpo, ma è il suo corpo. L’antropologia biblica presuppone chiaramente l’unità dell’uomo e comprende come la corporeità sia essenziale all’identità personale.
29. Nei dogmi centrali della fede cristiana è sottinteso che il corpo è parte intrinseca della persona umana e partecipa quindi alla sua creazione a immagine di Dio. La dottrina cristiana della creazione esclude completamente un dualismo metafisico o cosmico, poiché insegna come nell’universo tutto, spirituale e materiale, sia stato creato da Dio e promani quindi dal Bene perfetto. Nel contesto della dottrina dell’Incarnazione, anche il corpo è visto come parte intrinseca della persona. Il Vangelo di Giovanni afferma che «il Verbo si fece carne (sarx)», per sottolineare, in contrapposizione al docetismo, che Gesù aveva un corpo fisico reale e non un corpo-fantasma. Inoltre Gesù ci redime attraverso ogni atto da Lui compiuto nel suo corpo. Il suo Corpo offerto per noi e il suo Sangue versato per noi significano il dono della sua Persona per la nostra salvezza. L’opera redentrice di Cristo si compie nella Chiesa, suo corpo mistico, ed è resa visibile e tangibile tramite i sacramenti. Gli effetti dei sacramenti, per quanto essi stessi principalmente spirituali, si attuano attraverso segni materiali percettibili, che possono essere ricevuti soltanto nel o con il corpo. Questo dimostra che non solo la mente dell’uomo è redenta, ma anche il suo corpo. Il corpo diventa tempio dello Spirito Santo. Infine, che il corpo sia parte essenziale della persona umana è insito nella dottrina della risurrezione del corpo alla fine dei tempi, che fa comprendere come l’uomo esista nell’eternità come persona fisica e spirituale completa.
30. Per mantenere l’unità di corpo e anima insegnata nella Rivelazione, il Magistero adotta la definizione dell’anima umana come forma substantialis (cfr Concilio di Vienna e Quinto Concilio Lateranense). Qui il Magistero si è basato sull’antropologia tomistica che, attingendo alla filosofia di Aristotele, vede il corpo e l’anima come i princìpi materiali e spirituali di un singolo essere umano. Possiamo notare come tale impostazione non sia incompatibile con le più recenti scoperte scientifiche. La fisica moderna ha dimostrato che la materia, nelle sue particelle più elementari, è puramente potenziale e non ha tendenza alcuna verso l’organizzazione. Ma il livello di organizzazione nell’universo, nel quale si trovano forme altamente organizzate di entità viventi e non viventi, sottintende la presenza di una qualche «informazione». Un ragionamento di questo genere fa pensare a una parziale analogia tra il concetto aristotelico di forma sostanziale e il concetto scientifico moderno di «informazione». Quindi, ad esempio, il DNA dei cromosomi contiene le informazioni necessarie affinché la materia possa organizzarsi secondo lo schema tipico di una data specie o singolo essere. Analogicamente, la forma sostanziale fornisce alla materia prima quelle informazioni di cui ha bisogno per essere organizzata in un particolare modo. Questa analogia va presa con la dovuta cautela, in quanto non è possibile un raffronto diretto tra concetti spirituali e metafisici e dati materiali e biologici.
31. Queste indicazioni bibliche, dottrinali e filosofiche convergono nell’affermazione che la corporeità dell’uomo partecipa all’imago Dei. Se l’anima, creata a immagine di Dio, forma la materia per costituire il corpo umano, allora la persona umana nel suo insieme è portatrice dell’immagine divina in una dimensione tanto spirituale quanto corporea. Questa conclusione è ulteriormente rafforzata se si tiene pienamente conto delle implicazioni cristologiche dell’immagine di Dio. «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo […]. Cristo […] svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (GS, n. 22). Unito spiritualmente e fisicamente al Verbo incarnato e glorificato, soprattutto nel sacramento dell’Eucaristia, l’uomo arriva alla sua destinazione: la risurrezione del suo stesso corpo e la gloria eterna, alla quale partecipa come persona umana completa, corpo e anima, nella comunione trinitaria condivisa da tutti i beati nella compagnia del cielo.
2. Uomo e donna
32. Nella Familiaris consortio, Giovanni Paolo II ha affermato: «In quanto spirito incarnato, cioè anima che si esprime nel corpo e corpo informato da uno spirito immortale, l’uomo è chiamato all’amore nella sua totalità unificata. L’amore abbraccia anche il corpo umano e il corpo è reso partecipe dell’amore spirituale» (n. 11). Creati a immagine di Dio, gli esseri umani sono chiamati all’amore e alla comunione. Poiché questa vocazione si realizza in modo peculiare nell’unione procreativa tra marito e moglie, la differenza tra uomo e donna è un elemento essenziale nella costituzione degli esseri umani fatti a immagine di Dio.
33. «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gn 1,27; cfr Gn 5,1-2). Secondo la Scrittura, quindi, l’imago Dei si manifesta, sin dall’inizio, nella differenza tra i sessi. Potremmo dire che l’essere umano esiste soltanto come maschile o femminile, poiché la realtà della condizione umana appare nella differenza e pluralità dei sessi. Quindi, lungi dall’essere un aspetto accidentale o secondario della personalità, questo è un elemento costitutivo dell’identità personale. Tutti noi abbiamo un nostro modo di esistere nel mondo, di vedere, di pensare, di sentire, di stabilire rapporti di scambio reciproco con altre persone, che sono anch’esse definite dalla loro identità sessuale. Secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La sessualità esercita un’influenza su tutti gli aspetti della persona umana, nell’unità del suo corpo e della sua anima. Essa concerne particolarmente l’affettività, la capacità di amare e di procreare, e, in modo più generale, l’attitudine a intrecciare rapporti di comunione con altri» (n. 2332). I ruoli attribuiti all’uno o all’altro sesso possono variare nel tempo e nello spazio, ma l’identità sessuale della persona non è una costruzione culturale o sociale. Appartiene al modo specifico in cui esiste l’imago Dei.
34. Questa specificità è rafforzata dall’Incarnazione del Verbo. Egli ha assunto la condizione umana nella sua totalità, assumendo un sesso, ma diventando uomo in entrambi i sensi del termine: come membro della comunità umana, e come essere di sesso maschile. La relazione tra ciascuno di noi e Cristo è determinata in due modi: dipende dall’identità sessuale propria e da quella di Cristo.
35. Inoltre l’incarnazione e la risurrezione estendono anche all’eternità l’identità sessuale originaria dell’imago Dei. Il Signore risorto, ora che siede alla destra del Padre, rimane un uomo. Possiamo inoltre osservare che la persona santificata e glorificata della Madre di Dio, adesso assunta corporalmente in cielo, continua ad essere una donna. Quando in Galati 3,28 san Paolo annuncia che in Cristo vengono annullate tutte le differenze, inclusa quella tra uomo e donna, sta dicendo che nessuna differenza umana può impedire la nostra partecipazione al mistero di Cristo. La Chiesa non ha accolto le tesi di san Gregorio di Nissa e di qualche altro Padre della Chiesa, che sostenevano che le differenze sessuali in quanto tali sarebbero state annullate dalla risurrezione. Le differenze sessuali tra uomo e donna, pur manifestandosi certamente con attributi fisici, di fatto trascendono il puramente fisico e toccano il mistero stesso della persona.
36. La Bibbia non dà alcun adito al concetto di una superiorità naturale del sesso maschile rispetto a quello femminile. Nonostante le loro differenze, i due sessi godono di una implicita eguaglianza. Come ha scritto Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio: «Anzitutto è da rilevare l’eguale dignità e responsabilità della donna rispetto all’uomo. Tale eguaglianza trova una singolare forma di realizzazione nella reciproca donazione di sé all’altro e di ambedue ai figli, propria del matrimonio e della famiglia […]. Creando l’uomo “maschio e femmina”, Dio dona la dignità personale in eguale modo all’uomo e alla donna, arricchendoli dei diritti inalienabili e delle responsabilità che sono proprie della persona umana» (n. 22). Uomo e donna sono ugualmente creati a immagine di Dio. Entrambi sono persone, dotate di intelligenza e volontà, capaci di orientare la propria vita con l’esercizio della libertà. Ma ciascuno lo fa in maniera propria e peculiare della sua identità sessuale, in modo che la tradizione cristiana può parlare di reciprocità e complementarità. Questi termini, che in tempi recenti sono divenuti in un certo qual modo controversi, sono comunque utili ad affermare che l’uomo e la donna hanno bisogno l’uno dell’altra per raggiungere una pienezza di vita.
