Varie 11 giugno 2004
Garante della privacy: “Privacy e giornalismo. Alcuni chiarimenti in risposta a quesiti dell’Ordine dei giornalisti”, 11 giugno 2004.
Autonomia e responsabilità del giornalista
Le norme in materia di trattamento dei dati personali a fini giornalistici individuano alcuni parametri entro cui assicurare il rispetto di diritti e libertà fondamentali protetti dall’art. 2 della Costituzione, quali la riservatezza, l’identità personale e il “nuovo” ed importante diritto alla protezione dei dati personali, senza pregiudicare la libertà di informazione che è tutelata anch’essa sul piano delle garanzie costituzionali.
La scelta di non introdurre regole rigide in materia, bensì di limitarsi ad indicare espressamente solo alcuni presupposti – scelta sostenuta dall’Ordine dei giornalisti e condivisa dal Garante al momento della stesura del Codice deontologico – si è basata su due ordini di considerazioni. Da una parte, la molteplicità e la varietà delle vicende di cronaca e dei soggetti che ne sono coinvolti non consentono di stabilire a priori e in maniera categorica quali dati possono essere raccolti e poi diffusi nel riferire sui singoli fatti: un medesimo dato può essere legittimamente pubblicato in un determinato contesto e non invece in un altro.
Dall’altra, una codificazione minuziosa di regole in questo ambito risulterebbe inopportuna in un contesto nel quale sono assai differenziate le situazioni nelle quali occorre valutare nozioni generali dai confini non sempre immutati nel tempo (essenzialità dell’informazione, interesse pubblico, ecc.) e valorizzare al contempo l’autonomia e la responsabilità del giornalista.
Alla luce di tali considerazioni, il bilanciamento tra i diritti e le libertà di cui sopra resta in sostanza affidato in prima battuta al giornalista il quale, in base a una propria valutazione (che può essere sindacata) acquisisce, seleziona e pubblica i dati utili ad informare la collettività su fatti di rilevanza generale, esprimendosi nella cornice della normativa vigente – in particolare, del Codice deontologico – e assumendosi la responsabilità del proprio operato.
Interesse pubblico e essenzialità dell’informazione
Il giornalista valuta, dapprima, quando una notizia riveste effettivamente un rilevante interesse pubblico e, successivamente, quali particolari relativi a tale notizia sia essenziale diffondere al fine di svolgere la funzione informativa sua propria. La diffusione di un determinato dato può essere ritenuta necessaria quando la sua conoscenza da parte del pubblico trova giustificazione nell’originalità dei fatti narrati, nel modo in cui gli stessi si sono svolti e nella particolarità dei soggetti che in essi sono coinvolti.
Quando non si ravvisa tale necessità oppure quando vi siano specifiche limitazioni di legge alla divulgazione di informazioni spesso connesse a determinati fatti di cronaca, il giornalista può comunque riferire di questi ultimi prediligendo soluzioni che tutelino la riservatezza degli interessati (ricorrendo ad esempio all’uso di iniziali, di nomi di fantasia e così via). Va tuttavia evidenziato come, in taluni casi, la semplice omissione delle generalità delle persone non basta di per sé ad escludere l’identificazione delle medesime: quest’ultima, infatti, può realizzarsi attraverso la combinazione di più informazioni concernenti la persona (l’età, la professione, il luogo di lavoro, l’indirizzo dell’abitazione, ecc.).
Accesso alle informazioni: i rapporti con le pubbliche amministrazioni
Viene spesso lamentato che le pubbliche amministrazioni giustificano la propria decisione di non fornire informazioni ai giornalisti dietro una supposta applicazione della legge sulla privacy.
Al riguardo, è stato più volte evidenziato anche dallo stesso Garante che la legge n. 675/96 [1], prima, e ora il Codice privacy (Codice in materia di protezione dei dati personali, decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 [2]), non hanno inciso in modo restrittivo sulla normativa posta a salvaguardia della trasparenza amministrativa e che, quindi, la disciplina sulla tutela dei dati personali non può essere in quanto tale invocata strumentalmente per negare l’accesso ai documenti, fatto comunque salvo il peculiare livello di tutela assicurato per certe informazioni e, in particolare, per i dati sensibili (dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare! lo stato di salute e la vita sessuale).
