Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 14 Luglio 2005

Sentenza 28 gennaio 2002, n.10359

Corte di Cassazione. Sezione lavoro. Sentenza 28 gennaio 2002, n. 10359: “Amministrazioni statali, enti pubblici ed assunzione dei lavoratori tramite pubblico concorso”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Salvatore SENESE – Presidente –
Dott. Paolino DELL’ANNO – Consigliere –
Dott. Pietro CUOCO – Consigliere –
Dott. Federico ROSELLI – Rel. Consigliere –
Dott. Camillo FILADORO – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PULLARA GIUSEPPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 67, presso lo studio dell’avvocato ANDREA ARATI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE D’AMICO, giusta delega in atti;- ricorrente –

contro

ISPETTORATO PROVINCIALE DEL LAVORO DI AGRIGENTO,- intimato –

e sul 2 ricorso n 18602-99 proposto da:
PULLARA GIUSEPPA, elettivamente domiciliata in ROMA presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE D’AMICO, giusta delega in atti;- controricorrente e ricorrente incidentale –

nonché contro

ISPETTORATO PROVINCIALE DEL LAVORO DI AGRIGENTO;- intimato –

avverso la sentenza n. 36-99 della Sezione distaccata di Pretura di CANICATTÌ, depositata il 04-03-99 – R.G.N. 4416-97;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28-01-02 dal Consigliere Dott. Federico ROSELLI;
udito l’Avvocato RENZO TOSTI per delega D’AMICO;
udito il P. M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Francesco MELE, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Fatto

Con ricorso del 24 luglio 1997 al Pretore di Agrigento, la s.n.c. Gestione scuole di Pullara Giuseppa, proponeva opposizione contro l’ordinanza – ingiunzione del 4 luglio precedente, emessa dal Capo del locale Ispettorato provinciale del lavoro ed avente ad oggetto il pagamento di sanzioni amministrative e somme accessorie per l’assunzione di centosessantaquattro lavoratori senza il tramite dell’Ufficio di collocamento.
Costituitosi il convenuto – opposto, il Pretore con sentenza del 4 marzo 1999 rigettava l’opposizione, ritenendo anzitutto che il personale, anche insegnante, dipendente dagli istituti scolastici legalmente riconosciuti (a differenza di quello dipendente dalle scuole pareggiate, ossia tenute da enti pubblici o da enti ecclesiastici di cui all’art. 20 del concordato del 1929 con la Santa Sede: art. 8 l. 19 gennaio 1942 n. 86) non potesse rientrare nella categoria dei “lavoratori di concetto o specializzati assunti mediante concorso pubblico”, esclusa dall’obbligo di assunzione tramite gli uffici di collocamento dall’art. 11, terzo comma, n. 3 l. 29 aprile 1949 n. 264. Ne conseguiva l’applicabilità delle sanzioni amministrative comminate dal successivo art. 27, modif. dall’art. 26 l. 28 febbraio 1987 n. 56, trattandosi di assunzioni compiute fra il 1 settembre 1989 e il 28 gennaio 1994, ossia quando la citata legge del 1949 era ancora in vigore.
Ad escludere o a limitare la responsabilità della ricorrente non valevano i mutamenti normativi sopravvenuti in materia di collocamento nè il precedente comportamento tollerante della pubblica amministrazione, nè, ancora, l’assenza di ogni danno.
Quanto ai motivi d’urgenza dell’assunzione di insegnanti supplenti, il Pretore osservava che l’art. 33, settimo comma, l. – 20 maggio 1970 n. 300 prescriveva pur sempre la preventiva autorizzazione della sezione di collocamento e la successiva convalida della commissione. Del resto, la ricorrente non aveva prodotto gli atti di conferimento delle supplenze, onde permettere al giudicante il controllo in materia, anche ai fini dell’art. 2 l. 24 dicembre 1993 n. 537, che in alcuni casi permetteva di ritardare l’autorizzazione amministrativa.
Non potevano essere prese in considerazione circostanze di fatto relative a singoli lavoratori, non tempestivamente dedotte ai sensi dell’art. 414, n. 4, cod. proc. civ.
Quanto all’ammontare delle sanzioni, superiore al minimo edittale, esso veniva ritenuto congruo dal Pretore a causa dell’elevato numero delle assunzioni, poste in essere in contesti temporali diversi e perciò non unificabili ai fini della pena.
Contro questa sentenza presenta due ricorsi per cassazione Giuseppa Pullara, uno quale legale rappresentante della s.n.c.
Gestione scuole e l’altro personalmente.

