Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 25 Marzo 2007

Sentenza 31 gennaio 2007, n.378

Consiglio di Stato. Sentenza 31 gennaio 2007, n. 378: “Ricercatori universitari e decadenza dal servizio”.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sui ricorsi riuniti in appello nn. 2372/2004, 2373/2004 e 8441/2005 proposti rispettivamente:

1) ric. n. 2372/2004, da B. N., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Francesco Scanzano e Avv. Sergio Starace con domicilio eletto in Roma viale XXI Aprile n.11, presso l’Avv. Corrado Morrone;

contro

– l’UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE, rappresentata e difesa dagli Avv. Maria Alessandra Bazzani e Paolo Vaiano con domicilio eletto in Roma Lungotevere Marzio n. 3, presso l’Avv. Paolo Vaiano;

e nei confronti di

– I.N.P.S., non costituitosi;
– MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, non costituitasi;

2) ricorso n. 2373/2004, da B. N. come sopra rappresentato e difeso;

contro

l’UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE, come sopra rappresentata e difesa;

e nei confronti di

– I.N.P.S., non costituitosi;
– MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, non costituitosi;

3) ric. n. 8441/2005, proposto da B. N., come sopra rappresentato e difeso;

contro

– l’UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE DI MILANO, come sopra rappresentata e difesa;
– il MINISTERO DELLA SALUTE, il MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA e il MINISTERO DEGLI ESTERI, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio in Roma via dei Portoghesi n. 12;

per l’annullamento

delle sentenze del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia sede di Milano Sez. I n. 1148/2003 (ric. n. 2372/2004) n.2372/2003 (ric. n. 2373/2004) n. 3399/2005 (ric. n. 8441/2005).

Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 17 ottobre 2006 relatore il Consigliere Sabino Luce. Udito, l’avv.to Starace;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Con sentenza n. 3399/2005, del 21 aprile 2005, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia respingeva il ricorso (n. 3584/04) proposto da B. N. contro l’università cattolica del Sacro Cuore di Milano, nei confronti del Ministero della salute, dell’istruzione, dell’università e della ricerca e nei confronti del Ministero degli esteri. Il ricorso era stato proposto per l’annullamento: del provvedimento di sospensione cautelare del ricorrente dall’incarico di ricercatore di cui alla nota prot. R/MI/LC/prot. n. 7758 del 18 giugno 2003 a firma del rettore dell’università e del successivo provvedimento di decadenza dall’impiego ex art. 127, comma 1°, lettera c) del d.P.R. n. 3 del 10 gennaio 19578 di cui al decreto rettoriale n. 1173 del 31 marzo 2004 comunicato mediante lettera DA/MI/CNL/nc/Prot. 763, del 14 aprile 2004, a firma del direttore amministrativo dottor C. B.; d) di ogni atto antecedente, successivo, consequenziale o comunque connesso; e per l’inibizione di comportamenti vessatori; per il pagamento delle retribuzioni dal dicembre 2002 e di ogni altro emolumento (tredicesime, indennità, ecc.) e dei contributi previdenziali dal 1° ottobre 2001 alla scadenza, con interessi e rivalutazione monetaria; per l’accertamento dell’illegittimità della lesione del diritto all’aspettativa senza assegni per gravi motivi di famiglie ex art. 69 d.P.R. n./57 e comunque al congedo parentale ex art. 32 D.Lgs. 151/01; per il risarcimento del danno derivato dalla mancata attivazione della copertura di assistenza diretta ex d.P.R. 816/80 durante il congedo all’estero e per il pagamento delle spese sanitarie anticipate per le cure del figlio, per il risarcimento di ogni danno occorso, patrimoniale non patrimoniale.
Con altre due sentenze (nn. 1148/03, del 3 aprile 2003 e n. 2372/03 del 17 aprile 2003), inoltre, lo stesso indicato Tribunale amministrativo regionale accoglieva due ricorsi proposti dall’università cattolica del Sacro Cuore in opposizione ai decreti n. 18/02, del 20 dicembre 2002 e n 11/02, del 3 settembre 2002, con i quali il presidente dello stesso Tribunale amministrativo aveva ingiunto all’Università il pagamento al B. delle indicate somme di euro 8.750,00 e di euro 15.750,00, oltre a rivalutazione monetaria, interessi e spese in considerazione della sospensione della retribuzione dovutagli quale ricercatore confermato.
Contro le sentenza indicate B. N. ha proposto distinti appelli al Consiglio di Stato; ed i relativi ricorsi, nella resistenza dell’intimata amministrazione, chiamati per l’udienza odierna, all’esito della stessa, sono stati trattenuto in decisione dal collegio.