37. Certo, l’originaria amicizia tra uomo e donna è stata seriamente compromessa dal peccato. Attraverso il miracolo compiuto alle nozze di Cana (Gv 2,1ss), nostro Signore mostra di essere venuto a ripristinare l’armonia voluta da Dio nella creazione dell’uomo e della donna.
38. L’immagine di Dio, che va trovata nella natura della persona umana in quanto tale, può essere realizzata in modo speciale nell’unione tra gli esseri umani. Poiché tale unione è rivolta alla perfezione dell’amore divino, la tradizione cristiana ha sempre affermato il valore della verginità e del celibato, che promuovono rapporti di casta amicizia tra persone umane e nel contempo sono segno della realizzazione escatologica di tutto l’amore creato nell’amore increato della Beata Trinità. Proprio a tale proposito il Concilio Vaticano II ha tracciato un’analogia tra la comunione delle persone divine tra loro, e quella che gli esseri umani sono chiamati a formare sulla Terra (cfr GS, n. 24).
39. Se è certamente vero che l’unione tra gli esseri umani può realizzarsi in molteplici modi, la teologia cattolica afferma oggi che il matrimonio costituisce una forma elevata di comunione tra le persone umane e una delle migliori analogie della vita trinitaria. Quando un uomo e una donna uniscono il loro corpo e il loro spirito in un atteggiamento di totale apertura e donazione di sé, formano una nuova immagine di Dio. La loro unione in una sola carne non risponde semplicemente a una necessità biologica, ma all’intenzione del Creatore che li conduce a condividere la felicità di essere fatti a sua immagine. La tradizione cattolica parla del matrimonio come di un eminente cammino di santità. «Dio è amore e vive in se stesso un mistero di comunione e di amore. Creandola a sua immagine […] Dio iscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell’amore e della comunione» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2331). Anche il Concilio Vaticano II ha sottolineato il significato profondo del matrimonio: «I coniugi cristiani, in virtù del sacramento del matrimonio, significano e partecipano il mistero di unità e di fecondo amore che intercorre tra Cristo e la Chiesa (cfr Ef 5,32); si aiutano a vicenda per raggiungere la santità nella vita coniugale, educando la prole» (LG, n. 11; cfr GS, n. 48).
3. Persona e comunità
40. Le persone create a immagine di Dio sono esseri corporei la cui identità, maschile o femminile, li destina a uno speciale tipo di comunione gli uni con gli altri. Come ha insegnato Giovanni Paolo II, il significato nuziale del corpo trova la sua realizzazione nell’amore e nell’intimità umana, che rispecchiano la comunione della Santissima Trinità, il cui mutuo amore è riversato nella creazione e nella redenzione. Questa verità è al centro dell’antropologia cristiana. Gli esseri umani sono creati a imago Dei proprio come persone capaci di una conoscenza e di un amore che sono personali e interpersonali. È in virtù dell’imago Dei in loro che questi esseri personali sono esseri relazionali e sociali, compresi in una famiglia umana la cui unità è al tempo stesso realizzata e prefigurata nella Chiesa.
41. Quando si parla della persona, ci si riferisce sia alla irriducibile identità e interiorità che costituiscono il singolo individuo, sia al rapporto fondamentale con gli altri che è alla base della comunità umana. Nella prospettiva cristiana, questa identità personale, che è anche un orientamento verso l’altro, si fonda essenzialmente sulla Trinità delle Persone divine. Dio non è un essere solitario, ma una comunione fra tre Persone. Costituito dall’unica natura divina, l’identità del Padre è la sua paternità, la sua relazione al Figlio e allo Spirito; l’identità del Figlio è la sua relazione al Padre e allo Spirito; l’identità dello Spirito è la sua relazione al Padre e al Figlio. La rivelazione cristiana ha condotto all’articolazione del concetto di persona e gli ha attribuito un significato divino, cristologico e trinitario. In effetti nessuna persona in quanto tale è sola nell’universo, ma è sempre costituita con gli altri ed è chiamata a formare con loro una comunità.
42. Ne consegue che gli esseri personali sono anche esseri sociali. L’essere umano è veramente umano nella misura in cui attualizza l’elemento essenzialmente sociale nella sua costituzione in quanto persona all’interno di gruppi familiari, religiosi, civili, professionali e di altro genere, che insieme formano la società circostante alla quale appartiene. Pur affermando il carattere fondamentalmente sociale dell’esistenza umana, la civiltà cristiana ha comunque riconosciuto il valore assoluto della persona, nonché l’importanza dei diritti individuali e della diversità culturale. Nell’ordine creato ci sarà sempre una certa tensione tra la singola persona e le esigenze dell’esistenza sociale. Nella Santissima Trinità c’è un’armonia perfetta tra le Persone che condividono la comunione di un’unica vita divina.
43. Ogni singolo essere umano, come pure la comunità umana nel suo insieme, è creato a immagine di Dio. Nella sua unità originaria — di cui è simbolo Adamo — l’umanità è fatta a immagine della divina Trinità. Voluta da Dio, procede attraverso le vicissitudini della storia dell’uomo verso una comunione perfetta, anch’essa voluta da Dio, ma che deve ancora essere realizzata. In questo senso, gli esseri umani partecipano alla solidarietà di un’unità che al tempo stesso già esiste e deve ancora essere raggiunta. Condividendo una natura umana creata e confessando il Dio uno e trino che dimora in mezzo a noi, siamo tuttavia divisi dal peccato e aspettiamo la venuta vittoriosa di Cristo che ristabilirà e ricreerà l’unità voluta da Dio in una redenzione finale della creazione (cfr Rm 8,18-19). Questa unità della famiglia umana deve ancora essere realizzata escatologicamente. La Chiesa è sacramento di salvezza e del regno di Dio: cattolica, in quanto riunisce uomini di ogni razza e cultura; una, in quanto avamposto dell’unità della comunità umana voluta da Dio; santa, in quanto essa stessa santificata dalla potenza dello Spirito Santo e santificante tutti gli uomini attraverso i sacramenti; e apostolica, nel proseguire la missione scelta da Cristo per gli uomini, ossia la progressiva attuazione dell’unità del genere umano voluta da Dio e il compimento della creazione e della redenzione.
4. Peccato e salvezza
44. Creati a immagine di Dio per condividere la comunione della vita trinitaria, gli esseri umani sono persone costituite in modo tale da poter liberamente abbracciare questa comunione. La libertà è il dono divino che consente alle persone umane di scegliere la comunione che il Dio uno e trino offre loro come bene ultimo. Ma con la libertà viene anche la possibilità del fallimento della libertà. Invece di abbracciare il bene ultimo della partecipazione alla vita divina, le persone umane possono allontanarsene per godere di beni transitori o persino soltanto immaginari. Il peccato è proprio questo fallimento della libertà, questo voltare le spalle al divino invito alla comunione.
45. Nella prospettiva dell’imago Dei, che nella sua struttura ontologica è essenzialmente dialogica o relazionale, il peccato, in quanto rottura del rapporto con Dio, deturpa l’imago Dei. È possibile comprendere le dimensioni del peccato alla luce di quelle dimensioni dell’imago Dei che sono colpite dal peccato. Questa alienazione fondamentale da Dio turba inoltre il rapporto dell’uomo con gli altri (cfr 1 Gv 3,17) e, in un senso reale, provoca una divisione al suo interno tra corpo e spirito, conoscenza e volontà, ragione ed emozioni (Rm 7,14-15). Il peccato colpisce anche l’esistenza fisica dell’uomo, arrecando sofferenze, malattia e morte. Inoltre, proprio come l’imago Dei, anche il peccato ha una dimensione storica. La testimonianza della Scrittura (cfr Rm 5,12 ss) ci presenta una visione della storia del peccato, provocato dal rifiuto dell’invito alla comunione rivolto da Dio all’inizio della storia dell’umanità. Infine il peccato si ripercuote sulla dimensione sociale dell’imago Dei; è possibile discernere ideologie e strutture che sono la manifestazione oggettiva del peccato e che si oppongono alla realizzazione dell’immagine di Dio da parte degli esseri umani.