Le difficoltà per il giornalista di accedere a determinati documenti in possesso di uffici pubblici deriva non tanto dalla disciplina sulla protezione dei dati personali, quanto dalla normativa sull’accesso ai documenti amministrativi, che laddove il documento non è segreto impone comunque di valutare l’eventuale necessità di tutelare la riservatezza di un terzo, ma prima ancora prescrive (non solo al giornalista) che chi richiede il documento debba dimostrare la necessità di disporne per la tutela di un interesse giuridicamente rilevante e concreto. Vi sono al riguardo alcune aperture della giurisprudenza amministrativa che ritiene legittimato all’accesso anche chi intende esercitare al riguardo il diritto di cronaca (cfr. anche Cons. di Stato n. 570/1996 e Cons. di Stato n. 99/1998), ma il punto non è pacifico. Il giornalista può quindi chiedere di acquisire le informazioni detenute dalle pubbliche amministrazione i utilizzando gli strumenti previsti dall’ordinamento giuridico: presentando istanza in conformità a quanto previsto dalla legge 241 o da leggi speciali o, più semplicemente, consultando albi, elenchi ecc. quando la legge ha previsto un siffatto regime di pubblicità.
In tale ottica, e fatte salve le valutazioni che seguiranno in ordine alla loro possibile diffusione, il giornalista potrà ad esempio chiedere di acquisire o venire legittimamente a conoscenza delle informazioni concernenti:
• l’ammontare complessivo dei dati reddituali dei contribuenti, presso i comuni;
• le situazioni patrimoniali di coloro che ricoprono determinate cariche pubbliche o di rilievo pubblico per le quali è spesso previsto un regime di pubblicità;
• analogamente, le classi stipendiali, le indennità e gli altri emolumenti di carattere generale corrisposti da concessionari pubblici;
• le pubblicazioni matrimoniali affisse all’albo comunale;
• notizie relative ad alcuni nati e ad alcuni deceduti (possono essere rivolte specifiche domande all’ufficiale di stato civile, ma non si ha ad esempio diritto a ricevere un elenco giornaliero);
• gli esiti scolastici e concorsuali per i quali l’ordinamento prevede spesso un regime di pubblicità;
• i dati contenuti negli albi professionali;
• i dati contenuti nelle deliberazioni degli enti locali (per esempio anche mediante l’accesso alle sedute consiliari degli organi collegiali e la relativa ripresa televisiva);
• la situazione patrimoniale delle società e, in generale, i dati pubblici presso le camere di commercio.
Questo per quanto riguarda l’acquisizione delle informazioni. Rimane poi affidata alla responsabilità del giornalista l’utilizzazione lecita del dato raccolto e quindi la sua diffusione secondo i parametri dell’essenzialità rispetto al fatto d’interesse pubblico narrato, della correttezza, della pertinenza e della non eccedenza, avuto altresì riguardo alla natura del dato medesimo. Il giornalista dovrà valutare, ad esempio, l’eventualità di non diffondere in certi casi taluni dati relativi agli esiti scolastici, sebbene pubblici, in ragione dell’opportunità di tutelare gli interessati (minori e non) dagli effetti negativi che può determinare un’eccessiva risonanza data al loro risultato.
La legge sulla privacy e lo stesso Codice entrato in vigore il 1° gennaio scorso non hanno poi “abrogato” i noti limiti generali al diritto di cronaca che la giurisprudenza ordinaria, da diversi anni, considera stabilizzati.
Un’utile novità potrà tra l’altro derivare dall’adozione del decreto del Ministro dell’interno relativo alla legittima comunicazione e diffusione di informazioni da parte di forze di polizia, ad esempio in caso di incidenti, eventi tragici, calamità, ecc. (art. 57, comma 1, lett. e), del Codice privacy [3]).
Diffusione di fotografie
a) Immagini di minori
Le disposizioni che tutelano la riservatezza dei minori si fondano sul presupposto che la pubblicità dei loro fatti di vita possa arrecare danno alla loro personalità. Questo rischio può non sussistere quando il servizio giornalistico dà positivo risalto a qualità del minore e/o al contesto familiare in cui si sta formando. Pertanto può ritenersi lecita, ad esempio, salvo casi assai particolari, la diffusione di immagini che ritraggono un minore in momenti di svago e di gioco. Resta comunque fermo l’obbligo per il giornalista di acquisire l’immagine stessa correttamente, senza inganno e in un quadro di trasparenza, nonché di valutare, volta per volta, eventuali richieste di opposizione da parte del minore o dei suoi familiari.