DIRITTO

I ricorsi, soggettivamente ed oggettivamente connessi, vanno riuniti e congiuntamente esaminati.
Preliminarmente va ritenuta l’inammissibilità della domanda del B. di risarcimento e di consulenza di ufficio per asseriti danni alla salute perché proposta per la prima volta in appello e comunque perché esorbitante dai limiti oggettivi dei giudizi in esame. Allo stesso modo va respinta la richiesta di ammissione di prova testimoniale apparendo la causa sufficientemente istruita.
Va, poi, rilevato che con decreto n. 1173, del 31 marzo 2004, il rettore dell’università cattolica del Sacro Cuore di Milano dichiarava la decadenza dall’impiego, ai sensi dell’articolo 127, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 3, del 10 gennaio 1957, di B. N., ricercatore confermato (dal 1984) presso la facoltà di scienze politiche. Al B. l’università aveva concesso un congedo con assegni, inizialmente decorrente dal 1° aprile al 1° ottobre 2000, poi più volte prorogato sino al 30 settembre 2001. Il provvedimento di decadenza dal servizio era giustificato dal fatto che il B., terminato il congedo per motivi di studio, non aveva riassunto servizio presso la sede universitaria di Milano alla data (di cessazione del congedo) del 1° ottobre 2001. Precedentemente, su richiesta dell’interessato, il presidente del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, con due decreti, aveva ingiunto all’università di pagare al B.le somme di euro 8.750,00 e di euro 15.750,00, oltre a rivalutazione monetaria, interessi e spese, per ritenuta illegittima sospensione della retribuzione per i periodi ottobre 2001-giugno 2002 e luglio 2002-novembre 2002.
Come, poi, già rilevato nelle premesse di fatto, con sentenza 3399/2004, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia respingeva il ricorso proposto dal B. avverso gli atti di decadenza dall’impiego. Peraltro, nelle more del giudizio, il dipendente era stato riammesso in servizio con decreto del rettore n. 2660/05, in esecuzione dell’ordinanza n. 5827/04 del Consiglio di Stato che aveva disposto la sospensione della provvisoria esecuzione dei provvedimenti impugnati. Dopo la sentenza di primo grado, il B. era stato di nuovo riammesso in servizio dopo che il Consiglio di Stato, con ulteriore ordinanza n. 5583/05, aveva disposto la sospensione della provvisoria esecuzione dell’indicata medesima sentenza n. 3399/2004 del Tribunale amministrativo regionale ed era invitato (con nota del 1 febbraio 2006) a presentarsi al preside della facoltà ed al docente di riferimento per il reinserimento nell’attività dell’ateneo, senza, tuttavia, alcun esito stante la richiesta di aspettativa per infermità non potuta verifica per essersi l’interessato assentato dall’Italia.
Con la menzionata sentenza n. n. 3399/2004, il Tribunale amministrativo regionale riteneva legittimo l’operato dell’amministrazione ravvisando nel comportamento del B. una reiterata violazione ai doveri di insegnante e la manifestazione della volontà di non intendere rientrare in Italia al termine dell’aspettativa. L’ultima proroga della aspettativa medesima- secondo i giudici di primo grado- era stata concessa a condizione che il dipendente rispettasse una serie di impegni, peraltro già espressamente assunti all’inizio del congedo e cioè: i) consegna, alla fine del periodo di congedo, di un elaborato idoneo alla pubblicazione ii) una valutazione scritta dei docenti americani presso il cui istituto doveva svolgere la sua ricerca, iii) regolare tenuta del registro dei compiti didattici e scientifici secondo quanto prescritto dall’articolo 32 del d.P.R. n. 382/80 e dall’articolo 5 delle disposizioni concernenti lo svolgimento dei compiti del ricercatore. Impegni che non erano stati mantenuti dall’interessato il quale, al contrario, prima