46. Gli esegeti cattolici e protestanti sono attualmente concordi sul fatto che l’imago Dei non può essere totalmente distrutta dal peccato, poiché definisce l’intera struttura della natura umana. Da parte sua, la tradizione cattolica ha sempre insistito che, mentre l’imago Dei può essere sfigurata o deformata, non può però essere distrutta dal peccato. La struttura dialogica o relazionale dell’immagine di Dio non può essere perduta, ma, sotto il regno del peccato, ne risulta compromesso l’orientamento verso la sua realizzazione cristologica. Inoltre la struttura ontologica dell’immagine, seppure colpita dal peccato nella sua storicità, permane nonostante la realtà delle azioni peccaminose. A questo proposito — come hanno argomentato molti Padri della Chiesa in risposta allo gnosticismo e al manicheismo — la libertà, che in quanto tale definisce che cosa significa essere umano e che è fondamentale alla struttura ontologica dell’imago Dei, non può essere soppressa, persino se la situazione nella quale la libertà viene esercitata è in parte determinata dalle conseguenze del peccato. Infine, in contrapposizione al concetto di una corruzione totale dell’imago Dei ad opera del peccato, la tradizione cattolica ha insistito che la grazia e la salvezza sarebbero illusorie se esse non riuscissero a trasformare la realtà esistente, per quanto peccaminosa, della natura umana.
47. Compresa nella prospettiva della teologia dell’imago Dei, la salvezza comporta il ripristino dell’immagine di Dio da parte di Cristo, che è immagine perfetta del Padre. Ottenendo la nostra salvezza attraverso la sua Passione, Morte e Risurrezione, Cristo ci conforma a se stesso tramite la nostra partecipazione al mistero pasquale e riconfigura così l’imago Dei nel suo giusto orientamento alla beata comunione della vita trinitaria. In questa prospettiva, la salvezza non è altro che una trasformazione e una realizzazione della vita personale dell’essere umano, creato a immagine di Dio e adesso nuovamente rivolto a una partecipazione reale alla vita delle persone divine, attraverso la grazia dell’Incarnazione e la dimora dello Spirito Santo. La tradizione cattolica giustamente parla qui di una realizzazione della persona. Soffrendo di una carenza di carità a causa del peccato, la persona non può conseguire la sua autorealizzazione separatamente dall’amore assoluto e benigno di Dio in Cristo Gesù. Con questa trasformazione salvifica della persona attraverso Cristo e lo Spirito Santo, tutto nell’universo viene parimenti trasformato e arriva a condividere la gloria di Dio (Rm 8,21).
48. Nella tradizione teologica, l’uomo colpito dal peccato è sempre bisognoso di salvezza, ma al tempo stesso ha un desiderio naturale di vedere Dio — è capax Dei — che, in quanto immagine del divino, costituisce un orientamento dinamico verso il divino. Tale orientamento, pur non venendo distrutto dal peccato, non può neppure essere realizzato senza la grazia salvifica di Dio. Dio salvatore si rivolge a un’immagine di sé, disturbata nel suo orientamento verso di lui, ma ciononostante capace di ricevere la divina attività salvifica. Queste formulazioni tradizionali affermano sia l’indistruttibilità dell’orientamento dell’uomo verso Dio, sia la necessità della salvezza. La persona umana, creata a immagine di Dio, è ordinata dalla natura al godimento dell’amore divino, ma soltanto la grazia divina rende possibile ed efficace la libera adesione a questo amore. In tale prospettiva la grazia non è semplicemente un rimedio al peccato, ma una trasformazione qualitativa della libertà umana resa possibile da Cristo, una libertà liberata per il Bene.
49. La realtà del peccato personale dimostra che l’immagine di Dio non è aperta a Dio in modo inequivocabile, ma può chiudersi in se stessa. La salvezza sottintende una liberazione da questa auto-glorificazione attraverso la croce. Il mistero pasquale, originariamente costituito dalla Passione, Morte e Risurrezione di Cristo, fa sì che ogni persona possa partecipare alla morte al peccato che conduce alla vita in Cristo. La croce significa non la distruzione dell’umano, ma il passaggio che conduce a una vita nuova.
50. Gli effetti della salvezza per l’uomo creato a immagine di Dio si ottengono attraverso la grazia di Cristo che, nuovo Adamo, è il capo di una nuova umanità e crea per l’uomo una nuova condizione salvifica attraverso la sua morte per i peccatori e la sua risurrezione (cfr 1 Cor 15,47-49; 2 Cor 5,2; Rm 5,6 ss). In tal modo l’uomo diventa una nuova creatura (2 Cor 5,17), capace di una nuova vita di libertà, una vita «liberata da» e «liberata per».
51. L’uomo è liberato dal peccato, dalla legge, e dalla sofferenza e dalla morte. Innanzitutto la salvezza è una liberazione dal peccato che riconcilia l’uomo con Dio, persino nel pieno di una battaglia continua contro il peccato combattuta nella potenza dello Spirito Santo (cfr Ef 6,10-20). Inoltre la salvezza non è liberazione dalla legge in quanto tale, ma da qualsiasi forma di legalismo che si opponga allo Spirito Santo (2 Cor 3,6) e alla realizzazione dell’amore (Rm 13,10). La salvezza conduce a una liberazione dalla sofferenza e dalla morte, che acquisiscono un nuovo significato come partecipazione salvifica alla sofferenza, alla morte e alla risurrezione del Figlio. Inoltre, secondo la fede cristiana, «liberato da» significa «liberato per»: libertà dal peccato significa libertà per Dio in Cristo e lo Spirito Santo; libertà dalla legge significa libertà per l’amore autentico; libertà dalla morte significa libertà per una vita nuova in Dio. Questa «libertà per» è resa possibile da Gesù Cristo, icona perfetta del Padre, che restaura l’immagine di Dio nell’uomo.
5. «Imago Dei» e «imago Christi»
52. «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione. Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte trovino in lui la loro sorgente e tocchino il loro vertice» (GS, n. 22). Questo famoso brano, tratto dalla Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo del Concilio Vaticano II, ben si presta a concludere questa ricapitolazione dei principali elementi della teologia dell’imago Dei. È infatti Gesù Cristo a rivelare all’uomo la pienezza del suo essere, nella sua natura originaria, nel suo compimento finale e nella sua realtà attuale.
53. Le origini dell’uomo vanno ricercate in Cristo: egli è stato creato «per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16), il Verbo [che è] la vita […] e la luce che illumina ogni uomo e viene nel mondo (Gv 1,3-4,9)». Se è vero che l’uomo è stato creato ex nihilo, è anche possibile affermare che è creato dalla pienezza (ex plenitudine) di Cristo stesso, che è al tempo stesso creatore, mediatore e fine dell’uomo. Il Padre ci ha destinati ad essere suoi figli e figlie e «a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29). Che cosa significhi essere stati creati a imago Dei ci viene quindi pienamente svelato soltanto nell’imago Christi. In lui troviamo la totale ricettività del Padre che dovrebbe caratterizzare la nostra stessa esistenza, l’apertura all’altro in un atteggiamento di servizio che dovrebbe caratterizzare le relazioni con i nostri fratelli e sorelle in Cristo, e la misericordia e l’amore per l’altro che Cristo, in quanto immagine del Padre, mostra nei nostri riguardi.
54. Proprio come le origini dell’uomo vanno ricercate in Cristo, così anche la sua finalità. Gli esseri umani sono orientati verso il regno di Dio come a un futuro assoluto, il compimento dell’esistenza umana. Poiché «tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16), trovano in lui la loro direzione e il loro destino. La volontà di Dio, che Cristo sia la pienezza dell’uomo, deve trovare una realizzazione escatologica. Lo Spirito Santo porterà a compimento la configurazione ultima delle persone umane secondo Cristo alla risurrezione dei morti, ma già oggi gli esseri umani partecipano a questa somiglianza escatologica a Cristo qui su questa Terra, nel mezzo del tempo e della storia. Attraverso Incarnazione, Risurrezione e Pentecoste, l’eschaton è già qui; questi eventi lo inaugurano e lo introducono nel mondo degli uomini, anticipandone la realizzazione finale. Lo Spirito Santo opera in modo misterioso in tutti gli esseri umani di buona volontà, nelle società e nel cosmo, per trasfigurare e divinizzare gli esseri umani. Inoltre lo Spirito Santo opera attraverso i sacramenti, in particolare attraverso l’Eucaristia che è l’anticipazione del banchetto celeste, la pienezza della comunione nel Padre, Figlio e Spirito Santo.
