Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 4 Luglio 2005

Sentenza 30 aprile 2003, n.15081

Corte di Cassazione. Sezione I civile. Sentenza 30 aprile 2003, n. 15081: “Inquinamenti atmosferici ed acustici”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Rosario DE MUSIS – Presidente –
Dott. Ugo Riccardo PANEBIANCO – Consigliere –
Dott. Mario ADAMO – Consigliere –
Dott. Salvatore SALVAGO – Rel. Consigliere –
Dott. Fabrizio FORTE – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PARESCHI LUCIANO, in proprio e quale legale rappresentante e amministratore unico de L’ANCORA S.R.L., elettivamente domiciliato in ROMA VIA COSSERIA 5, presso l’avvocato GUIDO FRANCESCO ROMANELLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO STEFANUTTI, giusta procura in calce;
– ricorrente –

contro

COMUNE DI JESOLO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA LIMA 15, presso l’Avvocato MARIO ETTORE VERINO, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCO ZAMBELLI, giusta mandato a margine del controricorso;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2-2000 del Tribunale di VENEZIA, depositata il 13-03-2000;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30-04-2003 dal Consigliere Dott. Salvatore SALVAGO;
udito per il ricorrente l’Avvocato PECORA, con delega, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito per il controricorrente l’Avvocato VERINO, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo GAMBARDELLA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Il Tribunale di Venezia, con sentenza del 13 marzo 2000, ha respinto l’opposizione di Luciano Pareschi, n. q. di rappresentante della s.r.l. L’Ancora contro l’ordinanza dal 23 marzo 1998 con cui il comune di Jesolo aveva ingiunto il pagamento della somma di L. 246.400 per aver accertato che l’8 settembre 1997 alle ore 14,55 dal parco Acqualandia fuoriusciva della musica a quell’ora vietata dall’art. 64 del Regolamento comunale. Ha osservato, al riguardo, che detta norma che tutela la quiete pubblica, e cioè la tranquillità ed il riposo delle persone non è stata abrogata dalla legge 447 del 1995 che tutela, invece, la salute pubblica, individuando la soglia di tollerabilità delle emissioni ed immissioni sonore; e che, nel caso, gli accertamenti compiuti dai vigili urbani avevano confermato che la musica proveniente dal parco aveva attitudine a determinare un oggettivo turbamento e disturbo del riposo delle persone.
Per la cassazione della sentenza il Pareschi ha proposto ricorso per due motivi; cui resiste il comune di Jesolo con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