della scadenza del termine concesso per la ripresa del servizio, con lettera del 1° luglio 2001, trasmessa via e mail il 20 luglio successivo e via posta dall’Italia il 26 luglio 2001, chiedeva di poter prorogare il periodo di congedo per ragioni di studio segnalando la necessità di essere presente nel periodo autunnale a Philadelphia per controllare lo stato di salute di un figlio malato. Nella seduta del 5 settembre 2001 il Consiglio di facoltà, tuttavia, non accoglieva la domanda di proroga ribadendo la necessità che il docente producesse la relazione scientifica corredata dei giudizi del prof. A. e K. (i docenti americani presso cui il ricercatore doveva svolgere la ricerca). Nella medesima seduta il Consiglio di facoltà si pronunziava anche favorevolmente su di una eventuale ipotesi di aspettativa senza assegni per gravi ragioni di famiglia qualora, però, l’interessato avesse presentato la relativa domanda corredata dalla dimostrazione della sussistenza dei presupposti di legge. In caso contrario- proseguiva la deliberazione del consiglio di facoltà- il B. avrebbe dovuto riprendere regolarmente il servizio alla prevista scadenza del 30 settembre 2001. Il Consiglio di facoltà dava mandato alla direzione amministrativa di trasmettere la deliberazione all’interessato ed accertare, ove l’aspettativa per motivi di famiglia non avesse avuto luogo, l’avvenuta ripresa del servizio. La deliberazione era trasmessa il 29 settembre 2001 al docente che non si faceva tuttavia carico di assolvere ai sui doveri e di riprendere servizio presso l’università. Sulla base delle circostanze indicate, il Tribunale amministrativo regionale riteneva, pertanto, che il B. era venuto meno agli obblighi cui era tenuto nei confronti dell’Università ed aveva omesso di riprendere servizio al termine dell’aspettativa per cui legittimamente l’università lo aveva dichiarato decaduto.
Con le altre due indicate sentenze, inoltre, numero n. 1148/2002 e 2372/2003, lo stesso Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, in accoglimento dell’opposizione proposta dall’università cattolica del Sacro Cuore di Milano, revocava (la prima) il decreto n. 18/02 del 20 dicembre 2002, e (la seconda) il decreto 11/02, del 3 settembre 2002, con i quali – come già rilevato precedentemente- il presidente dello stesso Tribunale amministrativo aveva ingiunto all’Università il pagamento delle indicate somme di euro 8.750,00 e di euro 15.750,00, oltre a rivalutazione monetaria, interessi e spese in favore del B. per la sospensione della retribuzione.
I giudici di primo grado giustificavano la revoca dei decreti ingiuntivi facendo riferimento al principio di cui all’articolo 1460 del codice civile ritenuto applicabile anche al rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione. Secondo il Tribunale amministrativo regionale, nell’azione di adempimento, di norma il creditore è tenuto a provare soltanto l’esistenza del titolo e non anche l’inadempienza del debitore dovendo essere quest’ultimo a provare di avere adempiuto alla sua prestazione, salvo che non opponga l’eccezione inadimplenti non est adimplendum nel qual caso sarà l’altra parte a doverla neutralizzare provando il proprio adempimento ovvero che la sua obbligazione non era ancora dovuta (Cass. Civ. sez. III, 23 maggio 2001, n. 7027). Secondo il Tribunale amministrativo regionale, il B., sebbene vi fosse conseguentemente tenuto per effetto dell’eccezione di inadempimento sollevata dall’università, non aveva dato prova di avere adempiuto alla prestazione da lui dovuta o di avere concretamente offerto la propria prestazione lavorativa limitandosi a lamentare un presunto atteggiamento ostruzionistico e preclusivo da parte dell’ateneo.
