Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 29 Agosto 2003

Sentenza 29 novembre 1993, n.421

Corte costituzionale. Sentenza 29 novembre 1993, n. 421: “Riserva esclusiva di giurisdizione matrimoniale ecclesiastica”.

(Casavola; Mirabelli)

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;

Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 27 maggio 1929, n. 810 (Esecuzione del Trattato, dei quattro allegati annessi e del Concordato, sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e l’Italia, l’11 febbraio 1929), promosso con ordinanza emessa il 13 marzo 1992 dalla Corte d’appello di Torino nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Giuseppe Quercia ed Olimpia Barberio, iscritta al n. 700 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 1992.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 2 novembre 1993 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;

udito l’Avvocato dello Stato Plinio Sacchetto per il Presidente del Consiglio dei ministri.

(omissis)

Considerato in diritto

1. – La Corte d’appello di Torino, dubitando della legittimità costituzionale della riserva di giurisdizione ai tribunali ecclesiastici in ordine alla nullità del matrimonio concordatario, la cui fonte normativa il giudice rimettente individua nell’art. 1 della legge 27 maggio 1929, n. 810, nella parte in cui dà esecuzione all’art. 34, quarto comma, del Concordato tra l’Italia e la Santa Sede dell’11 febbraio 1929, ha sollevato questione di legittimità costituzionale di questa disposizione in riferimento all’art. 7, primo comma, della Costituzione.

2. – L’Avvocatura generale dello Stato, per il Presidente del Consiglio dei ministri intervenuto nel giudizio dinanzi a questa Corte, dopo avere affermato che la riserva di giurisdizione ecclesiastica permane in base all’interpretazione sistematica dell’art. 8 dell’Accordo di revisione del Concordato e concluso nel merito per la infondatezza della questione, ha proposto due eccezioni di inammissibilità in quanto:

a) la questione di legittimità costituzionale sarebbe formulata in modo perplesso ed ondivago, sì da non consentirne la identificazione;

b) il giudice rimettente avrebbe denunciato la legge n. 810 del 1929 in relazione all’art. 34 del Concordato, anziché la legge n. 121 del 1985 in relazione all’art. 8 dell’Accordo del 1984 che apporta modificazioni al Concordato, disposizioni queste ultime che disciplinano ora la materia ed in base alle quali la riserva, ad avviso dell’Avvocatura, permane.

3. – Preliminarmente devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità, seguendo l’ordine logico loro proprio.

La prima eccezione, pregiudiziale rispetto ad ogni altra perché attinente alla stessa individuabilità dell’oggetto del giudizio, non è fondata.

La Corte d’appello di Torino, esaminando la disciplina concordataria della giurisdizione ecclesiastica in materia matrimoniale, espone l’interpretazione dell’art. 8 dell’Accordo in forza della quale il giudice di primo grado aveva escluso la propria giurisdizione e, mostrando di non condividerla, si fa carico di una diversa lettura ermeneutica che trae argomento da altri indirizzi giurisprudenziali e dottrinali, sulla cui base ritiene plausibile che la esclusività della giurisdizione ecclesiastica discenda ancora dall’art. 34, quarto comma, del Concordato lateranense, attesa la speciale garanzia costituzionale assicurata alle norme concordatarie.

In questa sede non sono censurabili l’itinerario logico seguito dal giudice rimettente, né lo sviluppo argomentativo con il quale lo stesso è pervenuto a sollevare la questione di legittimità costituzionale, quando sia possibile individuare la questione stessa (sentenze n. 55 del 1993 e n. 147 del 1985). Nella specie il tema di decisione che il giudice rimettente sottopone all’esame della Corte risulta nell’ordinanza di rinvio conclusivamente determinato con la richiesta che si verifichi se la riserva di giurisdizione in materia matrimoniale, espressa dall’art. 1 della legge n. 810 del 1929 in relazione all’art. 34 del Concordato, permanendo ad avviso del giudice rimettente quelle disposizioni, sia in contrasto con l’art. 7, primo comma, della Costituzione.

4. – L’altra eccezione di inammissibilità riguarda l’indicazione della norma sottoposta a scrutinio di legittimità costituzionale e prospetta l’irrilevanza della questione in quanto, ad avviso dell’Avvocatura, la Corte d’appello di Torino avrebbe dovuto fare applicazione, per escludere la propria giurisdizione, della legge n. 121 del 1985 che ora regola la materia, mentre la questione è stata sollevata nei confronti della legge n. 810 del 1929.

