Sentenza 31 gennaio 2003, n.11883
Corte di Cassazione. Sezione lavoro. Sentenza 31 gennaio 2003, n. 11883: “Tutela prevista per la generalità dei lavoratori per i lavoratori dipendenti dalle organizzazioni di tendenza”.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Vincenzo MILEO Presidente
Dott. Mario PUTATURO DONATI V. Consigliere
Dott. Natale CAPITANIO Consigliere
Dott. Antonio LAMORGESE Cons. Rel.
Dott. Giovanni AMOROSO Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
INAS – ISTITUTO NAZIONALE ASSISTENZA SOCIALE, in persona del presidente e legale rappresentante Giovanni Carlo Panero, elettivamente domiciliato in Roma, via Agri n. 1, presso l’avv. Pasquale Nappi, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti; – ricorrente –
contro
BOBBIO Paolina, elettivamente domiciliata in Roma, via della Mercede n. 52, presso l’avv. Mario Menghini, che con l’avv. Fausto Marengo la rappresenta e difende, giusta delega in atti; – controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 349 depositata il 16 agosto 2000 (R.G.L. n. 465-2000).
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 31 gennaio 2003 dal Relatore Cons. Antonio Lamorgese;
Udito l’avv. Mario Menghini;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Riccardo Fuzio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
Con sentenza del 10 marzo 2000 il Tribunale di Alessandria, accogliendo il ricorso proposto da Paolina Bobbio, dichiarava la illegittimità del trasferimento di costei dalla sede di Ovada a quella di Novi Ligure, disposto dal datore di lavoro Inas – Cisl, che condannava a reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro presso la precedente sede.
L’appello proposto dal soccombente avverso questa decisione è stato rigettato dalla Corte di appello di Torino, con pronuncia depositata il 16 agosto 2000. Il giudice del gravame ha ritenuto l’applicabilità delle disposizioni dettate dall’art. 2103 cod. civ. anche alle organizzazioni di tendenza, quale appunto deve essere qualificato l’Inas – Cisl, e che costituivano autonome unità produttive degli uffici dell’appellante siti in Ovada e in Novi Ligure. Ha aggiunto che la definizione di unità produttiva data dal ccnl di settore, come quel “complesso degli uffici di zona ubicati nella stessa provincia e che fanno capo all’ufficio provinciale”, contrasta con l’interpretazione evidenziata in proposito dall’appellante: se la detta definizione contrattuale deve essere intesa in senso restrittivo, neppure l’ufficio di Novi Ligure può essere considerato unità produttiva, con la conseguenza che nell’ambito dell’intera provincia di Alessandria avrebbe dovuto affermarsi l’esistenza di una sola unità produttiva, quella cioè situata nel capoluogo di provincia, con evidente aggiramento della ratio della disposizione dell’art. 2103 cod. civ.
Di questa pronuncia l’Inas ha chiesto la cassazione con ricorso affidato a tre motivi.
L’intimata ha resistito con controricorso.
Diritto
Osserva preliminarmente il Collegio che nel controricorso depositato dalla Bobbio non può ravvisarsi un ricorso incidentale, sebbene la resistente abbia in esso dedotto anche la pretermissione da parte del giudice di appello della questione – che assume avere sollevato in quel grado del giudizio – della insussistenza di qualsiasi accordo circa la trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, con la conseguenza che il rapporto di lavoro avrebbe perciò dovuto proseguire a tempo pieno nella sede da cui era stata trasferita. Si deve infatti rilevare che la resistente non ha chiesto la riforma della sentenza impugnata, limitandosi a richiamare la detta questione a sostegno della infondatezza delle censure mosse dall’ente ricorrente e della illegittimità del trasferimento disposto nei suoi confronti. Del resto, la parte vittoriosa nel giudizio di appello non può, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (v. sentenze 12 aprile 2001 n. 5503, 16 luglio 2001 n. 9637), proporre ricorso incidentale per sollevare questioni che non sono state decise dal giudice del merito perché assorbite dall’accoglimento di altra tesi, avente carattere preliminare, restando salva la facoltà di riproporle innanzi al giudice di rinvio in caso di annullamento della sentenza impugnata.
Ed inutilmente la resistente richiama, ai fini della deducibilità nel presente giudizio della questione formulata con il controricorso, la pronuncia di questa Corte 29 luglio 1994 n. 7141, la quale invece è in linea con l’orientamento giurisprudenziale innanzi citato.