55. Tra le origini dell’uomo e il suo futuro assoluto si trova l’attuale situazione esistenziale del genere umano, il cui pieno significato va parimenti ricercato soltanto in Cristo. Abbiamo visto che è Cristo — nella sua Incarnazione, Morte e Risurrezione — a riportare l’immagine di Dio nell’uomo alla sua debita forma. «Piacque a Dio […] per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli» (Col 1,20). Nel cuore della sua esistenza peccaminosa l’uomo è perdonato e, attraverso la grazia dello Spirito Santo, sa di essere salvato e giustificato per mezzo di Cristo. Gli esseri umani crescono nella loro somiglianza a Cristo e collaborano con lo Spirito Santo, il quale, soprattutto attraverso i sacramenti, li plasma a immagine di Cristo. In tal modo l’esistenza quotidiana dell’uomo è definita come uno sforzo di sempre più piena conformazione all’immagine di Cristo, cercando di dedicare la propria vita al combattimento per arrivare alla vittoria finale di Cristo nel mondo.
CAPITOLO TERZO
A IMMAGINE DI DIO:
AMMINISTRATORI DELLA CREAZIONE VISIBILE
56. Il primo grande tema all’interno della teologia dell’imago Dei concerne la partecipazione alla vita della comunione divina. Creati a immagine di Dio, come abbiamo visto, gli umani sono esseri che condividono il mondo con altri esseri corporei, ma che si distinguono per il loro intelletto, amore e libertà, e che sono quindi ordinati dalla loro stessa natura alla comunione interpersonale. Il primo esempio di questa comunione è l’unione procreativa dell’uomo e della donna, che rispecchia la comunione creativa dell’amore trinitario. Il deturpamento dell’imago Dei da parte del peccato, con le sue inevitabili conseguenze negative sulla vita personale e interpersonale, è vinto dalla Passione, Morte e Risurrezione di Cristo. La grazia salvifica della partecipazione al mistero pasquale riconfigura l’imago Dei secondo il modello dell’imago Christi.
57. In questo capitolo esamineremo il secondo dei due grandi temi della teologia dell’imago Dei. Creati a immagine di Dio per partecipare alla comunione dell’amore trinitario, gli esseri umani occupano un posto unico nell’universo in accordo con il piano divino: godono del privilegio di partecipare al governo divino della creazione visibile. Tale privilegio è ad essi concesso dal Creatore, il quale permette alla creatura fatta a sua immagine di partecipare alla sua opera, al suo progetto di amore e salvezza, addirittura alla sua stessa signoria sull’universo. Poiché la posizione dell’uomo come dominatore è di fatto una partecipazione al governo divino della creazione, ne parliamo qui come di una forma di servizio.
58. Secondo la Gaudium et spes: «L’uomo, creato a immagine di Dio, ha ricevuto il comando di sottomettere a sé la Terra […] e di governare il mondo nella giustizia e nella santità, e così pure di riportare a Dio se stesso e l’universo intero, riconoscendo in lui il Creatore di tutte le cose; in modo che, nella subordinazione di tutta la realtà all’uomo, sia glorificato il nome di Dio su tutta la terra» (n. 34). Questo concetto di dominio o di signoria dell’uomo ha un ruolo importante nella teologia cristiana. Dio designa l’uomo come suo amministratore proprio come fa il padrone nelle parabole del Vangelo (cfr Lc 19,12). L’unica creatura che Dio ha espressamente voluto per se stesso occupa un posto unico al vertice della creazione visibile (Gn 1,26; 2,20; Sal 8,6-7; Sap 9,2-3).
59. Per descrivere questo speciale ruolo, la teologia cristiana usa immagini tratte sia dall’ambiente domestico sia da quello del potere regale. Nell’utilizzare immagini attinenti alla signoria, viene detto che gli esseri umani sono chiamati a governare nel senso di esercitare una supremazia sull’insieme della creazione visibile, alla stregua di un re. Ma il significato interiore della signoria è il servizio, come Gesù ricorda ai suoi discepoli: soltanto soffrendo volontariamente come vittima sacrificale Cristo diventa re dell’universo, con la Croce come suo trono. Utilizzando invece immagini domestiche, la teologia cristiana ci mostra l’uomo come l’amministratore di una casa a cui Dio ha affidato la cura di tutti i suoi beni (cfr Mt 24,45). L’uomo può utilizzare il suo ingegno nel dispiegare le risorse della creazione visibile, ed esercita questa signoria partecipata sulla creazione visibile attraverso la scienza, la tecnologia e l’arte.
60. Al di sopra di lui, e tuttavia nell’intimità della sua stessa coscienza, l’uomo scopre l’esistenza di una legge, che la tradizione chiama «legge naturale». Tale legge è di origine divina, e la consapevolezza che ne ha l’uomo è essa stessa una partecipazione alla legge divina. Riferisce l’uomo alle vere origini dell’universo e a quelle sue stesse (Veritatis splendor, n. 20). Questa legge naturale spinge la creatura razionale a ricercare la verità e il bene nella sua signoria sull’universo. Creato a immagine di Dio, l’uomo esercita tale signoria sulla creazione visibile soltanto in virtù del privilegio conferitogli da Dio. Imita il dominio divino, ma non può sostituirvisi. La Bibbia diffida da questo peccato di usurpazione del ruolo divino. È un grave fallimento morale per gli esseri umani agire da dominatori della creazione visibile separandosi dalla più alta legge divina. Essi agiscono in vece del loro padrone in quanto amministratori (cfr Mt 25,14 ss), ai quali è attribuita la libertà necessaria per fare fruttare i doni che sono stati affidati ad essi, e a farlo con una certa ardita creatività.
61. L’amministratore deve rendere conto della sua gestione, e il divino Maestro giudicherà le sue azioni. La legittimità morale e l’efficacia dei mezzi impiegati dall’amministratore costituiscono i criteri di tale giudizio. Né la scienza né la tecnologia sono fini a se stesse; ciò che è tecnicamente possibile non è necessariamente anche ragionevole o etico. La scienza e la tecnologia devono essere messe al servizio del disegno divino per l’insieme della creazione e per tutte le creature. Questo disegno dà significato all’universo nonché alle imprese umane. L’amministrazione umana del mondo creato è proprio un servizio svolto attraverso la partecipazione al governo divino, e ad esso è sempre subordinata. Gli esseri umani svolgono tale servizio acquistando una conoscenza scientifica dell’universo, occupandosi responsabilmente del mondo naturale (inclusi gli animali e l’ambiente) e salvaguardando la loro stessa integrità biologica.
1. La scienza e l’amministrazione della conoscenza
62. La cultura umana, in ogni sua epoca e in quasi tutte le società, è stata caratterizzata dal tentativo di comprendere l’universo. Nella prospettiva della fede cristiana, questo sforzo è proprio un esempio del servizio che gli esseri umani svolgono in accordo con il piano di Dio. Senza abbracciare uno screditato concordismo, i cristiani hanno la responsabilità di collocare le moderne conoscenze scientifiche dell’universo all’interno della teologia della creazione. La posizione degli esseri umani nella storia di questo universo in continua evoluzione, così come è stata ricostruita dalle scienze moderne, può essere vista nella sua realtà completa soltanto alla luce della fede, come una storia personale dell’impegno di Dio uno e trino con le persone sue creature.
63. Secondo la tesi scientifica più accreditata, 15 miliardi di anni fa l’universo ha conosciuto un’esplosione che va sotto il nome di Big Bang, e da allora continua a espandersi e a raffreddarsi. Successivamente sono andate verificandosi le condizioni necessarie per la formazione degli atomi e, in epoca ancora successiva, si è avuta la condensazione delle galassie e delle stelle, seguita circa 10 miliardi di anni più tardi dalla formazione dei pianeti. Nel nostro sistema solare e sulla Terra (formatasi circa 4,5 miliardi di anni fa) si sono create le condizioni favorevoli all’apparizione della vita. Se, da un lato, gli scienziati sono divisi sulla spiegazione da dare all’origine di questa prima vita microscopica, la maggior parte di essi è invece concorde nell’asserire che il primo organismo ha abitato questo pianeta circa 3,5-4 miliardi di anni fa. Poiché è stato dimostrato che tutti gli organismi viventi della Terra sono geneticamente connessi tra loro, è praticamente certo che essi discendono tutti da questo primo organismo. I risultati convergenti di numerosi studi nelle scienze fisiche e biologiche inducono sempre più a ricorrere a una qualche teoria dell’evoluzione per spiegare lo sviluppo e la diversificazione della vita sulla Terra, mentre ci sono ancora divergenze di opinione in merito ai tempi e ai meccanismi dell’evoluzione. Certo, la storia delle origini umane è complessa e passibile di revisioni, ma l’antropologia fisica e la biologia molecolare fanno entrambe ritenere che l’origine della specie umana vada ricercata in Africa circa 150.000 anni fa in una popolazione umanoide di comune ascendenza genetica. Qualunque ne sia la spiegazione, il fattore decisivo nelle origini dell’uomo è stato il continuo aumento delle dimensioni del cervello, che ha condotto infine all’homo sapiens. Con lo sviluppo del cervello umano, la natura e la velocità dell’evoluzione sono state alterate per sempre: con l’introduzione di fattori unicamente umani quali la coscienza, l’intenzionalità, la libertà e la creatività, l’evoluzione biologica ha assunto la nuova veste di un’evoluzione di tipo sociale e culturale.