La valutazione della eccezione proposta dall’Avvocatura implica e presuppone, perché ne sia accertata la fondatezza, di esaminare a questo fine la disciplina dettata in materia dall’Accordo che apporta modificazioni al Concordato lateranense. Difatti l’art. 13, primo comma, dell’Accordo, secondo una lettura non frammentata di esso, nel collocare la nuova disciplina in raccordo alla precedente e nel contesto dei Patti richiamati dall’art. 7, secondo comma, della Costituzione, fa in primo luogo riferimento alle disposizioni di modificazione, che sono idonee a disciplinare ciascun istituto concordatario regolando interamente la relativa materia. Residualmente la seconda parte dello stesso art. 13, primo comma, abroga le altre disposizioni non riprodotte.

Occorre quindi anzitutto considerare l’art. 8 dell’Accordo ed il punto 4 del contestuale e complementare Protocollo addizionale, che regolano la materia matrimoniale nei connessi aspetti sostanziale e processuale.

Le nuove disposizioni rispecchiano il permanere di un sistema nel quale gli effetti civili sono riconosciuti, mediante la trascrizione, ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico e da quell’ordinamento disciplinati nel loro momento genetico. Si è dunque in presenza di un matrimonio religioso, cui i cittadini possono accedere con una piena libertà di scelta e con le conseguenze che ne derivano (sentenza n. 175 del 1973); rimane quindi ferma la base del sistema matrimoniale concordatario.

Questa Corte, sul fondamento di considerazioni di principio non ancorate a meri riferimenti testuali, ha individuato gli elementi essenziali del sistema concordatario basato sul riconoscimento del matrimonio canonico, ed ha fissato nella sua giurisprudenza principi ai quali si è conformata la disciplina dell’Accordo.

La Corte stessa ha, difatti, già ritenuto che il matrimonio religioso, validamente celebrato secondo la disciplina canonica, è assunto quale presupposto cui vengono collegati, con la trascrizione, gli effetti civili (sentenze n. 169 del 1971 e n. 176 del 1973). L’atto rimane regolato dal diritto canonico, senza che sia operata dall’ordinamento italiano una recezione di quella disciplina (sentenza n. 169 del 1971), con quanto ne segue in ordine alla giurisdizione. La Corte ha inoltre affermato che “se il negozio cui si attribuiscono effetti civili, nasce nell’ordinamento canonico e da questo è regolato nei suoi requisiti di validità, è logico corollario che le controversie sulla sua validità siano riservate alla cognizione degli organi giurisdizionali dello stesso ordinamento, conseguendo poi le relative pronunce dichiarative della nullità la efficacia civile attraverso lo speciale procedimento di delibazione” (sentenza n. 18 del 1982, nonché n. 176 del 1973).

Nell’Accordo del 1984 permane il riconoscimento degli effetti civili, mediante la trascrizione, ai matrimoni che, per libera scelta delle parti, sono stati contratti secondo le norme del diritto canonico e che rimangono regolati, quanto al momento genetico, da tale diritto. Ne deriva che su quell’atto, posto in essere nell’ordinamento canonico e costituente presupposto degli effetti civili, è riconosciuta la competenza del giudice ecclesiastico.

Coerentemente con il principio di laicità dello Stato (sentenza n. 203 del 1989), in presenza di un matrimonio che ha avuto origine nell’ordinamento canonico e che resta disciplinato da quel diritto il giudice civile non esprime la propria giurisdizione sull’atto di matrimonio, caratterizzato da una disciplina conformata nella sua sostanza all’elemento religioso, in ordine al quale opera la competenza del giudice ecclesiastico. Il giudice dello Stato esprime la propria giurisdizione sull’efficacia civile delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio, attraverso lo speciale procedimento di delibazione regolato dalle stesse norme dell’Accordo in modo ben più penetrante che nella disciplina originaria del Concordato. Permane inoltre pienamente, secondo i principi già fissati dalla Corte, la giurisdizione dello Stato sugli effetti civili.

La ricognizione della nuova fonte consente di affermare che le modificazioni del Concordato espresse dall’Accordo del 1984 disciplinano l’intera materia e impediscono, quindi, di fare ricorso a testi normativi precedenti. L’eccezione di inammissibilità proposta dall’Avvocatura dello Stato è pertanto fondata e la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’appello di Torino deve essere dichiarata, come si è precisato, inammissibile.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 27 maggio 1929, n. 810, nella parte in cui dà esecuzione all’art. 34, quarto comma, del Concordato fra la Santa Sede e lo Stato italiano dell’11 febbraio 1929, sollevata, in riferimento all’art. 7, primo comma, della Costituzione, dalla Corte d’appello di Torino con l’ordinanza in epigrafe.

(omissis)