Passando all’esame del ricorso, il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 cod. civ. e dell’art. 4 legge n. 108 del 1990, nonché vizio di motivazione, e critica la sentenza impugnata perché ha ritenuto, senza peraltro fornire adeguata e logica motivazione, l’applicabilità nella fattispecie in esame, malgrado la incontroversa qualificazione dell’Inas come organizzazione di tendenza, della disciplina limitativa dei trasferimenti, escludendo soltanto l’operatività nei confronti dell’Inas della tutela reale dei licenziamenti di cui all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
Relativamente al vizio di motivazione, esso è stato denunciato con riguardo alla insufficienza delle ragioni addotte dalla sentenza impugnata in ordine alla interpretazione della norma di cui all’art. 4 della legge n. 108 del 1990, e alla estensione, negata per i trasferimenti, della disciplina, che esclude dall’ambito di applicazione della tutela reale le organizzazioni di tendenza; l’Inas, si sottolinea in ricorso (pag. 4), “si attendeva un approfondimento della questione o quanto meno una motivazione appagante da parte della Corte di appello, la quale, viceversa, dopo aver richiamato, in sintesi le argomentazioni che avevano sorretto il convincimento del primo giudice nel respingere tutte le tesi ed eccezioni dell’Inas, se l’è cavata…”. Va infatti osservato che il vizio di motivazione riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., come questa Corte ha più volte evidenziato, può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche; in questo secondo caso, che invece ricade nella previsione dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., il vizio di motivazione in diritto non può avere rilievo di per sè, in quanto esso, se il giudice del merito ha deciso correttamente le questioni di diritto sottoposte al suo esame, supportando la sua decisione con argomentazioni inadeguate, illogiche o contraddittorie o senza dare alcuna motivazione, può dare luogo alla correzione della motivazione da parte della Corte di cassazione (Cass. 20 febbraio 1999 n. 1430, 18 marzo 1995 n. 3205, 27 marzo 1993 n. 3665, 9 aprile 1990 n. 2940).
Riguardo al denunciato errore di diritto, la chiara formulazione della disposizione in esame esclude che ad essa possa attribuirsi la portata che l’ente ricorrente sostiene.
L’art. 4 della citata legge n. 108 del 1990, nella seconda parte del primo comma così dispone: “La disciplina di cui all’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’articolo 1 della presente legge, non trova applicazione nei confronti dei datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione, ovvero di religione o di culto”. La norma, in base al suo tenore letterale, stabilisce per le c.d. organizzazioni di tendenza, indipendentemente dal requisito dimensionale, l’esenzione solo dalla tutela reale, ed in quanto esclude alcuni casi dall’applicazione di una regola generale o di una legge, è norma eccezionale, come tale di stretta interpretazione e non applicabile alle ipotesi in essa non previste, le quali rientrano invece nella disciplina rispetto alla quale la norma si pone come eccezione.
Inoltre, posto che il sacrificio dei diritti dei lavoratori in base alla disciplina qui richiamata è ammissibile in via eccezionale e solo nei limiti in cui tali diritti vengano a trovarsi in contrasto con l’esercizio di altri principi costituzionalmente tutelati (cfr. in motivazione Cass. 16 giugno 1994 n. 5832), quali la libertà dei partiti politici, la libertà sindacale, la libertà religiosa e la libertà di insegnamento, che nell’ambito di quel contrasto il legislatore intende privilegiare, non rientrerebbe nelle finalità della norma l’esenzione delle organizzazioni di tendenza anche dalla regolamentazione legislativa dei trasferimenti dei lavoratori. Non vi sarebbe, infatti, ragione di ritenere che la prestazione di lavoro del dipendente, in linea con la posizione della organizzazione di tendenza sua datrice di lavoro in una sede, non lo fosse in un’altra: non sussisterebbe cioè alcuna situazione di incompatibilità tra l’indirizzo ideologico della organizzazione di tendenza e il comportamento del lavoratore, che nello svolgimento della sua attività lavorativa sia tenuto ad adeguarsi a quell’indirizzo ideologico.
Non sussiste perciò l’errore di diritto che il ricorrente imputa alla sentenza impugnata.
Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 cod. civ. in relazione all’art. 27, secondo comma del contratto collettivo 1 gennaio 1998 dei dipendenti dell’Inas, nonché vizio di motivazione. La clausola contrattuale prevede due ipotesi di dislocazione geografica del personale, e regolamenta al primo comma la fattispecie del trasferimento, al secondo comma l’utilizzazione del personale da una zona all’altra nell’ambito provinciale, la quale per esplicita previsione non costituisce trasferimento. Contraddittoriamente la sentenza impugnata, dopo avere affermato che l’unità produttiva è pattiziamente determinabile dalle parti e che il contratto collettivo l’aveva definita come quel complesso degli uffici ubicati nella stessa provincia, facenti capo all’ufficio provinciale, ha però qualificato sia lo sportello operativo di Ovada che l’ufficio di Novi Ligure come autonome unità produttive, e in modo illogico ha concluso che, ove non si considerasse unità produttiva l’ufficio di Novi Ligure, si finirebbe per ammettere, nell’ambito dell’intera provincia di Alessandria, l’esistenza di un’unica unità produttiva situata nel capoluogo di provincia, con evidente aggiramento della ratio dell’art. 2103 cod. civ.