64. Papa Giovanni Paolo II ha affermato alcuni anni fa che «nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione una mera ipotesi. È degno di nota il fatto che questa teoria si sia progressivamente imposta all’attenzione dei ricercatori, a seguito di una serie di scoperte fatte nelle diverse discipline del sapere» (Messaggio alla Pontificia Accademia delle Scienze sull’evoluzione, 1996). In linea con quanto già affermato dal magistero pontificio del XX secolo in materia di evoluzione (in particolare l’enciclica Humani generis di Pio XII), il messaggio del Santo Padre riconosce che esistono «diverse teorie dell’evoluzione» che sono «materialiste, riduzioniste e spiritualiste» e quindi incompatibili con la fede cattolica. Ne consegue che il messaggio di Giovanni Paolo II non può essere letto come un’approvazione generale di tutte le teorie dell’evoluzione, incluse quelle di provenienza neodarwinista, che negano esplicitamente che la divina Provvidenza possa avere avuto qualunque ruolo veramente causale nello sviluppo della vita dell’universo. Focalizzandosi principalmente sull’evoluzione, in quanto «concerne la concezione dell’uomo», il messaggio di Giovanni Paolo II è tuttavia specificatamente critico nei confronti delle teorie materialiste delle origini dell’uomo, e insiste sull’importanza della filosofia e della teologia per una corretta comprensione del «salto ontologico» all’umano, che non può essere spiegato in termini puramente scientifici. L’interesse della Chiesa per l’evoluzione si concentra quindi in particolare sulla «concezione dell’uomo», che, in quanto creato a immagine di Dio, «non deve essere subordinato come un puro mezzo o come un mero strumento né alla specie né alla società». In quanto persona creata a immagine di Dio, l’essere umano è capace di intessere rapporti di comunione con altre persone e con il Dio uno e trino, nonché di esercitare signoria e servizio nell’universo creato. Queste affermazioni mostrano che le teorie dell’evoluzione e dell’origine dell’universo rivestono un particolare interesse teologico quando toccano le dottrine della creazione ex nihilo e la creazione dell’uomo a immagine di Dio.
65. Abbiamo visto come le persone siano create a immagine di Dio affinché possano diventare partecipi della natura divina (cfr 2 Pt 1,3-4), partecipando così alla comunione della vita trinitaria e al dominio divino sulla creazione visibile. Al cuore dell’atto divino della creazione c’è il desiderio divino di fare spazio alle persone create nella comunione delle Persone increate della Santissima Trinità, attraverso la partecipazione adottiva in Cristo. Non solo, ma la comune ascendenza e la naturale unità del genere umano sono la base di una unità in grazia delle persone umane redente, con a capo il Nuovo Adamo, nella comunione ecclesiale delle persone umane unite tra loro e con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo increati. Il dono della vita naturale è fondamento del dono della vita di grazia. Ne consegue che se la verità centrale concerne una persona che agisce liberamente, è impossibile parlare di una necessità o di un imperativo alla creazione, e in ultima analisi non è corretto parlare del Creatore come di una forza, di un’energia o di una causa impersonale. La creazione ex nihilo è l’azione di un agente personale trascendente, che agisce liberamente e intenzionalmente, teso alla realizzazione delle finalità totalizzanti dell’impegno personale. Nella tradizione cattolica la dottrina dell’origine degli esseri umani articola la verità rivelata di questa visione fondamentalmente relazionale o personalista di Dio e della natura umana. L’esclusione del panteismo e dell’emanazionismo nella dottrina della creazione può essere interpretata alla radice come un modo di difendere questa verità rivelata. La dottrina della creazione immediata o speciale di ogni singola anima umana non solo affronta la discontinuità ontologica tra materia e spirito, ma getta anche le basi per una divina intimità che abbraccia ogni singola persona umana sin dal primo momento della sua esistenza.
66. La dottrina della creatio ex nihilo è quindi una singolare affermazione del carattere veramente personale della creazione e del suo ordine verso una creatura personale plasmata come imago Dei, e che risponde non a una causa impersonale, forza o energia, ma a un Creatore personale. Le dottrine dell’imago Dei e della creatio ex nihilo ci insegnano che l’universo esistente è teatro di un evento radicalmente personale, in cui il Creatore uno e trino chiama dal niente coloro che poi richiama nell’amore. È questo il significato profondo delle parole della Gaudium et spes: «L’uomo in Terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa» (n. 24). Creati a immagine di Dio, gli esseri umani assumono il ruolo di responsabili amministratori nell’universo fisico. Sotto la guida della divina Provvidenza e riconoscendo il carattere sacro della creazione visibile, l’umanità dà una forma nuova all’ordine naturale e diviene un agente nell’evoluzione dello stesso universo. Nell’esercitare il loro servizio di amministratori della conoscenza, i teologi hanno il compito di collocare le moderne conoscenze scientifiche all’interno di una visione cristiana dell’universo creato.
67. Con riferimento alla creatio ex nihilo, i teologi possono notare che la teoria del Big Bang non contraddice questa dottrina, sempre che si possa affermare che la supposizione di un inizio assoluto non è scientificamente inammissibile. Poiché la teoria del Big Bang in realtà non esclude la possibilità di un precedente stadio della materia, è possibile rilevare che essa sembra dare un sostegno semplicemente indiretto alla dottrina della creatio ex nihilo, che in quanto tale può essere conosciuta soltanto attraverso la fede.
68. Con riferimento all’evoluzione di condizioni favorevoli alla comparsa della vita, la tradizione cattolica afferma che, in quanto causa trascendente universale, Dio è causa non solo dell’esistenza, ma anche causa delle cause. L’azione di Dio non si sostituisce all’attività delle cause creaturali, ma fa sì che queste possano agire secondo la loro natura e, ciononostante, conseguire le finalità da lui volute. Nell’avere voluto liberamente creare e conservare l’universo, Dio vuole attivare e sostenere tutte quelle cause secondarie la cui attività contribuisce al dispiegamento dell’ordine naturale che egli intende produrre. Attraverso l’attività delle cause naturali, Dio provoca il verificarsi di quelle condizioni necessarie alla comparsa e all’esistenza degli organismi viventi e, inoltre, alla loro riproduzione e differenziazione. Nonostante che sia in corso un dibattito scientifico sul grado di progettualità o intenzionalità empiricamente osservabile in questi sviluppi, essi hanno de facto favorito la comparsa e lo sviluppo della vita. I teologi cattolici possono vedere in un tale ragionamento un sostegno alle affermazioni derivanti dalla fede nella divina creazione e nella divina Provvidenza. Nel disegno provvidenziale della creazione, il Dio uno e trino ha voluto non solo creare un posto per gli esseri umani nell’universo, ma anche, e in ultima analisi, riservare ad essi uno spazio nella sua stessa vita trinitaria. Inoltre, operando come cause reali anche se secondarie, gli esseri umani contribuiscono a trasformare e a dare una nuova forma all’universo.