Dal canto suo l’università aveva documentato che nel corso dell’adunanza del consiglio di facoltà del 4 settembre 2002 il preside aveva reso noto che non era pervenuta dal B.la scheda degli impegni didattici per l’anno 2002/2003; carenza in alcun modo giustificata dall’interessato e non dipendente da preventive omissioni dell’università. Ulteriori dichiarazioni del direttore amministrativo e del direttore della sede di Milano avevano, poi, riferito della continuativa assenza del B. dalle strutture universitarie e dell’omessa partecipazione alle commissioni di esame e alle altre attività didattiche; circostanze, peraltro, ammesse dallo stesso interessato che le imputava alla mancanza di convocazione da parte dell’ateneo mentre, a suo dire, la presenza in ufficio sarebbe provata dall’uso del telefono e dalla frequentazione della mensa, non tenendo conto che, ai sensi dell’articolo 32 del d.P.R. n. 382/80, il mancato conferimento di specifici compiti di insegnamento non fa venir meno la permanente assegnazione del ricercatore all’attività di supporto dei docenti e di collaborazione con gli studenti in riferimento alle ricerche relative alla preparazione delle tesi di laurea con conseguente obbligo anche di una significativa presenza in ufficio (Cons. St. Sez. VI, 15 maggio 2000, n. 2787). Risultava infine provato che vi era stata continua assenza dal servizio del B. e il mancato svolgimento dell’attività di supporto dei docenti e di collaborazione con gli studenti in riferimento alle ricerche relative alla preparazione delle tesi di laurea con conseguente obbligo di una significativa presenza in ufficio (Cons. St. sez. VI, 15 maggio 2000, n. 2787).
Le indicate decisioni del Tribunale amministrativo regionale sono censurate dal B. con dodici motivi di ricorso riferiti alla sentenza n. 3399/2005 e nove motivi di ricorso riferiti alle sentenza n. 2372/2003 e n. 1148/03 che ripropongono sostanzialmente le tesi difensive sviluppate nei giudizi di primo grado nella prospettiva di una diversa lettura delle risultanze di causa. Sostanzialmente, l’appellante lamenta un atteggiamento dell’università ritenuto ostile e sostiene di essere stato obbligato dalla stessa ad una condizione di assoluta impossibilità di svolgere appieno il suo lavoro.
Con riferimento alla sentenza 3399/2005, il ricorrente, in particolare deduce:
violazione dell’articolo 69 del d.P.R. n. 3/57, dell’articolo 32 del D: Lgs. n. 151/01 e della delibera del consiglio di facoltà di scienze politiche del 5 settembre 2001 ed eccesso di potere. Il direttore amministrativo dell’università- secondo l’appellante- ha violato l’aspettativa già concessa ad esso appellante dal 1° ottobre al 31 dicembre 2001 (primo motivo).
– violazione degli articoli 90 e seguenti e 127 del d.P.R. n. 3/57, degli articoli 32, 33 e 34 del d.P.R. n. 382/80, degli articoli 3, 7 e 49 del decreto legislativo 165/01, e degli articoli 2, 33 e 97 della Costituzione ed eccesso di potere. Illegittimità del provvedimento di sospensione cautelare per carenza di formale provvedimento, di motivazione e di istruttoria (secondo motivo).
-violazione dell’articolo 127 del d.P.R. n. 3/57, degli articoli 32 e 33 del d.P.R. n. 382/80, degli articoli 3, 7 e 49 del decreto legislativo n. 165/01, dell’articolo 6 commi 9 ed 11 della legge n. 186/89, dell’articolo 11, settimo comma, lettera b) del D.M. 3 novembre 1999, n. 509, del D.R. n. 5559/02 e degli articoli 2, 33 e 97 della Costituzione, violazione dei principi in materia di autotutela ed eccesso di potere. Il provvedimento di decadenza è in contrasto con l’accertamento dei fatti già espletato dal Consiglio di Stato (terzo motivo).
