Sentenza 28 marzo 2007, n.1437
Consiglio di Stato. Sezione V. Sentenza 28 marzo 2007, n. 1437: “Procreazione medicalmente assistita e Linee guida ministeriali”.
In OLIR:T.A.R. Lazio. Sezione Terza. Sentenza 9 maggio 2005, n. 3452 (I grado)
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione
ha pronunciato la seguente
decisione
– sul ricorso in appello proposto dall’associazione […], con sede in Roma, piazza Morosini 12, in persona del vice presidente, avvocato E. S., difesa dal medesimo avvocato S. nonché dagli avvocati Gian Carlo Muccio e Gianluigi Pellegrino e domiciliata presso lo studio Pellegrino in Roma, via corso Rinascimento 11;
contro
– il MINISTERO DELLA SALUTE, costituitosi in giudizio con l’avvocatura generale dello Stato;
e nei confronti
– dell’associazione FORUM DELLE ASSOCIAZIONI FAMILIARI (sede non indicata né risultante in atti), non costituita in giudizio;
– del COMITATO PER LA TUTELA DELLA SALUTE DELLA DONNA (sede non indicata né risultante in atti), non costituito in giudizio;
per la riforma della sentenza 9 maggio 2005 n. 3452, con la quale il tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza-ter, ha respinto il ricorso contro il decreto del ministro della salute 21 luglio 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 16 agosto 2004 n. 191, contenente “Linee guida in materia di procreazione medicalmente assistita”.
Visto il ricorso in appello, notificato il 23 giugno e depositato il 4 luglio 2006;
visto il controricorso del ministero della salute, depositato il 5 settembre 2006;
viste le memorie difensive presentate, il 7 dicembre 2006 dall’amministrazione resistente e il 9 dicembre 2006 dall’appellante;
visti gli atti tutti della causa;
relatore, all’udienza del 19 dicembre 2006, il consigliere Raffaele Carboni, e uditi altresì gli avvocati Muccio e Pellegrino e l’avvocato dello Stato Vincenzo Rago;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
La legge 19 febbraio 2004 n. 40 (d’ora in poi anche solo: la legge), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 24 febbraio 2004 n. 45, ha dettato “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”. L’articolo 7, intitolato “Linee guida” dispone: « 1. Il Ministro della salute, avvalendosi dell’Istituto superiore di sanità, e previo parere del Consiglio superiore di sanità, definisce, con proprio decreto, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, linee guida contenenti l’indicazione delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita. 2. Le linee guida di cui al comma 1 sono vincolanti per tutte le strutture autorizzate. 3. Le linee guida sono aggiornate periodicamente, almeno ogni tre anni, in rapporto all’evoluzione tecnico-scientifica, con le medesime procedure di cui al comma 1». Il ministro della salute con decreto 21 luglio 2004 n. 15165, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 16 agosto 2004 n. 191 (d’ora in poi: decreto o DM), «sentito l’Istituto superiore di sanità circa le indicazioni delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita» e «acquisito il parere del Consiglio superiore di sanità, espresso nella seduta del 14 luglio 2004», ha emanato le “linee guida”.
L’associazione denominata è […], costituita fra professionisti e istituti che svolgono attività di procreazione medicalmente assistita, con ricorso al tribunale amministrativo regionale per il Lazio notificato il 13 novembre 2004 ha impugnato il decreto. Ha premesso un’esposizione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, delle limitazioni apportate dalla legge e dal decreto impugnato, sottolineando in particolare che, per effetto della nuova disciplina, è consentita l’inseminazione di soli tre ovociti, mentre in precedenza il medico trasferiva in utero entro sei giorni dall’inseminazione due embrioni, in conformità alle raccomandazioni delle organizzazioni sanitarie, conservando gli embrioni in eccesso; cosicché, per effetto della legge, il ciclo di procreazione o non consentirà di ottenere embrioni da impiantare, imponendo di conseguenza di ripetere la terapia di stimolazione farmacologica, ovvero, in bassa percentuale, comporterà il trasferimento nell’utero di tutti gli embrioni formati, determinando una gravidanza trigemellare, con rischio per la salute della donna e per la vita dei concepiti. Ciò premesso, ha dedotto l’illegittimità del decreto per i motivi seguenti.