Tali principi trovano naturalmente applicazione anche con riferimento alle immagini che ritraggono personaggi noti insieme ai loro figli, ad esempio nel contesto di un servizio che voglia testimoniare il rapporto positivo tra gli stessi.
Anche in tale ambito è comunque affidata al giornalista una prima valutazione in ordine al rischio che tale spettacolarizzazione possa incidere negativamente sul minore e sulla sua famiglia. Si dovrà in ogni caso evitare che la diffusione di tale tipo di dati assuma carattere sistematico: è infatti evidente la differenza che esiste fra la raccolta occasionale dell’immagine delle persone che in un dato momento si trovano in un luogo pubblico ed invece la ripresa sistematica di tale situazione.
Analoghe considerazioni in ordine alla liceità della diffusione possono essere formulate con riferimento alle immagini di neonati. Esse infatti si caratterizzano per avere una più ridotta valenza identificativa.
b) Fotografie relative a soggetti ripresi in luoghi pubblici
Di regola, le immagini che ritraggono persone in luoghi pubblici possono essere pubblicate, anche senza il consenso dell’interessato, purché non siano lesive della dignità e del decoro della persona. Come il Garante ha precisato nelle sue pronunce, il fotografo è comunque tenuto a rendere palese la propria identità e attività di fotografo e ad astenersi dal ricorrere ad artifici e pressioni indebite per perseguire i propri scopi.
Anche qui il giornalista deve comunque compiere una valutazione caso per caso, dovendo egli tenere presente il contesto del servizio giornalistico e l’oggetto della notizia. Ad esempio, la pubblicazione dell’immagine di una signora anziana, chiaramente identificabile, ripresa al mercato con la spesa, può ritenersi non pertinente rispetto ad un articolo sulla solitudine degli anziani, oltre che lesiva della dignità dell’interessata. Diverso il giudizio potrebbe essere se la stessa foto fosse posta, per esempio, a corredo di un articolo sulla longevità.
Inoltre, nel documentare con fotografie fatti di cronaca che avvengono in luoghi pubblici, il giornalista e/o il fotografo sono chiamati a valutare anche quale tipo di inquadratura scegliere, astenendosi dal focalizzare l’immagine su singole persone o dettagli personali se la diffusione di tali dati risulta non pertinente e eccedente rispetto alle finalità dell’articolo.
c) Fotografie degli arrestati e degli indagati
Le foto segnaletiche: anche se esposte nel corso di conferenze stampa tenute dalle forze dell’ordine o comunque acquisite lecitamente, tali fotografie non possono essere diffuse se non in vista del perseguimento delle specifiche finalità per le quali sono state originariamente raccolte (accertamento, prevenzione e repressione dei reati). Inoltre, anche nell’ipotesi di evidente e indiscutibile “necessità di giustizia o di polizia” alla diffusione di queste immagini, “il diritto alla riservatezza ed alla tutela della dignità personale va sempre tenuto nella massima considerazione”. Tali principi – più volte ricordati dal Garante – trovano conferma in diverse circolari emanate dalle forze di polizia, oltre ad essere richiamati, con riferimento alla generalità dei dati personali, nell’art. 25, comma 2 del Codice privacy [4].
Le immagini che documentano operazioni di arresto: tali immagini non possono essere diffuse quando siano lesive della dignità dell’interessato. Questo principio – che è alla base dei limiti già previsti dall’ordinamento relativamente alla diffusione di immagini che ritraggono persone in manette o sottoposte ad altro mezzo di coercizione fisica (si veda anche l’art. 8 del Codice deontologico [5]) – deve guidare il giornalista nella decisione sulla diffusione di altre immagini collegate ad operazioni di arresto.Altre foto a corredo di notizie su arresti, indagini e processi (es. foto tratte da documenti di riconoscimento, da album familiari, o scattate nelle aule giudiziarie): in relazione a tali dati, a parte le prescrizioni che può impartire il giudice durante il dibattimento e le garanzie previste per le riprese televisive durante il processo, valgono i parametri generali che guidano il giornalista nell’esercizio del! la propria attività. Tra questi parametri ricordiamo quello che impone di acquisire, e successivamente utilizzare, tali immagini in modo lecito e secondo correttezza, nonché di diffondere le stesse secondo la dovuta valutazione in ordine alla loro essenzialità, pertinenza e non eccedenza avuto riguardo alla notizia riferita. In primo luogo, dunque, al fine di conformarsi ai citati canoni di liceità e correttezza, sarà necessario informare le persone presso cui sono raccolte le immagini nonché, ove possibile, gli interessati in merito all’utilizzo delle immagini acquisite (art. 2 Codice deontologico [6]).