Con il primo motivo del ricorso, Luciano Pareschi, denunciando violazione della legge 447 del 1995 e del d.p.c.m. 1 marzo 1991, censura la sentenza impugnata per aver confermato la sanzione amministrativa irrogata dal comune senza considerare che quest’ultima legge aveva riformato l’intera materia dell’inquinamento acustico, facendo obbligo ai comuni di adeguare i propri regolamenti di igiene e sanità entro un anno e perciò abrogando ogni altra norma contraria o incompatibile, a maggior ragione se di natura regolamentare; con la conseguenza che nessuna efficacia poteva attribuirsi al regolamento di polizia urbana del comune.
Con il secondo motivo, deducendo omessa e contraddittoria motivazione si duole che il Tribunale abbia ritenuto configurabile la violazione in base alle sole dichiarazioni dei vigili urbani, laddove nel caso occorrevano mezzi e strumenti oggettivamente e tecnicamente idonei quali i fonometri, idonei a stabilire con appositi rilevamenti tecnici che era stata oggettivamente superata la soglia della normale tollerabilità.
Entrambi i motivi sono infondati.
La legge quadro sull’inquinamento acustico 447 del 1995 ha inteso stabilire i principi fondamentali in materia di tutela dall’ambiente esterno e dell’ambiente abitativo dall’inquinamento acustico, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 117 Costit. (art. 1) definendone le categorie, stabilendo valori limite di emissione e di immissione di rumori e sorgenti sonore (art. 2), riservando alla competenza dello Stato la determinazione mediante appositi decreti ministeriali dei valori limite di emissione, di quelli di immissione, nonché i valori di attenzione e di qualità menzionati da quest’ultima norma (art. 3); e facendo carico ai comuni, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, di adeguare i regolamenti locali di igiene e sanità o di polizia municipale, mediante apposite norme contro l’inquinamento acustico, con particolare riferimento al controllo, al contenimento e all’abbattimento delle emissioni sonore derivanti dalla circolazione degli autoveicoli e dall’esercizio di attività che impiegano sorgenti sonore (art. 6).
Queste norme, espressamente dichiarate dall’art. 1 “fondamentali di riforma economico – sociale della Repubblica”, comportano dunque che nessun ente pubblico territoriale può disapplicarle introducendo categorie diverse ed in contrasto con quelle previste dalla menzionata legge, ovvero valori limite di emissione o immissione dei rumori diversi e comunque inferiori rispetto a quelli stabiliti dal d.p.c.m. 14 novembre 1997 (art. 3 e 4) adottato proprio per dare attuazione a quanto disposto dalla menzionata legge 447-1995; e che eventuali disposizioni difformi contenuti nei regolamenti comunali debbano considerarsi implicitamente abrogati dalla fonte normativa suddetta di rango superiore, la quale consente alla amministrazioni in questione soltanto (art. 6, 1 comma lett. h): “l’autorizzazione, anche in deroga ai valori limite di cui all’articolo 2, comma 3, per lo svolgimento di attività temporanee e di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico e per spettacoli a carattere temporaneo ovvero mobile, nel rispetto delle prescrizioni indicate dal comune stesso”.
Ma questi limiti, il cui contenuto è espressamente ad in modo inequivoco prefissato dalla legge statale non comportano, a meno di stravolgerne il significato, che nel loro ambito ai comuni non sia consentita di attuare una più specifica regolamentazione dell’emissione ed immissione dei rumori nel loro territorio, come del resto è ribadito dal 3 comma dello stesso art. 6, secondo cui “I comuni il cui territorio presenti un rilevante interesse paesaggistico – ambientale e turistico, hanno la facoltà di individuare limiti di esposizione al rumore inferiori a quelli determinati ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera a), secondo gli indirizzi determinati dalla regione di appartenenza, ai sensi dell’articolo 4, coma 1, lettera f)”. E non comportano a maggior ragione, come già ripetutamente affermato dalle sezioni penali di questa Corte, che dette amministrazioni non possano disciplinare l’esercizio di professioni, mestieri ed attività rumorose anche con l’istituzione di fasce orario in cui soltanto possono essere espletati e, sempre nell’ambito del limite dettato dalla legge 447-1995, prendere in considerazione non il dato oggettivo del superamento di una certa soglia di rumorosità (indipendentemente dall’accertamento che sia stato arrecato o meno un effettivo disturbo alle persone), bensì gli effetti negativi di quest’ultima sulle occupazioni o sul riposo delle persone e quindi sulla tranquillità pubblica e-o privata (Cass. pen. 2316-1998; 1295-1998; 8589-1997).
E proprio fra queste ultime disposizioni rientra l’art. 64 del regolamento del comune di Jesolo, il quale, come accertato dal Tribunale e non contestato dal ricorrente che non lo ha neppure prodotto, è inserito nel titolo IV dedicato alla “Quiete pubblica” e rivolto a tutelare la tranquillità ed il riposo degli abitanti del comune, proibendo (comma 1 ) determinate dislocazioni ai locali esercenti mestieri rumorosi o incomodi e vietandone (comma 2 ) comunque l’esercizio in talune fasce orarie onde impedire disturbo al vicinato: a prescindere, dunque dall’avvenuto obbiettivo superamento del limite di rumorosità fissato dalla legge 447-1995 e dal d.p.c.m. 14 novembre 1997, integrante l’autonoma violazione prevista dall’art. 10 della legge statale, che nel caso non è stato contentato al ricorrente.
Pertanto, non si trattava di stabilire ne fossero stati osservati i limiti massimi al riguardo introdotti dalle tabelle indicate dagli art. 2 e 3 di detto decreto, nè di compiere le rilevazioni nelle località e con i criteri individuati da queste norme, perciò richiedenti l’utilizzazione di appositi apparecchi di precisione aventi proprio siffatta peculiare funzione; bensì di accertare ne la condotta produttiva di rumore addebitata alla soc. L’Ancora avesse avuto una tale diffusività da comportare che l’evento di disturbo era potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se poi concretamente solo taluna (come è avvenuto nel caso concreto) o addirittura nessuna se ne era di fatto lamentata, sì da avere inciso sulla tranquillità pubblica.
Sicché, del tutto correttamente la sentenza impugnata ha fondato il suddetto accertamento sulla indagini espletate al riguardo dalla Polizia municipale la quale, per un verso, ha evidenziato la circostanza (del tutto incontestata) che l’attività rumorosa era stata percepita alle ore 14,55, in una fascia oraria, dunque in cui era vietata. E per altro verso, malgrado lo scarso traffico veicolare della zona dovuto proprio all’ora suddetta, la musica si udiva distintamente in punti diversi dell’abitato, tutti esterni al parco Acqualandia, gestito dalla società, in ciascuno dei quali erano ubicati numerosi edifici: sì da arrecare disturbo ad un numero rilevante ad indeterminato di persone.
E trattandosi di un accertamento di fatto, congruamente motivato ed immune da vizi logico – giuridici che il ricorrente non ha neppure prospettato, limitandosi a dedurre la circostanza del tutto inconducente al fine di contestarne la validità che il parco Acqualandia è ubicato a circa 100-200 metri dalle abitazioni più vicine, lo stesso si sottrae al giudizio di questa Corte di legittimità; sicché anche il secondo motivo del ricorso deve essere respinto.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in favore dal comune di Jesolo in complessivi euro 560, di cui euro 400,00 per onorario di avvocato oltre spese generali ed accessori come per legge.