Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 26 Luglio 2005

Sentenza 30 aprile 2002, n.6424

Consiglio di Stato. Sezione IV. Sentenza 30 aprile 2002, n. 6424: “Diniego del riconoscimento dell’obiezione di coscienza per scadenza del termine perentorio di cui all’art. 2, comma 2, della legge n. 772 del 1972”.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n.5111/93 proposto dal sig. Fabbri Fabrizio, rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Ramadori, presso il cui studio è elettivamente domiciliato, in Roma, via M. Prestinari n.13;

contro

il Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici, ope legis, domicilia, in Roma, alla via dei Portoghesi n.12;

per l’annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte
(Sezione I) n.123/93 del 20 gennaio 1993, depositata il 18 marzo 1993, resa inter partes e non notificata;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio degli appellati;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 30 aprile 2002 il Consigliere Nicola Russo;
Udito, altresì, l’avvocato dello Stato Melania Nicoli;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. Piemonte il sig. Fabbri Fabrizio impugnava il provvedimento del Ministero della Difesa in data 19 novembre 1984, comunicato il 18 gennaio 1985, con il quale era stato disposto il non accoglimento della domanda con cui aveva chiesto di essere riconosciuto obiettore di coscienza, e di conseguenza di essere ammesso a svolgere il servizio civile sostitutivo del servizio mlitare di leva, ai sensi della vigente legge 15 dicembre 1972, n.772, “in quanto prodotta oltre i termini previsti dall’art.2 della legge 15.12.72, n.772, così come modificato dalla legge 14.12.1974, n.695”.
Con il primo motivo il ricorrente deduceva la violazione di legge in relazione all’art.3 della legge 15.12.1972, n.772, affermando che il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo in quanto adottato oltre il termine di sei mesi previsto da tale norma, termine che, secondo il ricorrente medesimo, avrebbe carattere perentorio e non semplicemente ordinatorio, in quanto, se così non fosse, il cittadino resterebbe in balìa del Ministero; in subordine il ricorrente sosteneva la incostituzionalità del termine di sei mesi di cui all’art.3 legge n.772 cit..
Con il secondo motivo di gravame il ricorrente assumeva il carattere di ordinatorietà del termine, di cui all’art.2 della legge n.772/72, entro il quale deve essere presentata la domanda di obiezione di coscienza.
Con il terzo motivo, infine, si assumeva la nullità del decreto impugnato in quanto non emanato né sottoscritto dal Ministro della Difesa pro tempore, ma da un certo dr. Faina.
Il T.A.R. adito definiva il giudizio con sentenza n.123/93 del 20 gennaio 1993, depositata il 18 marzo 1993 e non notificata, con cui respingeva il ricorso per la ritenuta infondatezza di tutti e tre i motivi di impugnazione proposti.
Avverso tale sentenza il sig. Fabbri, con atto notificato il 2 luglio e depositato il 16 luglio del 1993, ha proposto appello affidato a tre motivi.
Resiste all’appello il Ministero della Difesa, a mezzo del patrocinio dell’Avvocatura Generale dello Stato, che ha depositato mero atto di costituzione in data 23 agosto 1993.
Questa Sezione, con ordinanza n.1175 del 28 settembre 1993, ha dato atto della rinuncia dell’appellante alla domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata.
Alla pubblica udienza del 30 aprile 2002 il ricorso è passato in decisione.