69. L’attuale dibattito scientifico sui meccanismi dell’evoluzione sembra talvolta partire da un’errata concezione della natura della causalità divina e necessita quindi di un commento teologico. Molti scienziati neodarwinisti, e alcuni dei loro critici, hanno concluso che se l’evoluzione è un processo materialistico radicalmente contingente, guidato dalla selezione naturale e da variazioni genetiche casuali, allora in essa non può esserci posto per una causalità provvidenziale divina. Una compagine sempre più ampia di scienziati critici del neodarwinismo segnala invece le evidenze di un disegno (ad esempio, nelle strutture biologiche che mostrano una complessità specifica) che secondo loro non può essere spiegato in termini di un processo puramente contingente, e che è stato ignorato o mal interpretato dai neodarwinisti. Il nocciolo di questo acceso dibattito concerne l’osservazione scientifica e la generalizzazione, in quanto ci si domanda se i dati disponibili possono far propendere a favore del disegno o del caso: è una controversia che non può essere risolta attraverso la teologia. È tuttavia importante notare che, secondo la concezione cattolica della causalità divina, la vera contingenza nell’ordine creato non è incompatibile con una Provvidenza divina intenzionale. La causalità divina e la causalità creata differiscono radicalmente in natura e non soltanto in grado. Quindi, persino l’esito di un processo naturale veramente contingente può ugualmente rientrare nel piano provvidenziale di Dio per la creazione. Secondo san Tommaso d’Aquino: «Effetto della divina Provvidenza non è soltanto che una cosa avvenga in un modo qualsiasi; ma che avvenga in modo contingente, o necessario. Perciò quello che la divina Provvidenza dispone che avvenga infallibilmente e necessariamente, avviene infallibilmente e necessariamente; quello che il piano della divina Provvidenza esige che avvenga in modo contingente, avviene in modo contingente» (Summa Theol. I, 22, 4 ad 1). Nella prospettiva cattolica, i neodarwinisti che si appellano alla variazione genetica casuale e alla selezione naturale per sostenere la tesi che l’evoluzione è un processo completamente privo di guida vanno al di là di quello che è dimostrabile dalla scienza. La causalità divina può essere attiva in un processo che è sia contingente sia guidato. Qualsiasi meccanismo evolutivo contingente può esserlo soltanto perché fatto così da Dio. Un processo evolutivo privo di guida — un processo che quindi non rientra nei confini della divina Provvidenza — semplicemente non può esistere poiché «la causalità di Dio, il quale è l’agente primo, si estende a tutti gli esseri, non solo quanto ai princìpi della specie, ma anche quanto ai princìpi individuali […]. È necessario che tutte le cose siano soggette alla divina Provvidenza, nella misura della loro partecipazione all’essere» (Summa Theol. I, 22, 2).
70. Con riferimento alla creazione immediata dell’anima umana, la teologia cattolica afferma che particolari azioni di Dio producono effetti che trascendono la capacità delle cause create che agiscono secondo la loro natura. Il ricorso alla causalità divina per colmare vuoti genuinamente causali, e non per dare risposta a ciò che resta inspiegato, non significa utilizzare l’opera divina per riempire i «buchi» del sapere scientifico (dando così luogo al cosiddetto «Dio tappabuchi»). Le strutture del mondo possono essere viste come aperte all’azione divina non disgregatrice in quanto sono causa diretta di certi eventi nel mondo. La teologia cattolica afferma che la comparsa dei primi membri della specie umana (singoli individui o popolazioni) rappresenta un evento che non si presta a una spiegazione puramente naturale e che può essere appropriatamente attribuito all’intervento divino. Agendo indirettamente attraverso catene causali che operano sin dall’inizio della storia cosmica, Dio ha creato le premesse per quello che Giovanni Paolo II ha chiamato «un salto ontologico […], il momento di transizione allo spirituale». Se la scienza può studiare queste catene di causalità, spetta alla teologia collocare questo racconto della specifica creazione dell’anima umana all’interno del grande piano del Dio uno e trino di condividere la comunione della vita trinitaria con persone umane create dal nulla a immagine e somiglianza di Dio e che, a suo nome e secondo il suo piano, esercitano in modo creativo il servizio e la sovranità sull’universo fisico.
2. La responsabilità del mondo creato
71. I sempre più rapidi progressi scientifici e tecnologici degli ultimi centocinquanta anni hanno condotto a una situazione radicalmente nuova per tutti gli esseri viventi sul nostro pianeta. Miglioramenti quali una maggiore abbondanza materiale, più elevati tenori di vita, migliore stato di salute e una più lunga speranza di vita sono stati accompagnati dall’inquinamento atmosferico e delle acque, dal problema dei rifiuti industriali tossici, dallo sfruttamento e talvolta dalla distruzione di habitat delicati. In questa situazione gli esseri umani hanno sviluppato una maggiore consapevolezza dei legami organici che essi hanno con gli altri esseri viventi. La natura viene ormai vista come una biosfera in cui tutti gli esseri formano una rete di vita complessa e tuttavia attentamente organizzata. È inoltre ormai un fatto assodato che esistono limiti sia alle risorse naturali disponibili, sia alla capacità da parte della natura di porre rimedio ai danni ad essa arrecati attraverso l’incessante sfruttamento delle sue risorse.
72. Purtroppo una delle conseguenze di questa nuova sensibilità ecologica è che il cristianesimo è stato da alcuni accusato di essere in parte responsabile della crisi ambientale, proprio per avere messo in risalto la posizione dell’uomo, creato a immagine di Dio per governare la creazione visibile. Alcuni critici arrivano a dire che nella tradizione cattolica mancano le risorse per mettere in campo una solida etica ecologica in quanto l’uomo è considerato essenzialmente superiore al resto del mondo naturale, e che per una tale etica sarà necessario rivolgersi alle religioni asiatiche e tradizionali.
73. Questa critica, tuttavia, si fonda su una lettura profondamente errata della teologia cristiana della creazione e dell’imago Dei. Parlando della necessità di una «conversione ecologica», Giovanni Paolo II ha affermato: «La signoria dell’uomo non è assoluta, ma ministeriale […], è la missione non di un padrone assoluto e insindacabile, ma di un ministro del regno di Dio» (Discorso, 17 gennaio 2001). È possibile che un’errata comprensione di questo insegnamento abbia indotto alcuni ad agire in modo sconsiderato nei confronti dell’ambiente naturale, ma la dottrina cristiana sulla creazione e l’imago Dei non ha mai incoraggiato lo sfruttamento incontrollato e l’esaurimento delle risorse naturali. Le osservazioni di Giovanni Paolo II rispecchiano la crescente attenzione con cui il Magistero segue la crisi ecologica, una preoccupazione che trova le sue radici già nelle encicliche sociali dei moderni pontificati. Nella prospettiva di questo insegnamento, la crisi ecologica è un problema umano e sociale, legato alla violazione dei diritti umani e alla disuguaglianza nell’accesso alle risorse naturali. Giovanni Paolo II ha ricapitolato questa tradizione del magistero sociale quando ha scritto nella Centesimus annus: «Del pari preoccupante, accanto al problema del consumismo e con esso strettamente connessa, è la questione ecologica. L’uomo, preso dal desiderio di avere e di godere, più che di essere e di crescere, consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e la sua stessa vita. Alla radice dell’insensata distruzione dell’ambiente naturale c’è un errore antropologico, purtroppo diffuso nel nostro tempo. L’uomo, che scopre la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro, dimentica che questo si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio» (n. 37).
74. La teologia cristiana della creazione contribuisce in modo diretto alla risoluzione della crisi ecologica, affermando la verità fondamentale che la creazione visibile è essa stessa un dono divino, il «dono originario», che fissa uno «spazio» di comunione personale. In effetti si potrebbe dire che una corretta teologia cristiana dell’ecologia è data dall’applicazione della teologia della creazione. Osserviamo come il termine «ecologia» combini le due parole greche oikos (casa) e logos (parola): l’ambiente fisico dell’esistenza umana potrebbe essere visto come una sorta di «abitazione» per la vita umana. Considerato che la vita interiore della Santissima Trinità è una vita di comunione, l’atto divino della creazione è la produzione gratuita di partner che possano condividere tale comunione. In questo senso si può dire che la divina comunione ha adesso trovato la sua «abitazione» nel cosmo creato. Per questo motivo possiamo parlare del cosmo come di un luogo di comunione personale.
75. La cristologia e l’escatologia possono insieme illuminare ulteriormente questa verità. Nell’unione ipostatica della Persona del Figlio con la natura umana, Dio viene nel mondo e assume la corporeità che Egli stesso ha creato. Nell’Incarnazione, attraverso il Figlio unigenito nato da una Vergine attraverso la potenza dello Spirito Santo, il Dio uno e trino crea la possibilità di una comunione intima e personale con gli esseri umani. Poiché Dio ha voluto benignamente elevare persone create alla partecipazione dialogica alla sua vita, egli deve, per così dire, abbassarsi al livello della creatura. Alcuni teologi parlano di questa divina condiscendenza come di una forma di «ominizzazione» attraverso la quale Dio rende liberamente possibile la nostra divinizzazione. Dio non solo manifesta la sua gloria nel cosmo tramite atti teofanici, ma anche assumendone la corporeità. In questa prospettiva cristologica, la «ominizzazione» di Dio è un atto di solidarietà, non solo con persone create, ma con l’intero universo creato e il suo destino storico. Non solo, ma nella prospettiva escatologica, la seconda venuta di Cristo può essere vista come l’evento in cui Dio prende fisicamente dimora nell’universo perfezionato che porta a compimento il piano originale della creazione.