1) Violazione dell’articolo 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241 sul procedimento amministrativo, per omessa motivazione (necessaria in quanto sono state effettuate scelta fra più tecniche possibili) ed omessa allegazione dei pareri acquisiti; e violazione dell’articolo 7 della stessa legge n. 241, nella parte in cui l’autorità emanante ha mancato di avvalersi pienamente dell’Istituto Superiore di Sanità e con decreto 26 marzo 2004 ha invece invece nominato, per la redazione del testo, una commissione non prevista dalla legge. Il decreto inoltre omette di fare riferimento ai lavori della commissione.
2) Violazione di legge per omessa definizione del termine “embrione”, non definito neppure dalla legge n. 40.
3) Violazione di legge ed eccesso di potere del provvedimento impugnato nella parte in cui dichiara sinonimi i termini di infertilità e sterilità: illegittimamente il decreto tratta come sinonimi i termini “infertilità” e “sterilità” (nell’introduzione del decreto è detto «Ai fini delle presenti linee guida i due termini, infertilità e sterilità, saranno usati come sinonimi»).
4) Illegittimamente il decreto, nella parte intitolata “accesso alle tecniche”, impone che la certificazione dello stato di infertilità (che sarebbe sinonimo di sterilità) sia effettuata dagli specialisti del Centro di fecondazione assistita: la previsione, oltre ad essere irragionevole, viola l’articolo 4 della legge, secondo cui «Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico». Se poi la disposizione di legge venga interpretata nel senso che richiede una certificazione medica sulla infertilità, ne va rilevata l’illegittimità costituzionale per violazione degli articoli 3 e 33 della Costituzione, per gli aspetti di limitazione della libertà professionale del medico. Sia la legge n. 40 sia il decreto, inoltre, pongono una serie di ostacoli e limitazioni alla procreazione medicalmente assistita, e quindi al “diritto a procreare”, che, se non si configura come diritto inviolabile della personalità, costituisce un importante fattore di sviluppo della personalità umana; richiedere al medico una certificazione impossibile lo mette in condizione di non poter esercitare la libera scelta di cure e terapie proprie della professione medica.
5) Il decreto, sotto il titolo “consenso informato” prevede che alla coppia deve essere fornita informazione sui costi economici totali derivanti dalla procedura adottata, ma non chiarisce che l’informazione dev’esser data alle coppie anche da parte di enti pubblici quando si tratti di attività istituzionale a pagamento ai sensi dell’art. 15-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 502, ovvero di attività libero professionale intramurale a pagamento ai sensi dell’art. 15-ter e seguenti del suddetto decreto legislativo.
6) Il decreto è illegittimo per ingiustizia manifesta, irrazionalità e violazione dei principi comuni in materia di tutela della salute laddove sotto il titolo “misure di tutela degli embrioni sperimentazione sugli embrioni umani in relazione all’articolo 13 della legge n. 40” prevede: “è proibita ogni diagnosi pre-impianto a finalità eugenetica” ed inoltre aggiunge “ogni indagine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vitro, ai sensi dell’art. 14, comma 5, dovrà essere di tipo osservazionale”. Il provvedimento impugnato, nel vietare ogni diagnosi pre-impianto a finalità eugenetica, con l’imposizione che ogni indagine deve essere di tipo “osservazionale”, sembra aggravare lo stesso testo dell’articolo 13 della legge, che si era mantenuto in una prospettiva più prudente: nel vietare ogni diagnosi pre-impianto, il provvedimento impugnato sembra non consentire neppure quell’eccezione prevista dalla legge per gli interventi aventi finalità diagnostiche terapeutiche. La stessa Convenzione di Oviedo ed il Protocollo addizionale ratificato con legge 28 marzo 2001 n. 145 non considerano quale prassi eugenetica la diagnosi pre-impianto, ove legata a ragioni mediche e dunque di tutela della salute. Il divieto così posto dalla legge finisce per riguardare, ed inibire non solo le attività di procreazione medicalmente assistita, ma anche quelle di ricerca in genere per la cura di malformazioni; e tale aspetto che connota di illegittimità l’intera legge per violazione degli artt. 32 e 33 della Costituzione, oltre che per sviamento di potere: la legge n. 40 riguarda infatti solo la procreazione medicalmente assistita e non può essere consentito che le previsioni delle Linee guida sconfinino in materie neppure disciplinate dalla legge. Ove poi si ritenga che il provvedimento, in questa parte, sia conforme all’articolo 13 della legge n. 40, allora va eccepita l’illegittimità costituzionale della norma di legge in relazione agli articoli 32 e 33 della Costituzione.