Nomi delle persone nelle cronache giudiziarie
a) Nomi delle persone indagate o sottoposte a giudizio
I nomi degli indagati e degli arrestati, al pari di altre informazioni, possono essere soggetti al regime di segretezza-pubblicità eventualmente operante in base alle disposizioni dell’ordinamento processuale penale (segretazione degli atti del procedimento e del relativo contenuto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e comunque fino alla chiusura delle indagini preliminari, nonché nei casi decisi dal giudice; possibile diffusione del contenuto degli atti non più coperti da segreto).
Tali dati dunque, di regola, possono essere resi noti, fatti salvi i divieti di diffusione ricavabili dalle suddette disposizioni e ferma restando la necessità che la notizia sia acquisita lecitamente, ad esempio da una parte che ha già legale conoscenza di un atto notificato.
La possibilità di diffondere queste informazioni deve tuttavia fare i conti con alcune garanzie fondamentali riconosciute a tali soggetti. Il giornalista deve valutare, ad esempio, se sia opportuno rendere note le complete generalità di chi si trova interessato da un indagine ancora in fase assolutamente iniziale, e modulare il giudizio sull’entità dell’addebito. A volte, invece, questo viene descritto senza evidenziare la fase iniziale dell’investigazione, con problemi non tanto per la riservatezza della notizia, quanto per l’enfasi del “messaggio” erroneo dato al lettore riguardo al grado di responsabilità già accertata.
Potrà invece verificarsi anche il caso in cui la diffusione dei nomi delle persone indagate o sottoposte a giudizio, pure astrattamente possibile, dovrà essere evitata al fine di tutelare la riservatezza e il diritto alla protezione dei dati relativi ad altri soggetti coinvolti nell’indagine giudiziaria. Tale principio potrà trovare applicazione anche al di fuori dei casi in cui i dati di detti soggetti trovino tutela in un’esplicita disposizione di legge, come ad esempio avviene per quanto attiene alle vittime dei reati di pedofilia o violenza sessuale.
In termini generali, va ribadito che l’esigenza di assicurare la trasparenza dell’attività giudiziaria e il controllo della collettività sul modo in cui viene amministrata la giustizia devono comunque bilanciarsi con alcune garanzie fondamentali riconosciute all’indagato e all’imputato: la presunzione di non colpevolezza fino a condanna definitiva, il diritto di difesa e ad un giusto processo. Il giornalista sarà perciò tenuto a valutare, volta per volta, gli elementi che caratterizzano l’episodio di cronaca e che possono far propendere per una minore o maggiore pubblicità dei dati a seconda della fase delle indagini, della fase e del tipo di procedimento (es. procedimenti che si svolgono con la presenza del pubblico, procedimenti in camera di consiglio), delle caratteristiche del soggetto ritenuto autore del reato.
La diffusione dei nomi di persone condannate e, in generale, dei destinatari di provvedimenti giurisdizionali deve inquadrarsi nell’ambito delle disposizioni processuali vigenti, di regola improntate ad un regime di tendenziale pubblicità. Potranno essere pubblicati, ad esempio – come già ricordato dal Garante in alcune sue pronunce – l’identità, l’età, la professione, il capo di imputazione e la condanna irrogata ad una persona maggiorenne ove risulti la verità dei fatti, la forma civile dell’esposizione e la rilevanza pubblica della notizia (rilevanza, che può essere tale anche solo nel contesto locale di riferimento della testata giornalistica).
In confronto ai casi riguardanti gli indagati e gli imputati, i dati dei condannati possono essere diffusi più liberamente in ragione della minore incertezza sulla posizione processuale dell’interessato, essendo già intervenuto su di essa un primo giudizio da parte dell’Autorità giudiziaria. Tuttavia, anche l’applicazione di tale principio va valutata caso per caso, dovendo prendere in considerazione, fra l’altro, il tipo di soggetti coinvolti (ad esempio, persone con handicap o disturbi psichici, o ancora, ragazzi molto giovani), il tipo di reato accertato e la particolare tenuità dello stesso, l’eventualità che si tratti di condanne scontate da diversi anni o assistite da particolari benefici (es. quello della non menzione nel casellario), in ragione dell’esigenza di promuovere il reinserimento sociale del condannato.