1. L’appello è infondato.
2. Occorre preliminarmente rilevare che le statuizioni di rigetto del primo e del terzo motivo del ricorso di primo grado, relativi, rispettivamente, alla pretesa perentorietà del termine (sei mesi), di cui all’art.3 della legge 15 dicembre 1972, n.772, entro il quale il Ministro deve decidere sulla domanda diretta ad ottenere l’ammissione al servizio civile sostitutivo ed alla pretesa nullità del provvedimento impugnato in quanto non emanato né sottoscritto dal Ministro della Difesa – motivi che il T.A.R. ha disatteso, rispettivamente, sulla scia delle argomentazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale 6-24 maggio 1985, n.164 – intervenuta nelle more del giudizio di primo grado – che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.3, comma 2°, della legge n.772/72, nonché in base alla considerazione che il decreto di non accoglimento della domanda era stato regolarmente adottato dal Ministro della Difesa (mentre l’Autorità diversa dal Ministro a cui si riferiva il ricorrente era solo quella che aveva provveduto a comunicare all’interessato la decisione assunta) – non hanno formato oggetto di specifiche censure nell’atto di appello.
Si è, dunque, verificata l’ipotesi della acquiescenza tacita c.d. impropria di cui all’art.329, comma secondo, c.p.c., applicabile anche al processo amministrativo, il quale dispone che, in caso di pluralità di capi della sentenza – intendendo per capi le parti sostanziali della decisione, cioè quelle che hanno respinto una domanda o hanno deciso su una questione preliminare di merito o pregiudiziale di rito (nella specie trattasi di parti autonome, cioè fondate su presupposti di diritto diversi e autonomi rispetto alle statuizioni impugnate, nonché di parti non dipendenti, cioè non collegate da rapporto di consequenzialità con quelle oggetto di impugnazione) – l’impugnazione parziale da parte di chi è risultato soccombente per più capi importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate, le quali, pertanto, non possono formare oggetto di un nuovo giudizio da parte del giudice dell’impugnazione.
3. Tanto premesso, deve dirsi che la questione principale proposta attraverso i motivi di appello in esame, attiene alla perentorietà (tesi dell’Amministrazione della Difesa, accolta dal T.A.R.) o all’ordinatorietà (tesi dell’appellante) del termine per la presentazione della domanda di riconoscimento dell’obiezione di coscienza.
Secondo l’art.2 della L. 15 dicembre 1972, n.772, nel testo introdotto dall’art.1 della L. 24 dicembre 1974, n.695, vigente alla data di adozione del provvedimento di diniego impugnato in primo grado (la materia, poi, anche per quanto riguarda i termini, è stata interamente disciplinata dalla L. 8 luglio 1998, n.230, la quale ha pure previsto la competenza di una diversa Amministrazione – non più il Ministero della Difesa, ma la Presidenza del Consiglio dei Ministri, presso cui è stato istituito, ai sensi dell’art.8 della legge citata, l’Ufficio nazionale per il servizio civile – e, infine, dal D.Lgs. 5 aprile 2002, n.77, costituente esercizio della delega prevista dall’art.2 della legge 6 marzo 2001, n.64, istitutiva del servizio civile nazionale), gli obbligati alla leva, contrari all’uso personale delle armi per imprescindibili motivi di coscienza, “devono presentare domanda motivata ai competenti organi di leva entro 60 giorni dall’arruolamento” (primo comma) e, se ammessi al ritardo e al rinvio del servizio militare, senza aver in precedenza presentato l’istanza in questione nei termini stabiliti dal comma precedente, “potranno produrla ai predetti organi di leva entro il 31 dicembre dell’anno precedente alla chiamata alle armi” (secondo comma).
Nella specie, le parti non discutono del fatto, vale a dire sul dato del sicuro “sfondamento” dei termini in questione.
Le considerazioni che sostengono la natura ordinatoria dei termini in materia, chiaramente enunciate nell’atto di appello, possono riassumersi nei sensi di cui appresso.
Il termine sarebbe ordinatorio e non perentorio in quanto nessuna sanzione, di alcun genere, né conseguenza alcuna, sarebbe prevista a carico dell’obiettore di coscienza nell’ipotesi di mancato rispetto del termine in questione.
Anche in relazione alla gravità delle conseguenze riconducibili alla perentorietà, questa dovrebbe essere espressamente prevista, il che, effettivamente, non risulterebbe per i termini assegnati allo scopo di presentare la domanda di obiezione.
La stessa possibilità per l’obiettore di ripresentare la domanda per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza tardivamente proposta, possibilità prevista dall’art.2 della L. 24 dicembre 1974, n.695, che modifica l’art.8 della L. n.772/72 cit., sarebbe elemento di dimostrazione della non perentorietà.
Questo stesso spirito, contrario all’effetto decadenziale, si riscontrerebbe, del resto, nella pronuncia della Corte Costituzionale 19 dicembre 1991, n.467, la quale – sia pure con riferimento alle conseguenze penali della condotta – ha riconosciuto che la maturazione del convincimento di obiettare può avvenire in qualsiasi momento, e quindi pur dopo i termini, ma prima della chiamata, in quanto, altrimenti opinando, verrebbero ingiustamente compressi i diritti costituzionalmente tutelati, attinenti alla libertà di manifestazione delle proprie convinzioni filosofiche e morali (art.21 Cost.) o della propria fede religiosa (art.19 Cost.), diritti al fondo del riconoscimento costituzionale dell’obiezione di coscienza.