7) Ingiustizia manifesta ed irrazionalità del provvedimento impugnato nella parte in cui sotto il titolo “Limiti all’applicazione delle tecniche sugli embrioni” impone al comma 2 la creazione di un numero di embrioni comunque non superiore a tre. In subordine illegittimità costituzionale dell’articolo 14 della legge, che non consente la creazione di un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, e in ogni caso superiore a tre. Le Linee guida avrebbero dovuto prevedere un elenco quanto meno esemplificativo di patologie e condizioni morbose che impediscono, a norma dell’articolo 14, comma 3, della legge, il trasferimento nell’utero dell’embrione, e la sua conseguente, provvisoria, crioconservazione; e in tale elenco avrebbe dovuto essere prevista l’ipotesi in cui tutti e tre gli ovociti inseminati risultino idonei al trasferimento, il quale risulti però controindicato per la donna e per il concepito. Diversamente, la suddetta disposizione di legge si pone in contrasto con l’articolo 32 della Costituzione, in quanto non tutela la salute della donna e del concepito.
8) Il decreto è illegittimo per cattivo uso del potere (regolamentare) conferito dalla legge, per mancata indicazione, al medico, del comportamento da tenere nel caso di crioconservazione di materiale genetico appartenente ad individuo non più vivente: la legge prevede che il medico non possa effettuare trattamenti di procreazione medicalmente assistita su persone che non siano entrambe viventi, e, vieta e sanziona la crioconservazione, la donazione ad altra coppia e la distruzione dell’embrione. Le Linee guida pertanto avrebbero dovuto prevedere il comportamento che il medico deve tenere nel caso in cui, tra il momento dell’inseminazione ed il momento del trasferimento in utero, uno dei partners sia deceduto.
9) Violazione di legge per violazione del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, sul trattamento e la conservazione dei dati sensibili, nella parte in cui sotto il titolo “Registrazione e mantenimento dei dati” prevede che i contenitori che racchiudono i gameti riportino le generalità dei soggetti che li hanno prodotti o a cui sono destinati”.
Il ministero della salute si è costituito in giudizio il eccependo l’inammissibilità del ricorso essenzialmente perché proposto avverso atto non immediatamente lesivo, per carenza di interesse e difetto di legittimazione attiva della associazione deducente, oltre che la sua infondatezza nel merito.
Sono intervenuti in giudizio, essendo già fissata l’udienza di discussione del 7 aprile 2005, l’associazione e il comitato indicati in epigrafe, opponendosi all’accoglimento del ricorso. Gl’intervenienti hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva e per carenza di interesse dell’associazione ricorrente, e hanno poi sostenuto l’infondatezza dei motivi di ricorso. A sua volta la ricorrente ha eccepito l’inammissibilità, per tardività, degli interventi in giudizio.
Il tribunale amministrativo regionale con la sentenza indicata in epigrafe ha giudicato ammissibili gl’interventi, e ha respinto le eccezioni d’inammissibilità del ricorso, affermando che l’associazione ricorrente, che ha per scopo statutario la ricerca in materia di riproduzione e fertilità e la valutazione di nuove procedure diagnostiche e terapeutiche nel campo della riproduzione, ha un interesse proprio che la legittima ad impugnare il decreto ministeriale. Ha poi respinto il ricorso, esaminandone e giudicandone infondati tutti i motivi.
Appella l’associazione […] la quale, dopo una diffusissima critica alle motivazioni della sentenza, nella quale si duole (pag. 30 del ricorso in appello) che il giudice di primo grado abbia ricusato la remissione alla corte costituzionale di questioni di legittimità costituzionale della legge n. 40 del 2004, ripropone i primi cinque e l’ottavo motivo del ricorso di primo grado. Con un ulteriore motivo si duole della pronuncia di ammissibilità dell’interventi spiegati in giudizio dagli oppositori; lamentando che tali interventi, risoltisi praticamente in un intervento all’udienza stessa di discussione, hanno violato il suo diritto alla difesa.
Resiste il ministero della salute.
DIRITTO
Va osservato che non c’è appello sul capo della sentenza che ha ritenuto che l’associazione ricorrente, a causa dei suoi scopi statutari, abbia un interesse proprio e particolare che la legittima all’impugnazione del decreto ministeriale applicativo della legge 19 febbraio 2004 n. 40.