Il giornalista dovrà inoltre verificare volta per volta se la pubblicazione dei dati identificativi del condannato – in linea generale consentita – debba nel concreto essere evitata al fine di impedire l’identificazione della vittima del reato accertato o di altre persone meritevoli di tutela.
Grazie al Codice privacy, l’accesso al pubblico delle sentenze depositate nella cancelleria o segreteria dell’ufficio giudiziario è più agevole, in quanto esse potranno essere rese accessibili anche via Internet, tramite il sito istituzionale dell’ufficio giudiziario (art. 51, comma 2, del Codice [7]), rendendo superflua una richiesta presentata di persona da chi dovrebbe altrimenti dimostrare di avere legittimo interesse alla copia.
Nell’effettuare le predette valutazioni, il giornalista non potrà non tener conto del bilanciamento di interessi effettuato in un altro fronte e cioè che le sentenze pubblicate per finalità di informatica giuridica (non giornalistiche, quindi) dallo stesso ufficio giudiziario, oppure da riviste giuridiche anche on-line, potranno in alcuni casi più delicati non recare il nome di taluna delle parti o di terzi (minore, delicati rapporti di famiglia, ecc.: art. 52 del Codice).
b) Nomi delle vittime, dei testimoni e di altre persone.
Un particolare rigore nel valutare l’essenzialità dell’informazione rispetto ad un fatto di cronaca andrà osservato dal giornalista con riferimento ai nomi delle vittime di reato, anche al di fuori dei casi in cui sussistono limiti specifici.
Nel procedere a tale valutazione possono assumere rilievo, unitamente o separatamente, il tipo di conseguenze subite da parte della vittima, il decorso del tempo, la volontà eventualmente espressa dalla stessa nonché i possibili rischi per la vittima medesima.
In primo luogo, dunque, ragioni di riservatezza e di tutela dei dati potranno prevalere quando l’episodio di cui l’interessato è stato vittima ha provocato conseguenze di carattere permanente sulla sua salute fisica e/o psicologica. In secondo luogo, la stessa cautela dovrà essere adottata quando il giornalista si trovi a trattare episodi di cronaca verificatisi nel passato: ciò, al fine di evitare che alla sofferenza pregressa patita dall’interessato si aggiunga quella di essere sottoposto (nuovamente) alla pubblica attenzione.
Le medesime ragioni di tutela dei dati personali potranno altresì prevalere nei casi in cui la vittima abbia manifestato la volontà che i propri dati non siano resi pubblici (fermo restando il fatto che il giornalista può procedere alla pubblicazione dei diversi dati anche in assenza del consenso da parte degli interessati). Tale principio trova fra l’altro fondamento nella possibilità, per ogni soggetto interessato, di opporsi anche in anticipo per motivi legittimi alla pubblicazione (art. 7, comma 4, lett. a) del Codice privacy [8]).
Infine, il giornalista dovrà tener conto della possibilità che la diffusione sull’avvenuto reato ai danni di una determinata persona possa comportare rischi per la stessa, anche in relazione alla possibile ripetizione dello stesso reato nei suoi confronti.
Anche con riferimento ai nomi dei testimoni (e di persone che collaborano a vario titolo alle attività di giustizia) – e al di là dei limiti già previsti da disposizioni specifiche – prevalgono tendenzialmente ragioni di riservatezza. Pure in questo caso è difficile fare generalizzazioni, non potendosi escludere la possibilità di diffondere l’identità e altre informazioni concernenti un testimone quando tale conoscenza sia essenziale rispetto alla notizia pubblicata.
Riguardo ai nomi di familiari e conoscenti di persone interessate da vicende giudiziarie, il giornalista, fatta salva la sussistenza di specifici divieti, potrà eventualmente rendere noti i dati relativi a persone che risultano direttamente coinvolte in tali vicende, astenendosi invece dal diffondere i nomi e altre informazioni che riguardino persone che non risultano coinvolte nelle indagini e che appaiono invece collegate ai protagonisti dei fatti narrati, ad esempio, solo in ragione di precedenti relazioni sentimentali e convivenze avute con le stesse, ovvero in virtù di mere circostanze di fatto (ad es. dovrà essere omessa l’identità di colui che risulta essere proprietario dell’immobile dove si è consumato un delitto). Principi questi che hanno trovato più volte richiamo da parte del Garante e dell’Autorità giudiziaria con riferimento, ad esempio, alla pubblicazione del contenuto delle trascrizioni di intercettazioni telefoniche e ambientali.