In tale linea di pensiero, potrebbe essere consentito al giudice amministrativo, di fronte a possibili distinte interpretazioni, una soltanto delle quali conforme a Costituzione, scegliere quest’ultima, che resterebbe nell’ottica dell’ordinatorietà.
Infine, l’interpretazione proposta dall’appellante a favore dell’ordinatorietà consentirebbe di “abbreviare i tempi di procedura e di realizzare delle vantaggiose economie, sia per l’Amministrazione della Giustizia che per quella della Difesa, eliminando procedimenti penali inutili e riducendo anche il numero di quelli amministrativi relativi, appunto, alle domande di ammissione al servizio civile sostitutivo”.
Tali argomentazioni non possono essere condivise.
Sulla questione di diritto oggetto della presente controversia questa Sezione si è, infatti, già pronunciata nel senso della perentorietà (cfr. Cons. St., IV, 1 ottobre 1993, n.827), con alcune argomentazioni che appaiono logicamente condivisibili e da cui, pertanto, il Collegio non ritiene di doversi discostare.
Anzitutto, il termine di cui all’art.2, secondo comma, ha carattere perentorio, in quanto mirante a conciliare l’interesse del giovane arruolato a veder riconosciuta la propria obiezione di coscienza con le esigenze organizzative dell’Amministrazione della difesa, la quale ha bisogno di conoscere con congruo anticipo il numero dei soggetti che può avviare, di anno in anno, alle armi, onde poter predisporre i relativi contingenti.
Inoltre, l’argomento di fondo svolto dall’appellante a sostegno dell’asserita natura meramente ordinatoria del termine de quo, vale a dire il fatto che nel sistema sono presenti altri termini per la presentazione della domanda, perfino dopo una condanna per rifiuto del servizio militare (art.8 della legge del 1972), rappresenta una prova proprio del carattere decadenziale del termine ex art.2, perché non vi sarebbe la necessità di prevedere ulteriori termini se quello di cui si discute non fosse perentorio. A ciò si aggiunga che gli ulteriori termini sono previsti con riferimento a soggetti in situazioni diverse da quella di chi non sia stato ancora costretto al servizio.
A tali considerazioni, contenute nella summenzionata decisione di questa IV Sezione, altre se ne possono aggiungere.
In primo luogo, il regime dell’obiezione di cui all’impianto normativo contenuto nella L. n.772/72, come riconosciuto dall’Adunanza Plenaria (cfr. Cons. St., Ad. Plen., 25 maggio 1985, n.16), è impostato, sia pure con molti correttivi, sul meccanismo della concessione di un beneficio, piuttosto che – come, invece, vorrebbe l’appellante – dell’automatico riconoscimento di un diritto.
Tale sistema è ancorato – se non più alla maggiore durata del servizio civile sostitutivo – quanto meno alla previsione dell’esame e dell’istruttoria attraverso una commissione valutatrice.
Se ciè è esatto, allora si può conseguentemente ritenere che alla natura della situazione conferita, essenzialmente di interesse legittimo, meglio si ricolleghi un impianto che riconosca una decadenza dalla facoltà di obiezione, siccome inserita entro la procedimentalizzazione di un potere collegato, tra l’altro, alla complessa funzione della sicurezza armata del Paese. Stando così le cose, non basta opporre che manca una
espressa previsione della perentorietà, perché questa può nascere pure dall’articolazione delle regole e degli interessi curati (come avviene, per esempio, a proposito delle domande di partecipazione a gare, selezioni e concorsi).
In buona sostanza, la prospettiva in esame segue lo stesso ragionamento che ha indotto la Corte Costituzionale (ord. 23 febbraio 1994, n.55, in motivazione) a ritenere consentita la fissazione di termini decadenziali per la proposizione delle domande di dispensa dal servizio militare, a causa dei già accennati bisogni organizzativi dell’Amministrazione militare.
Ma, a ben vedere, a favore della più restrittiva opzione interpretativa milita un argomento testuale.
Si tratta dell’articolo unico della L. 21 maggio 1974, n.249: in quell’occasione il legislatore, disponendo norme di favore in prima attuazione della legge n.772 del 1972, ha preso le mosse proprio dall’ipotesi del carattere perentorio dei termini per domandare il riconoscimento dell’obiezione, allorché si è indotto a consentire una riapertura di altri 60 giorni – ed una sospensione delle azioni penali e delle pene già irrogate – ai giovani obiettori incorsi, in prima applicazione della legge, “nella decadenza dei termini”, come testualmente recita la disposizione.
Da quanto finora detto consegue, dunque, che, avendo il termine di cui all’art.2, secondo comma, della L. n.772 del 1972, sicuramente carattere perentorio, la intempestività della domanda, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, può ragionevolmente essere richiamata dall’Amministrazione a congrua giustificazione della sua determinazione di respingere la richiesta di riconoscimento dell’obiezione di coscienza.
Per tutte le suesposte considerazioni l’appello in esame deve, pertanto, essere respinto.
Le spese del presente grado seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quarta, definitivamente pronunziando sul ricorso in appello, meglio in epigrafe indicato, respinge l’appello.
Condanna la parte appellante al pagamento delle spese, competenze ed onorari del presente grado di giudizio in favore dell’Amministrazione appellata, che liquida complessivamente in euro 3000,00 (tremila/00).
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – riunito in camera di consiglio con l’intervento dei seguenti signori:
Presidente Stenio RICCIO
Consigliere Domenico LA MEDICA
Consigliere Carmine VOLPE
Consigliere Anna LEONI
Consigliere est. Nicola RUSSO