È preliminare il motivo con cui l’appellante censura il capo della sentenza che ha respinto la sua eccezione d’inammissibilità, per tardività, dell’intervento in giudizio dell’associazione e del comitato indicati in epigrafe. In fatto, va chiarito che tali enti sono intervenuti in giudizio, per opporsi all’accoglimento del ricorso, essendo già fissata l’udienza di discussione del 7 aprile 2005; l’atto d’intervento dell’associazione è stato notificato il 2 aprile al ministero e il 4 aprile alla ricorrente e depositato il 6 aprile; quello del comitato è stato depositato il 2 aprile, e non c’è in atti la prova dell’avvenuta notificazione alle parti. I due atti d’intervento sono, come si dice, di pura forma, ossia non contengono argomentazioni difensive. Gl’intervenienti il 6 aprile hanno depositato due relazioni peritali, che hanno nuovamente depositato l’indomani in udienza.
Il giudice di primo grado ha respinto l’eccezione con l’argomento che la disposizione dell’articolo 40 del regio decreto 17 agosto 1907 n. 642, contenente il regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, secondo cui «L’intervento ha luogo nello stato in cui si trova la contestazione», prevale sull’argomento desumibile dall’articolo 23, quarto comma, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 («Le parti possono produrre documenti fino a venti giorni liberi anteriori al giorno fissato per l’udienza e presentare memorie fino a dieci giorni»), che imporrebbe la notificazione dell’atto d’intervento almeno dieci giorni prima dell’udienza. In realtà la norma dell’articolo 40 citato non ha nulla a vedere con il termine per intervenire in giudizio. Non ci sono, poi, a differenza che per il ricorso incidentale, norme che prevedano un termine per intervenire, perché l’interveniente è, o in ogni caso può essere, un terzo rispetto al processo, che non ne ha conoscenza legale non avendo ricevuto notificazione del ricorso: l’articolo 22 della legge n. 1034 del 1971 prevede bensì che per l’intervento si osservi il disposto degli articoli 37 e seguenti del regio decreto 26 giugno 1924 n. 1054 sul Consiglio di Stato, relativi al ricorso incidentale, ma il richiamo vale, naturalmente, per le forme, non per i termini del ricorso incidentale. Piuttosto, l’articolo 22, ultimo comma, della legge n. 1034 del 1971 prevede che entro i venti giorni successivi all’intervento le (altre) parti e l’amministrazione possano presentare memorie, istanze e documenti, e già l’articolo 39 del regolamento del 1907, richiamato dall’articolo 22, prevedeva dieci giorni; ed è ovvio che le parti debbano avere, se non vi rinuncino, il termine predetto per difendersi dall’intervento. Nell’opposizione delle altre parti, e se esse non consentono un rinvio della discussione, l’intervento non può esser preso in considerazione. Nella specie gli atti d’intervento non erano motivati (vedasi, al riguardo, l’articolo 37 del regolamento del 1907), e quello del comitato non risulta neppur notificato, e pertanto esse si sono risolti, in sostanza, in un intervento in udienza, addirittura con produzione di elaborati peritali medici, sui quali la ricorrente aveva tutto il diritto d’interloquire dopo aver avuto l’agio di esaminarli e farli esaminare da persone competenti nelle scienze mediche. Perciò, anche indipendentemente dalla questione sui termini per l’intervento, sopra trattata, gl’interventi sono avvenuti con modalità tali da violare il principio dell’equo processo.
La fondatezza del motivo, che si sostanzia nell’avvenuta violazione del contraddittorio, comporta inevitabilmente il rinvio della causa al primo giudice in applicazione dell’articolo 35 della legge n. 1034 del 1971. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente grado di giudizio.
Per questi motivi accoglie l’appello indicato in epigrafe, e per l’effetto annulla la sentenza impugnata e rinvia la causa davanti al tribunale amministrativo regionale. Spese al definitivo.
Così deciso in Roma il 19 dicembre 2006 dal collegio costituito dai signori:
Sergio Santoro presidente
Raffaele Carboni componente, estensore
Paolo Buonvino componente
Caro Lucrezio Monticelli componente
Aniello Cerreto componente
L’ESTENSORE
F.to Raffaele Carboni
IL PRESIDENTE
F.to Sergio Santoro
IL SEGRETARIO
F.to Rosi Graziano
Autore:
Consiglio di Stato
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Trattamenti sanitari, Diagnosi preimpianto, Sterilità, Crioconservazione, Concepito, Embrioni, Procreazione assistita, Consenso informato, Inseminazione artificiale, Gravidanza, Diritto alla vita, Libertà fondamentali, Riservatezza, Salute
Natura:
Sentenza