Dati sulla salute e sulla vita sessuale
Particolari cautele sono prescritte al giornalista con riguardo alla circolazione di informazioni relative allo stato di salute, soprattutto quando la notizia riguarda persone – anche solo indirettamente identificabili – interessate da malattie gravi e irreversibili. La necessità di proteggere tali persone da un’indebita intrusione sui loro fatti di vita e sulle loro scelte da parte dei mezzi di comunicazione giustificano pertanto gli interventi decisi dal Garante, come è avvenuto, ad esempio, per il caso della ragazza affetta dal morbo della c.d. “mucca pazza” o, di recente, per la donna balzata sulle prime pagine dei giornali per il suo rifiuto di sottoporsi ad un intervento chirurgico (ritenuto dai medici necessario per la salvarle la vita). Quando simili informazioni vengono fornite dagli stessi interessati (ad esempio, mediante un’intervista) il giornalista può invece renderle pubbliche assicurando in ogni caso che tale operazione! non pregiudichi la dignità degli interessati medesimi.
Le informazioni relative alla sfera sessuale delle persone godono di una particolare protezione, analogamente a quelle relative allo stato di salute.
Al di fuori di tali ipotesi o di altre analoghe, il giornalista è chiamato ad effettuare un vaglio particolarmente attento sull’essenzialità di tale tipo di informazione nel contesto della notizia riportata, allo scopo di tutelare la dignità degli interessati ed evitare ingiustificate spettacolarizzazioni o strumentalizzazioni di scelte personali. Ciò, anche quando la notizia riguardi personaggi pubblici (appartenenti, ad es., al mondo dello spettacolo o dello sport).
Fermo restando quanto sopra, nel riferire fatti di cronaca collegati ad abitudini o orientamenti sessuali di una persona si rivelerà in certi casi opportuno tutelare l’interessato, non solamente mediante l’omissione delle sue generalità, ma anche evitando di divulgare elementi che consentono una sua identificazione anche solo nella cerchia ristretta di familiari e conoscenti. Ciò, in ragione del fatto che le informazioni diffuse possono rivelare aspetti della vita dell’interessato medesimo, eventualmente non noti alla suddetta cerchia di persone.
Margini più ampi per la diffusione di dati relativi allo stato di salute o alle abitudini sessuali – anche in assenza del consenso dell’interessato – possono essere previsti con riferimento a persone che godono di particolare notorietà, eventualmente anche in ambito locale, in ragione del ruolo o funzione ricoperti. Ciò, però, solo quando l’informazione possa assumere rilievo sul loro ruolo e sulla loro vita pubblica e non vengano diffusi precisi dettagli. In questi termini potrà, ad esempio, essere rilevante l’informazione relativa alla malattia che ha colpito un uomo politico o altra personalità di rilievo pubblico ove ciò sia necessario al fine di informare il pubblico sulla possibilità che ha lo stesso uomo di continuare a svolgere il proprio incarico.
L’attuazione delle misure organizzative previste per gli organismi sanitari dall’art. 83 del Codice privacy potrà infine essere di ausilio per chiarire entro quali limiti possono essere fornite, anche per telefono, informazioni a familiari e a terzi circa il ricovero, il passaggio in pronto soccorso, il decesso, ecc.
NOTE
[1] La legge 31 dicembre 1996, n. 675 reca: “Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali” ed è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 5 dell’8 gennaio 1997 – Supplemento Ordinario n. 3
[2] Il decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196 reca: “Codice in materia di protezione dei dati personali” ed è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 174 del 29 luglio 2003 – Supplemento Ordinario n. 123.