76. Lungi dall’incoraggiare uno sfruttamento sregolato e antropocentrico dell’ambiente naturale, la teologia dell’imago Dei afferma il ruolo cruciale dell’uomo nella realizzazione di questo prendere eterna dimora nell’universo perfetto da parte di Dio. Gli esseri umani, per disegno di Dio, sono gli amministratori di questa trasformazione anelata da tutta la creazione. Non solo gli esseri umani, ma l’insieme della creazione visibile è chiamata a partecipare alla vita divina. «Sappiamo che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo» (Rm 8,23). Nella prospettiva cristiana, la nostra responsabilità etica nei confronti dell’ambiente naturale, «dimora della nostra esistenza», trova quindi le sue radici in una profonda comprensione teologica della creazione visibile e del nostro posto al suo interno.
77. Riferendosi a questa responsabilità in un importante passo dell’Evangelium vitae, Giovanni Paolo II ha scritto: «Chiamato a coltivare e custodire il giardino del mondo (cfr Gn 2,15), l’uomo ha una specifica responsabilità sull’ambiente di vita, ossia sul creato che Dio ha posto al servizio della sua dignità personale. […] È la questione ecologica — dalla preservazione degli habitat naturali delle diverse specie animali e delle varie forme di vita alla ecologia umana propriamente detta — che trova nella pagina biblica una luminosa e forte indicazione etica per una soluzione rispettosa del grande bene della vita, di ogni vita […]. Nei confronti della natura visibile, siamo sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si possono impunemente trasgredire» (n. 42).
78. In ultima analisi, dobbiamo osservare che la teologia non potrà offrire una soluzione tecnica alla crisi ambientale; tuttavia, come abbiamo visto, la teologia può aiutarci a vedere il nostro ambiente naturale così come lo vede Dio, come lo spazio di una comunione personale in cui gli esseri umani, creati a immagine di Dio, devono ricercare la comunione reciproca e la perfezione finale dell’universo visibile.
79. Questa responsabilità si estende al mondo animale. Gli animali sono creature di Dio e, secondo le Scritture, egli li circonda di provvidenziali attenzioni (Mt 6,26). Gli esseri umani dovrebbero accoglierli con gratitudine, e rendere grazie a Dio per la loro esistenza, adottando persino un atteggiamento di ringraziamento verso ogni elemento della creazione. Con la loro stessa esistenza gli animali benedicono Dio e gli rendono gloria: «Benedite, uccelli tutti dell’aria, il Signore […]. Benedite, animali tutti, selvaggi e domestici, il Signore» (Dn 3,80-81). Inoltre l’armonia che l’uomo deve instaurare, o restaurare, nell’insieme della creazione include anche il suo rapporto con gli animali. Quando Cristo verrà nella sua gloria, egli «ricapitolerà» tutta la creazione in un momento di armonia escatologico e definitivo.
80. Ciononostante, esiste una differenza ontologica tra gli esseri umani e gli animali, poiché soltanto l’uomo è creato a immagine di Dio, e Dio gli ha dato la signoria sul mondo animale (Gn 1,26-28; Gn 2,19-20). Ricalcando la tradizione cristiana in merito al giusto uso degli animali, il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: «Dio ha consegnato gli animali a colui che egli ha creato a sua immagine. È dunque legittimo servirsi degli animali per provvedere al nutrimento o per confezionare indumenti. Possono essere addomesticati, perché aiutino l’uomo nei suoi lavori e anche a ricrearsi negli svaghi» (n. 2417). Questo brano cita inoltre il legittimo impiego di animali per la sperimentazione medica e scientifica, ma sempre riconoscendo che è «contrario alla dignità umana far soffrire inutilmente gli animali» (n. 2418). Quindi, in qualunque modo ci si serva degli animali, occorre sempre essere guidati dai princìpi già illustrati: la signoria umana sopra il mondo animale è essenzialmente un’amministrazione della quale gli esseri umani devono rendere conto a Dio, che è Signore della creazione nel senso più vero.
3. La responsabilità nei confronti dell’integrità biologica degli esseri umani
81. La moderna tecnologia, congiuntamente ai più recenti sviluppi della biochimica e della biologia molecolare, continua a offrire alla medicina contemporanea nuove possibilità diagnostiche e terapeutiche. Queste tecniche non solo rendono possibili nuove e più efficaci terapie, ma aprono anche la strada alla possibilità di modificare l’uomo stesso. Il fatto che queste tecnologie siano disponibili e praticabili rende tanto più urgente chiedersi quali limiti debbano essere posti al tentativo dell’uomo di ri-creare se stesso. L’esercizio di una responsabile amministrazione nel campo della bioetica richiede un’attenta riflessione morale sulla portata delle tecnologie che possono incidere sull’integrità biologica degli esseri umani. In questa sede possiamo offrire soltanto qualche breve indicazione in merito alle specifiche sfide morali poste dalle nuove tecnologie e ad alcuni princìpi che devono essere applicati se vogliamo riuscire ad amministrare in modo responsabile l’integrità biologica degli esseri umani creati a immagine di Dio.
82. Il diritto di disporre pienamente del proprio corpo significherebbe che la persona può usare il corpo come un mezzo per raggiungere un fine che egli stesso ha scelto: potrebbe cioè sostituirne alcune parti, modificarlo o porgli termine. In altre parole, una persona potrebbe determinare la finalità o il valore teleologico del corpo. Il diritto di disporre di qualcosa si estende soltanto a oggetti cha abbiano un valore meramente strumentale, e non a oggetti che sono un bene in se stessi, che siano cioè un fine in se stessi. La persona umana, essere creato a immagine di Dio, rientra proprio in quest’ultima categoria. L’interrogativo, in particolar modo così come si profila nella bioetica, è se questo ragionamento possa applicarsi anche ai diversi livelli ravvisabili nella persona umana: il livello biologico-somatico, quello emotivo e quello spirituale.
83. Nella prassi clinica è un fatto generalmente acquisito che si possa disporre in forma limitata del corpo e di certe funzioni mentali per preservare la vita, come, ad esempio, nel caso dell’amputazione di un arto o dell’asportazione di un organo. Interventi del genere sono consentiti dal principio di totalità e integrità (noto anche come principio terapeutico). Il significato di tale principio è che la persona umana sviluppa, protegge e preserva tutte le sue funzioni fisiche e mentali di modo che 1) le funzioni inferiori non vengano mai sacrificate tranne che per un migliore funzionamento della persona nella sua totalità, e anche in quel caso facendo sempre uno sforzo per compensare la funzione sacrificata; e 2) le facoltà fondamentali che appartengono essenzialmente all’essere umano non vengano mai sacrificate, tranne che nel caso in cui ciò sia necessario per salvare la vita.
84. I vari organi e gli arti che insieme costituiscono una unità fisica sono, in quanto parti integranti, completamente assorbiti nel corpo e ad esso subordinati. Ma i valori inferiori non possono essere semplicemente sacrificati a beneficio di quelli superiori: tutti questi valori insieme costituiscono una unità organica e sono in un rapporto di reciproca dipendenza. Poiché il corpo, in quanto parte intrinseca della persona umana, è un bene in se stesso, le facoltà umane fondamentali possono essere sacrificate soltanto per preservare la vita. Dopo tutto, la vita è un bene fondamentale che interessa la totalità della persona umana. In assenza del fondamentale bene della vita, i valori — come, ad esempio, la libertà — che sono di per sé superiori alla vita stessa cessano di esistere. Poiché l’uomo è stato creato a immagine di Dio anche nella sua corporeità, egli non ha nessun diritto di disporre pienamente della sua stessa natura biologica. Dio stesso e l’essere creato a sua immagine non possono essere oggetto di un’azione umana arbitraria.
85. Perché possa applicarsi il principio di totalità e di integrità devono essere soddisfatte le seguenti condizioni: 1) deve trattarsi di un intervento a carico di quella parte del corpo che è o colpita o causa diretta di una situazione pericolosa per la vita; 2) non devono esistere altre alternative per salvare la vita; 3) deve esservi una probabilità di successo proporzionata ai rischi e alle conseguenze negative dell’intervento; 4) deve esserci il consenso del paziente. Gli effetti collaterali negativi derivanti dall’intervento possono essere giustificati in base al principio del duplice effetto.