-violazione per più profili dell’articolo 127 del d.P.R. n. 3/57, degli articoli 32 e 33 del d.P.R. n. 382/80, degli articoli 3, 7 e 49 D.Lgs. n. 165/01, dell’articolo 6, commi 9 ed 11, della legge n. 186/89, dell’articolo 11, settimo comma, lettera B) D.M. 3 novembre 1999, n. 509, D.R. n. 5559/02 e degli articoli 2, 33 e 97 della Costituzione, eccesso di potere. Intempestività del provvedimento di decadenza e sviamento di potere (quarto motivo), illegittimità del provvedimento di decadenza per difetto di formale diffida alla riassunzione (quinto motivo), assoluta genericità degli addebiti mossi nella comunicazione di avvio del procedimento (sesto motivo).
– violazione, per più profili, della legge n. 241/90, dell’articolo 127 del d.P.R. n. 3/67, degli articoli 32 e 33 del d:P.R. n. 382/80, degli articoli 3, 7 e 49 del D.Lgs. n. 165/01, dell’articolo 6, commi 9 ed 11 della legge n.186/89, dell’articolo 11, settimo comma, lettera B) D.M. 3 novembre 1999, n. 509, D.R. n. 5559/01 e degli articoli 2, 33 e 97 della Costituzione ed eccesso di potere, per difetto e carenza di istruttoria- violazione principio giusto procedimento amministrativo per rigetto delle istanze istruttorie avanzate dal ricorrente ne procedimento di decadenza (settimo motivo), carenza di istruttoria, violazione principio del giusto procedimento amministrativo per rigetto delle istanze istruttorie avanzate dal ricorrente nel procedimento di decadenza, carenza di motivazione del provvedimento di decadenza, fulminea istruttoria del rettore in sette giorni, dal 24 marzo 2004 al 31 marzo 2004 (ottavo motivo), mancato accertamento della reale volontà del ricorrente e comunque esistenza di cause giustificative nella riassunzione del servizio (nono motivo).
– violazione, per più profili, dell’articolo 127 del d.P.R. n. 3/57, degli articoli 32 e 33 del d.P.R. n. 382/80, degli articoli 3, 7 e 49 del D.Lgs. 165701, dell’articolo 6, commi 9 e 11, della legge n. 186/89, dell’articolo 11, settimo comma, lettera B), D.M. 3 novembre 1999,n. 509, D.R. n. 5559/02, dell’articolo 1460 codice civile e degli articoli 2, 33 e 97 della Costituzione e d eccesso di potere, in riferimento al pagamento delle retribuzioni dal dicembre 2002 e degli emolumenti, compresi i contributi previdenziali, dal 1 ottobre 12001 fino a sentenza (decimo motivo), mobing e inattività forzata: richiesta di inibitoria e risarcimento danni patrimoniali e non (undicesimo motivo), pagamento delle spese sanitarie affrontate all’estero per la cura del proprio figlio ex articolo 2 d.P.R. 618/80 (dodicesimo motivo).
Tali censure, con cui il B. ripropone pressoché integralmente le tesi difensive sviluppate in primo grado, puntualmente disattese dal Tribunale amministrativo regionale e relative ad un’asserita sua incolpevolezza in merito alla ritardata riassunzione in servizio, sebbene ampiamente articolate e sviluppate, alla stregua delle prove acquisite, sono, tuttavia, infondate e vanno quindi respinte.
Non convince, innanzi tutto, la tesi del ricorrente secondo il quale il provvedimento dell’università del 5 settembre 2001, pur negandogli il prosieguo dell’aspettativa con assegni, gli aveva, tuttavia, concesso un’aspettativa senza assegni per gravi motivi di famiglia dall’1 ottobre al 31 dicembre 2001, ex articolo 69 e 70 del d.P.R. n. 3/57. La deliberazione richiamata dall’appellante ha, infatti, un contenuto del tutto diverso da quello esposto dal ricorrente che, peraltro, con l’istanza del luglio 2001, non aveva fatto alcuna richiesta di aspettativa per motivi di famiglia. Solo successivamente, con nota del 28 settembre, il B. inoltrava domanda di congedo parentale ai sensi dell’articolo 7 della legge 53/00 e decreto legislativo 151/01, che, tuttavia, comportavano effetti diversi dall’autorizzazione a proseguire l’assenza dal servizio restando all’estero, concernendo soltanto la concessione di una anticipazione del trattamento di fine rapporto. Il diniego della proroga dell’aspettativa era inoltre ribadito