Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 11 Dicembre 2009

Sentenza 29 dicembre 1988

Pretura di Orvieto, Sentenza 29 dicembre 1988: “Offese al sommo pontefice”

Letti gli atti del procedimento penale a carico di M.E., nata a Orvieto il 16 agosto 1953, ivi residente, Vicolo Lattanzi, n. 8, imputata del reato previsto dall’articolo 403, secondo comma, del codice penale, perché circolando a bordo dell’autovettura, targa TR/284418, recante nella parte posteriore, sul lato sinistro della targa, un autoadesivo di colore giallo con disegnata la caricatura del Papa Wojtyla e con su scritta la seguente dicitura: “papa Wojtyla no grazie”, offendeva la religione dello Stato mediante vilipendio del medesimo ministro del culto cattolico.

Accertato in Orvieto il 15 dicembre 1988.

Rilevato che l’ipotesi di cui all’articolo 403 del codice penale è stata ritenuta dalla Corte di cassazione ancora vigente nonostante la modifica del Concordato (sezione III, sent. n. 12261 del 4 dicembre 1987);

Rilevato altresì che la Corte costituzionale ha riconosciuto con la recente sentenza n. 925 del 28 luglio 1988 vigente il principio della religione cattolica come sola religione dello Stato,

osserva quanto segue:

– il concetto di vilipendio ricomprende etimologicamente, come pure nell’interpretazione giurisprudenziale, ogni manifestazione pubblica di disprezzo o anche semplicemente di scherno nei confronti dell’oggetto di tutela penale a prescindere dalla volgarità o meno dell’espressione, dei gesti o dei disegni utilizzati per manifestarla, rimanendone così escluse soltanto la critica e la censura esposte in termini corretti;

– la progressiva riduzione di sensibilità della pubblica opinione, soprattutto in materia religiosa, nei confronti di comportamenti integranti obiettivamente il reato di vilipendio, conseguenza dei notevolissimi cambiamenti di costume verificatisi in questi anni, ha indotto i giudici di merito ad espungere dall’ambito del vilipendio comportamenti che vi rientravano a pieno titolo;

– il rispetto del significato proprio del termine “vilipendio” non consente però questa soluzione; ma i mutamenti di costume e sensibilità sopra ricordati inducono a dubitare della permanente legittimità costituzionale della norma (articolo 403 del codice penale) per altre considerazioni;

– l’assenza del requisito della volgarità in sé o della grossolanità delle manifestazioni integranti vilipendio unitamente alla riduzione di sensibilità, vale a dire di coscienza e quindi di consapevolezza, nei confronti di manifestazioni del genere, fa sì che il soggetto non sia in grado di distinguere con sufficiente certezza il confine tra manifestazione di pensiero consentita e manifestazione di pensiero non consentita e quindi di valutare a priori la liceità o meno della propria condotta;

– la norma esaminata appare pertanto in contrasto con gli articoli 2, 3, primo e secondo comma, 25, secondo comma e 27, primo e terzo comma, della Costituzione, perché non permette l’esatta pre-individuazione del contenuto del precetto penale, come pure con l’articolo 21 della Costituzione, perché inducendo il soggetto nel dubbio circa la liceità del proprio comportamento, a non manifestare liberamente il proprio pensiero, limita in modo sostanziale e oltre misura il diritto garantito da tale articolo;

– l’accertamento della legittimità costituzionale della norma in esame è chiaramente rilevante per la definizione del presente procedimento penale concernendo direttamente il reato contestato.

Per questi motivi, visto l’articolo 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, dichiara d’ufficio rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 403 del codice penale con riferimento agli articoli 2, 3 primo e secondo comma, 25, secondo comma, 27 primo e terzo comma della Costituzione.

 

(Omissis)