86. Alcuni hanno tentato di interpretare questa gerarchia di valori in modo tale da legittimare il sacrificio delle funzioni inferiori, come, ad esempio, la capacità procreativa, a tutela di valori più alti, come, ad esempio, la salute mentale o migliori rapporti con gli altri. Tuttavia la facoltà riproduttiva viene qui sacrificata per mantenere elementi che possono essere essenziali alla persona in quanto totalità funzionante, ma non sono essenziali alla persona in quanto totalità vivente. In realtà, la persona in quanto totalità funzionante è violata dalla perdita della facoltà riproduttiva, e in un momento in cui la minaccia alla sua salute mentale non è imminente e potrebbe essere scongiurata in altro modo. Inoltre questa interpretazione del principio di totalità introduce la possibilità di sacrificare una parte del corpo a favore di interessi sociali. Secondo questo ragionamento, la sterilizzazione per motivi di eugenetica potrebbe essere giustificata in ragione di interessi di Stato.
87. La vita umana è frutto dell’amore coniugale — la donazione reciproca, totale, definitiva ed esclusiva tra uomo e donna — che rispecchia il dono di amore tra le tre Persone Divine che diventa fecondo nella creazione, e il dono di Cristo alla sua Chiesa che diventa fecondo nella rinascita dell’uomo. Il fatto che una donazione totale dell’uomo interessa tanto il suo spirito quanto il suo corpo è alla base dell’inseparabilità dei due significati dell’atto coniugale, che 1) è autentica espressione dell’amore sponsale a livello fisico e 2) arriva a compimento attraverso la procreazione nel periodo fertile della donna (Humanae vitae, n. 12; Familiaris consortio, n. 32).
88. La reciproca donazione di sé tra uomo e donna nell’intimità sessuale è resa incompleta dalla contraccezione o dalla sterilizzazione. Se inoltre viene utilizzata una tecnica che non coadiuva l’atto coniugale nel raggiungimento del suo obiettivo, ma si sostituisce a tale atto, in modo che il concepimento avviene per intervento di una parte terza, allora il bambino così procreato non nasce dall’atto coniugale che è espressione autentica della donazione reciproca dei genitori.
89. Nel caso della clonazione — la produzione di individui geneticamente identici tramite la divisione dell’embrione o attraverso il trapianto del nucleo — il bambino è generato in modo asessuato e non può essere in nessun modo considerato il frutto di un reciproco dono di amore. La clonazione, ancor più se comporta la produzione di un gran numero di persone a partire da un singolo individuo, rappresenta una violazione dell’identità della persona. La comunità umana, che come abbiamo osservato deve essere anch’essa considerata immagine del Dio uno e trino, esprime nella sua varietà qualcosa delle relazioni delle tre Persone Divine nella loro unicità, che, pur nella stessa natura, ne segna le mutue differenze.
90. L’ingegneria genetica sulla linea germinale finalizzata a un intento terapeutico sarebbe in se stessa accettabile se non risultasse difficile immaginare come un intervento del genere possa essere attuato senza rischi sproporzionati soprattutto nella prima fase sperimentale, quali, ad esempio, la massiccia perdita di embrioni e l’incidenza di effetti indesiderati, e senza ricorrere all’uso di tecniche riproduttive. Una possibile alternativa sarebbe il ricorso alla terapia genica sulle cellule staminali che producono gli spermatozoi dell’uomo, in modo che questi possa concepire una prole sana, utilizzando il suo stesso seme nell’atto coniugale.
91. Un tipo di ingegneria genetica tende a migliorare alcune caratteristiche specifiche. Si potrebbe cercare di giustificare la gestione dell’evoluzione umana mediante tale tipo di intervento invocando il concetto dell’uomo «co-creatore» con Dio. Ma questo significherebbe che l’uomo ha il pieno diritto di disporre della sua natura biologica. Modificare l’identità genetica dell’uomo in quanto persona umana attraverso la creazione di un essere infraumano è radicalmente immorale. Il ricorso a modificazioni genetiche per produrre un essere superumano o un essere con facoltà spirituali essenzialmente nuove è inconcepibile, posto che il principio di vita spirituale dell’uomo — che forma la materia nel corpo della persona umana — non è prodotto dalle mani dell’uomo e non è soggetto all’ingegneria genetica. L’unicità di ogni persona umana, in parte costituita dalle sue caratteristiche biogenetiche e sviluppata attraverso l’educazione e la crescita, le appartiene intrinsecamente e non può essere strumentalizzata per migliorare alcune di queste caratteristiche. Un uomo può veramente migliorare soltanto realizzando più pienamente l’immagine di Dio in lui, unendosi a Cristo e nell’imitazione di Cristo. Queste modifiche, in ogni caso, violerebbero la libertà di persone future che non hanno avuto modo di intervenire in decisioni che determinano le loro caratteristiche e la loro struttura fisica in modo significativo e forse irreversibile. La terapia genica finalizzata ad alleviare patologie congenite, come la sindrome di Down, sicuramente eserciterebbe un impatto sull’identità della persona in questione con riferimento al suo aspetto e alle sue capacità intellettive, ma una tale modifica aiuterebbe la persona a dare piena espressione alla sua vera identità, bloccata da un gene difettoso.
92. Gli interventi terapeutici servono a ripristinare le funzioni fisiche, mentali e spirituali, dando alla persona una posizione centrale e rispettando pienamente la finalità dei vari livelli nell’uomo in relazione a quelli della persona. Avendo un carattere terapeutico, la medicina che si mette al servizio dell’uomo e del suo corpo in quanto fini in se stessi rispetta l’immagine di Dio in entrambi. Secondo il principio di proporzionalità, le terapie straordinarie finalizzate a prolungare la vita devono essere utilizzate quando esiste una giusta proporzione tra i risultati positivi che se ne attendono e i possibili danni per il paziente. Laddove sia invece assente tale proporzionalità, la terapia può essere sospesa, anche se così ne risultasse abbreviata la vita del paziente. Nella terapia palliativa un decesso anticipato a seguito della somministrazione di analgesici rappresenta un effetto indiretto che, come tutti gli effetti collaterali in medicina, può rientrare nel principio del duplice effetto, sempre che il dosaggio sia calibrato alla soppressione del dolore e non alla cessazione della vita.
93. Disporre della morte è in realtà il modo più radicale di disporre della vita. Nel suicidio assistito, nell’eutanasia diretta e nell’aborto diretto — per quanto tragiche e complesse possano essere le situazioni personali — la vita fisica è sacrificata per una finalità autodeterminata. Ricade nella medesima categoria la strumentalizzazione dell’embrione, che avviene sia nella sperimentazione sugli embrioni, sia nella diagnosi preimpianto.
94. Il nostro status ontologico di creature fatte a immagine di Dio impone determinati limiti alla nostra capacità di disporre di noi stessi. La signoria attribuitaci non è illimitata: noi esercitiamo una certa signoria partecipata sul mondo creato e, infine, dobbiamo rendere conto del nostro servizio al Signore dell’Universo. L’uomo è creato a immagine di Dio, ma non è egli stesso Dio.
CONCLUSIONE
95. Lungo il corso di queste riflessioni, il tema dell’imago Dei ha dimostrato la sua capacità sistematica di chiarire molte verità della fede cristiana. Ci aiuta a presentare una concezione relazionale — addirittura personale — degli esseri umani. È proprio questa relazione con Dio che definisce gli esseri umani ed è fondamento del loro rapporto con le altre creature. Ciononostante, come abbiamo visto, il mistero dell’uomo può essere pienamente chiarito soltanto alla luce di Cristo, che è immagine perfetta del Padre e che ci introduce, attraverso lo Spirito Santo, a una partecipazione al mistero di Dio uno e trino. È all’interno di questa comunione di amore che il mistero di ogni essere, abbracciato da Dio, trova il suo pieno significato. Al tempo stesso grandiosa e umile, questa concezione dell’essere umano come immagine di Dio rappresenta una guida per le relazioni tra l’uomo e il mondo creato, ed è la base su cui valutare la legittimità dei progressi tecnici e scientifici che hanno un impatto diretto sulla vita umana e sull’ambiente. In queste aree, proprio come le persone umane sono chiamate a rendere testimonianza della loro partecipazione alla creatività divina, così sono anche tenute a riconoscere la loro posizione di creature alle quali Dio ha affidato la preziosa responsabilità di amministrare l’universo fisico.
Autore:
Commissione Teologica Internazionale - Chiesa cattolica
Parole chiave:
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Natura:
Varie