al B. dal direttore amministrativo dell’università il quale, con la nota del 16 ottobre 2001, proprio per tale motivo, lo invitava a produrre la documentazione di rito per l’eventuale concessione dell’aspettativa per motivi di famiglia avvertendolo, nel contempo, che, in caso di mancato riscontro, giusta la deliberazione indicata del consiglio di facoltà del 5 settembre 2001, avrebbe dovuto riprendere servizio e senza indugio. Né la tesi del ricorrente di avere ripreso servizio il 17 ottobre 2001, come da nota del 21 febbraio 2002 con cui si giustificava il ritardo per un presunto blocco dei voli dagli USA a seguito degli attentati dell’11 settembre, è risultata supportata da alcuna prova in merito allo svolgimento di alcuna delle attività proprie del ricercatore.
E’ pur vero, inoltre, come deduce l’appellante, che, ai sensi dell’articolo 34 del d.P.R. 382/1980, i provvedimenti relativi allo stato giuridico ed al trattamento economico dei ricercatori universitari andavano adottati con decreto del rettore. Tuttavia, nel caso in esame- come correttamente rilevato dal Tribunale amministrativo regionale- non vi è stato alcun provvedimento formale di sospensione dal servizio dell’appellante a cui, anzi, con la nota del 18 giugno 2003 a firma del rettore, si dava direttamente comunicazione dell’avvio del procedimento di decadenza. Decadenza, peraltro, che, correttamente, era poi fatta conseguire dalla mancata ripresa del servizio entro il termine ultimativo del 30 settembre 2001, anche se alla relativa pronunzia si era pervenuti successivamente, all’esito di un complesso confronto caratterizzato da un insuperabile irrigidimento delle posizioni delle parti, con atto cui veniva attribuita valenza retroattiva. Né sono stati acquisiti elementi per ritenere- come pretende l’appellante- che il procedimento di decadenza dall’impiego sia stato avviato e concluso nei suoi confronti per mera ritorsione alla pretesa da lui avanzata al pagamento delle spettanze dovutegli dall’università e che avevano portato all’emanazione delle ingiunzioni di pagamento. Infondata in fatto è poi la deduzione relativa all’asserita mancata previa diffida alla ripresa del servizio che era stata, invece, più volte reiterata con la delibera del consiglio di facoltà del 5 settembre 2001 e con le note del 16 ottobre 2001, 5 agosto 20023 e 16 giugno 2003. Contrariamente, poi, a quanto dedotto dall’appellante, gli addebiti a lui mossi dall’università non erano affatto generici ed immotivati, avendo, invece, l’università provveduto in più occasioni a segnalargli gli adempimenti cui era tenuto invitandolo senza esito al corretto adempimento delle prestazioni impostegli dal rapporto di lavoro. Gli atti acquisiti, infine- come rilevato dal Tribunale amministrativo regionale- erano sufficienti all’adozione del provvedimento senza necessità di ulteriore istruttoria, perché rendevano evidente l’intenzione del B. di non voler rientrare in Italia al termine del periodo di aspettativa passata all’estero ove, anzi, per ragioni personali e di famiglia aveva interesse a permanere. Interesse che è stato confermato dallo steso ricorrente il quale- come già rilevato in precedenza-sollecitato dal rettore, a seguito delle sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza impugnata, con nota del 1 febbraio 2006 alla ripresa del servizio, comunicava, contestualmente alla presentazione di certificati medici, di assentarsi dall’Italia.
Quanto, poi, alle sentenze n. 2372/2003 e n. 1148/03 il ricorrente lamenta:
-violazione e falsa applicazione dell’articolo 34 del d.P.R. n. 382/80, ed eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, per difetto del provvedimento formale (decreto rettoriale) di sospensione formale della retribuzione ai sensi dell’articolo 34 del d.P.R. 382/80 (primo motivo)