Questo motivo è fondato nei limiti appresso specificati. Il trasferimento tutelato dall’art. 2103 cod. civ. è, per esplicita previsione della norma, quello da un’unità produttiva ad un’altra, e tale nozione è stata definita dalla giurisprudenza di questa Corte quale articolazione autonoma dell’impresa dotata di autonomia strutturale e funzionale. Si è specificato (cfr. Cass. 14 giugno 1999 n. 5892, oltre a Cass. 21 luglio 2000 n. 9636) che “per unità produttiva deve intendersi non ogni sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto dell’impresa, ma soltanto la più consistente entità aziendale che – eventualmente articolata in organismi minori, anche non ubicati tutti nel territorio del medesimo comune – si caratterizzi per condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica e amministrativa tali che in essa si esaurisca per intero il ciclo relativo ad una frazione o ad un momento essenziale dell’attività produttiva aziendale. Ne consegue che deve escludersi la configurabilità dell’unità produttiva in relazione alle articolazioni aziendali che, sebbene dotate di una certa autonomia amministrativa, siano destinate a scopi interamente strumentali o a funzioni ausiliari sia rispetto ai generali fini dell’impresa, sia rispetto ad una frazione dell’attività produttiva della stessa”.
Tanto vale con riferimento, oltre che all’imprenditore, al datore di lavoro non imprenditore, e quindi anche per le associazioni sindacali che siano dotate di articolazioni territoriali.
Esplicazione di tale nozione legale è la disciplina convenzionale richiamata dalle parti ed a cui pure si è riportata la sentenza impugnata, e non v’è dubbio della validità e della vincolatività della clausola del contratto collettivo di categoria che individui specificamente le unità produttive in relazione a tutti gli istituti che fanno riferimento alla nozione di unità produttiva (v. oltre a Cass. 24 aprile 1991 n. 4494 citata dal ricorrente, Cass. 19 gennaio 1990 n. 295, Cass. 4 luglio 1991 n. 7386). Ma la Corte territoriale, pur riconoscendo che in base alla definizione contrattuale deve ritenersi unità produttiva dell’Inas “quel complesso degli uffici di zona ubicati nella stessa provincia e che fanno capo all’ufficio provinciale”, ha poi affermato che entrambe le articolazioni, sia quella di provenienza della resistente (Ovada) che quella di destinazione (Novi Ligure), ancorché facenti capo all’ufficio provinciale di Alessandria, costituivano autonome unità produttive, sebbene ciascuna di esse non esaurisse l’intero ciclo dell’attività e si limitasse alla fase preparatoria e della istruzione delle pratiche, poi trasmesse all’ufficio provinciale di Alessandria. Non spiega però come la indipendenza tecnica e amministrativa, peraltro affermata in modo apodittico, e l’esaurimento di un ciclo relativo ad una frazione o ad un momento essenziale dell’attività, quale ritenuta la fase preparatoria e di istruzione delle pratiche, potessero superare la suddivisione territoriale provinciale prevista dal contratto collettivo di settore per l’unità produttiva. Pure senza alcuna spiegazione è l’attribuzione all’ufficio di Novi Ligure delle connotazioni di autonoma unità produttiva e l’equiparazione, ritenuta conseguente, di tale articolazione con l’altra di Ovada al fine della loro configurabilità come autonome unità produttive.
Nè il giudice del merito spiega perché nell’intera provincia di Alessandria non potesse ammettersi un’unica unità produttiva dell’Inas e perché, in tale ipotesi, verrebbe a configurarsi un aggiramento della ratio della disposizione dettata dall’art. 2103 cod. civ.
Accolto il secondo motivo nei limiti di cui innanzi, resta assorbito il terzo mezzo di annullamento, con il quale si denuncia, in uno con vizio di motivazione, violazione e falsa applicazione degli artt. 18 e 13 legge n. 300 del 1970, e si addebita alla sentenza impugnata la omessa pronuncia sulla censura avanzata con l’appello in ordine alla disposta reintegrazione della dipendente trasferita nella precedente sede di lavoro, non consentita al di fuori dei casi previsti dalla tutela reale.
Annullata la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta, la causa deve essere rimessa per nuovo esame ad altro giudice di appello, designato come in dispositivo, il quale dovrà verificare, dando congrua motivazione e attenendosi ai principi innanzi esposti, se lo spostamento della Bobbio, disposto dall’Inas dal proprio ufficio in Ovada a quello di Novi Ligure, possa integrare trasferimento da un’unità produttiva ad un’altra.
Il giudice del rinvio dovrà provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo per quanto di ragione, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per la disciplina delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Genova.
Autore:
Corte di Cassazione - Civile, Sez. Lav.
Dossier:
Lavoro e Religione
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Cultura, Onlus, Religione, Istruzione, Libertà religiosa, Culto, Lavoro subordinato, Rapporto di lavoro, Organizzazioni di tendenza, Contratti collettivi, Trasferimenti
Natura:
Sentenza