[3] Il Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 reca il “Codice in materia di protezione dei dati personali Vigenza 27 febbraio 2004 – Consolidato con la legge 26 febbraio 2004, n. 45 di conversione con modifiche dell’art. 3 del d.l. 24 dicembre 2003, n. 354”. L’ Art. 57 reca “Disposizioni di attuazione” ed al comma 1, lettera e) stabilisce quanto segue: ” 1. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della giustizia, sono individuate le modalità di attuazione dei principi del presente codice relativamente al trattamento dei dati effettuato per le finalità di cui all’articolo 53 dal Centro elaborazioni dati e da organi, uffici o comandi di polizia, anche ad integrazione e modifica del decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1982, n. 378, e in attuazione della Raccomandazione R (87) 15 del Consiglio d’Europa del 17 s! ettembre 1987, e successive modificazioni. Le modalità sono individuate con particolare riguardo: [omissis] e) alla comunicazione ad altri soggetti, anche all’estero o per l’esercizio di un diritto o di un interesse legittimo, e alla loro diffusione, ove necessaria in conformità alla legge.”.
[4] L’articolo 25, comma 2, de Codice sulla Privacy stabilisce che: “25. Divieti di comunicazione e diffusione 2. è fatta salva la comunicazione o diffusione di dati richieste, in conformità alla legge, da forze di polizia, dall’autorità giudiziaria, da organismi di informazione e sicurezza o da altri soggetti pubblici ai sensi dell’articolo 58, comma 2, per finalità di difesa o di sicurezza dello Stato o di prevenzione, accertamento o repressione di reati.”.
[5] L’articolo 8 del Codice di deontologia dei giornalisti recita: “Art. 8. Tutela della dignità delle persone 1. Salva l’essenzialità dell’informazione, il giornalista non fornisce notizie o pubblica immagini o fotografie di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesive della dignità della persona, né si sofferma su dettagli di violenza, a meno che ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell’immagine. 2. Salvo rilevanti motivi di interesse pubblico o comprovati fini di giustizia e di polizia, il giornalista non riprende né produce immagini e foto di persone in stato di detenzione senza il consenso dell’interessato. 3. Le persone non possono essere presentate con ferri o manette ai polsi, salvo che ciò sia necessario per segnalare abusi.”.
[6] L’articolo 2 del Codice di deontologia dei giornalisti prevede che: “Art. 2. Banche dati di uso redazionale e tutela degli archivi personali dei giornalisti 1. Il giornalista che raccoglie notizie per una delle operazioni di cui all’art. 1, comma 2, lettera b), della legge n. 675/1996 rende note la propria identità, la propria professione e le finalità della raccolta, salvo che ciò comporti rischi per la sua incolumità o renda altrimenti impossibile l’esercizio della funzione informativa; evita artifici e pressioni indebite. Fatta palese tale attività, il giornalista non è tenuto a fornire gli altri elementi dell’informativa di cui all’art. 10, comma 1, della legge n. 675/1996. 2. Se i dati personali sono raccolti presso banche dati di uso redazionale, le imprese editoriali sono tenute a rendere noti al pubblico, mediante annunci, almeno due volte l’anno, l’esistenza dell’archivio e il luogo dove è possi! bile esercitare i diritti previsti dalla legge n. 675/1996. Le imprese editoriali indicano altresì fra i dati della gerenza il responsabile del trattamento al quale le persone interessate possono rivolgersi per esercitare i diritti previsti dalla legge n. 675/1996. 3. Gli archivi personali dei giornalisti, comunque funzionali all’esercizio della professione e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità, sono tutelati, per quanto concerne le fonti delle notizie, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 69/1963 e dell’art. 13, comma 5, della legge n. 675/1996. 4. Il giornalista può conservare i dati raccolti per tutto il tempo necessario al perseguimento delle finalità proprie della sua professione.”.
[7] L’articolo 51 del Codice sulla Privacy tratta dei principi generali relativi all’informatica giuridica (CAPO III) ed al comma 2 stabilisce quanto segue: “2. Le sentenze e le altre decisioni dell’autorità giudiziaria di ogni ordine e grado depositate in cancelleria o segreteria sono rese accessibili anche attraverso il sistema informativo e il sito istituzionale della medesima autorità nella rete Internet, osservando le cautele previste dal presente capo. “.
[8] Art. 7. Del Codice sulla Privacy si occupa di diritto di accesso ai dati personali ed altri diritti. Al comma 4, lettera a), stabilisce che : “L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte: a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta.”.
Autore:
Garante per la protezione dei dati personali
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Codice deontologico, Cronache giudiziarie, Generalità, Foto segnaletiche, Luoghi pubblici, Giornalisti, Cronaca, Pubblica amministrazione, Responsabilità, Informazione, Dati personali, Immagini, Minori, Riservatezza, Interesse pubblico, Salute
Natura:
Varie