– violazione e falsa applicazione, per più profili, dell’articolo 1460 e 2087 codice civile, degli articoli 32 e 33 del d.P.R. n. 382/80, degli articoli 3, 7 e 49 del D.Lgs. n. 165/01, del d.P.R. n. 3/57, dell’articolo 6, commi 9 e 11 della legge n. 168/1989, dell’articolo 11, settimo comma, lettera b) D.M. 3 novembre 1999, n. 509, del decreto rettoriale n. 5559/2002, della prassi amministrativa concordata e degli articoli 3, 33 e 97 della Costituzione ed eccesso di potere, avendo adempiuto integralmente i propri obblighi di ricercatore ai sensi dell’articolo 32 (secondo motivo); perché l’articolo 1460 codice civile non è applicabile al pubblico impiego e per inapplicabilità del successivo decreto rettoriale n. 5559 del 31 maggio 2002 (terzo motivo); per avere offerto la propria prestazione ai sensi del primo comma dell’articolo 1460 codice civile (quarto motivo); violazione del criterio della buona fede ai sensi del secondo comma dell’articolo 1460 codice civile (quinto motivo); violazione del principio di proporzionalità (sesto motivo); violazione della procedura di verifica di cui all’articolo 5 del decreto rettoriale n. 5559 del 31 maggio 2002 (settimo motivo); violazione dell’onere della prova ai sensi dell’articolo 1460 codice civile (ottavo motivo); difetto di udienza pubblica e mancato rispetto dei termini di legge per la difesa dei controinteressati (nono motivo).
Anche tali censure- implicanti anch’esse un’asserita incolpevolezza del ricorrente nelle incorse inadempienze- alla stregua degli elementi acquisiti, sono, tuttavia, infondate e vanno respinte.
Ai sensi, infatti, dell’articolo 32 del d.P.R. n. 382/1980, i ricercatori universitari contribuiscono ai compiti della ricerca scientifica universitaria ed assolvono a compiti didattici integrativi dei corsi di insegnamento ufficiali, ivi comprese le esercitazioni, le collaborazioni con gli studenti e la relativa attività tutoria. Ed agli indicati fini i ricercatori dell’università del Sacro Cuore di Milano erano, in particolare, tenuti a presentare, preventivamente, i programmi delle attività di ricerca e didattiche che intendevano svolgere nel corso dell’anno accademico e tenere gli appositi registri ove annotare le attività di ricerca e didattiche svolte sottoponendoli successivamente all’esame del preside e del consiglio di facoltà. Ogni tre anni, infine, i ricercatori erano tenuti a presentare una relazione sul lavoro scientifico e sull’attività didattica svolti. A fronte degli indicati specifici obblighi, sulla base della complessa documentazione acquisita in primo grado, tenendo conto del criterio di ripartizione tra le parti dell’onere della prova- con apprezzamento logico e coerente che il collegio condivide- i giudici di primo grado hanno, invece, accertato che: che il B. era incorso in reiterati gravi inadempimenti nella tenuta del registro, nonostante gli impegni specificamente sottoscritti e le reiterate segnalazione della facoltà; non aveva presentato alcun piano individuale dell’attività didattica per gli anni accademici 2001-2002; non si era presentato al preside della facoltà per la ripresa del servizio al termine del periodo di aspettativa all’estero, né aveva chiesto di essere eventualmente inserito nelle commissioni di laurea e non aveva partecipato ad alcuna attività didattica; non aveva esercitato alcuna scelta in merito all’afferenza ad un istituto o dipartimento e non aveva partecipato ad alcun esame di profitto; non aveva frequentato nelle forme dovute l’università e non aveva prodotto alcun elaborato idoneo alla pubblicazione al termine del periodo di ricerca, né aveva prodotto alcuna valutazione scritta dei docenti esteri cui era stato assegnato. Sulla base della valutazione indicata, correttamente, pertanto, il Tribunale amministrativo regionale è pervenuto alla conclusione per cui, a fronte di un quadro di sistematica inadempienze da parte del dipendente, legittimamente l’amministrazione aveva sospeso l’erogazione del trattamento economico ai sensi dell’articolo 1460 del codice civile ritenuto applicabile, in quanto espressione di un principio di carattere generale, anche al rapporto di impiego dei pubblici dipendenti.
Né rileva la dedotta mancanza di un formale provvedimento di sospensione della retribuzione da parte del rettore che aveva competenza, ai sensi dell’articolo 34 del d.P.R. n. 382/80, a provvedere sullo stato giuridico e sul trattamento economico dei ricercatori universitari. A parte i dubbi sulla ammissibilità della censura, dedotta per la prima volta in appello, come rilevato sul punto dai giudici di primo grado, l’omesso pagamento della retribuzione nel caso in esame è avvenuto per l’inadempimento della prestazione lavorativa del dipendente e per esso, stante la stretta relazione della retribuzione con la prestazione di lavoro, era sufficiente la presa d’atto dell’inadempimento della prestazione lavorativa. Né, poi, è condivisibile la tesi dell’appellante in ordine all’asserita non veridicità degli addotti suoi inadempimenti, di essere stato vittima di un atteggiamento ostile dell’università e di non essere stato posto in condizione di assolvere ai suoi doveri, avendo i giudici di primo grado, come già rilevato in precedenza, fatto corretta interpretazione degli acquisiti elementi di prova che evidenziavano, invece, il suo persistente inadempimento. Nemmeno, inoltre, può essere accolta la tesi dell’appellante secondo cui egli non aveva alcun obbligo di inviare la scheda degli impegni didattici prevista dal decreto del rettore n. 5559 del 31 maggio 2002. Tale decreto, infatti, era meramente ricognitivo di uno specifico obbligo previsto dallo status di ricercatore e sussisteva anche prima della data di entrata in vigore del decreto che formalmente lo imponeva. Allo stesso modo inattendibile è la tesi del ricorrente di avere continuato la ricerca per conto dell’università stante la mancata produzione di alcun documento che possa darne la prova e la mancata produzione di alcuna delle asserite numerose lettere con le quali il ricercatore avrebbe sollecitato di essere coinvolto nell’attività didattica dell’università. La gravità e persistenza degli accertati e peraltro ammessi inadempimenti del dipendente, la tenace rivendicazione di una sorta di diritto di continuare all’estero un’infruttuosa ricerca, il trincerarsi nella rivendicazione di un inadeguata considerazione delle proprie capacità professionali, peraltro meramente enunciate, e la denuncia di un non provato comportamento mobizzante dell’università, escludono, infine- ad avviso del collegio- che l’operato dell’amministrazione, anche per la prolungata constatata inconciliabilità delle rispettive posizioni, si possa considerare sproporzionata ed eccessivo rispetto agli inadempimenti concretamente accertati e contestati.
I proposti appelli vanno pertanto respinti con compensazione delle spese processuali ricorrendovi giusti motivi per la peculiarità e complessità della lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, riuniti i ricorsi, respinge gli appelli e conferma le sentenze impugnate. Spese compensate.
Ordina che la decisione venga eseguita in via amministrativa.

Così deciso in Roma il 17 ottobre 2006 in camera di consiglio dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, con l’intervento dei sigg:

Mario Egidio Schinaia Presidente
Sabino Luce Consigliere estensore
Carmine Volpe Consigliere
Gianpiero Paolo Cirillo Consigliere
Giuseppe Romeo Consigliere

Presidente
f.to Mario Egidio Schinaia
Consigliere Segretario
f.to Sabino Luce f.to Glauco Simonini