Diritto

I due ricorsi debbono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ.
Essi hanno contenuto identico nella sostanza poiché il secondo, n. 18602-99, richiama i motivi contenuti nel primo, n. 17275-99, tranne il nono, con la conseguenza che l’esame dei singoli motivi s’intende qui riferito ad entrambi i ricorsi. La stessa ricorrente dice di proporre la seconda impugnazione, “incidentale”, “in adesione al ricorso principale”.
Poiché la presente controversia ha per oggetto sanzioni amministrative per violazione di norme sul collocamento, è da osservare in via preliminare che nessun rilievo può avere il sopravvenuto art. 116, comma 12, l. 23 dicembre 2000 n. 338, abolitivo delle dette sanzioni. Non occorre qui risolvere la questione se tale disposizione abbia efficacia soggettiva generale oppure riguardi soltanto le imprese interessate alla regolarizzazione dei rapporti di lavoro, prevista nello stesso art. 116. È infatti preliminare ed assorbente la considerazione che l’applicabilità della legge successiva più favorevole, sancita dall’art. 2 cod.
pen., non vale nella materia degli illeciti amministrativi (Cass. 12 maggio 1999 n. 4704, 21 giugno 1999 n. 6232, 3 aprile 2000 n. 4007), salva espressa disposizione legislativa contraria (Cass. 23 aprile 2001 n. 5975).
Inoltre questo collegio conosce l’affermazione, resa dalla giurisprudenza comunitaria, di contrasto fra gli artt. 86 e 90 del trattato CEE ed il comportamento di uno Stato membro che mantenga un sistema di monopolio nella materia del collocamento, nell’ipotesi in cui gli uffici pubblici non siano palesemente in grado di soddisfare la domanda esistente sul mercato del lavoro (Corte giust. 11 dicembre 1997 n. 55-96, 8 giugno 2000 n. 258-98). Quest’ipotesi richiede tuttavia una verifica di fatto circa la detta attitudine, non soltanto estranea ai poteri di questa Corte, giudice di legittimità, ma necessariamente da chiedere in sede di merito, con la conseguenza che il difetto della richiesta e della prospettazione di ogni relativa questione nel ricorso per cassazione preclude la disapplicazione giudiziale della normativa nazionale (Cass. 6 agosto 1998 n. 7694, 7 agosto 1999 n. 8504, 8 ottobre 2001 n. 12321).
La sopravvivenza di quest’ultima, salva la detta verifica di fatto, è ulteriormente dimostrata dal citato art. 116, comma 12, l.
n. 338 del 2000, che dispone in ordine alle sanzioni per trasgressione.
Col primo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt.
27 l. 29 aprile 1949 n. 264, sostituito dall’art. 26 l. 28 febbraio 1987 n. 56, in riferimento agli artt. 8 e 11 della stessa legge n.
264, nonché dell’art. 33 Cost.
Essa sostiene la non applicabilità delle norme sul collocamento obbligatorio nei casi di assunzione di insegnanti in istituti scolastici privati legalmente riconosciuti; insegnanti che sarebbero da ricondurre alla categoria dei “lavoratori di concetto o specializzati assunti mediante concorso pubblico” di cui all’art. 11, terzo comma, n. 3, l. n. 264 cit.
Infatti quei lavoratori non potrebbero essere assunti se non previa iscrizione in una graduatoria, ossia senza una selezione comparativa.
Il motivo è privo di fondamento poiché, se è vero che nessuna norma vieta ad un soggetto privato di selezionare attraverso concorsi o graduatorie i lavoratori da assumere, ciò non significa che questi concorsi debbano considerarsi come “pubblici” nel senso dell’art. 11 cit., ossia banditi da un’amministrazione statale o comunque pubblica.
Col secondo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt.
33, comma settimo, l. 20 maggio 1970 n. 300, 4 l. 24 novembre 1981 n.
689, 113 e 115 cod. proc. civ. e motivazione contraddittoria, sostenendo la non necessità di autorizzazione dell’ufficio di collocamento in caso di assunzione di lavoratori per motivi urgenti;
urgenti sarebbero i motivi a base delle assunzioni di insegnanti per corsi di lezioni annuali o comunque regolari, ossia non suscettibili di essere interrotti, o per lo meno delle assunzioni di supplenti destinati a sostituire colleghi improvvisamente assenti. La ricorrente si duole in particolare della mancata ammissione della prova testimoniale e dell’omesso esame dei libri matricola, dai quali risulterebbero rapporti di lavoro iniziati nel corso dell’anno scolastico o durati pochi giorni: rapporti intercorsi con supplenti e perciò instaurati in via d’urgenza.
Il motivo non è fondato.
A norma dell’art. 33, settimo comma, seconda parte, l. n. 300 del 1970, “nei casi di motivata urgenza, l’avviamento (al lavoro) è provvisoriamente autorizzato dalla sezione di collocamento e dev’essere convalidato dalla commissione di cui al primo comma del presente articolo (commissione del collocamento) entro dieci giorni”.
Come esattamente osserva il Pretore, nel caso di specie questa norma non venne comunque osservata poiché, quand’anche fossero risultati con certezza casi di assunzione urgente, la datrice di lavoro non aveva ottenuto l’autorizzazione provvisoria.
Quanto alla doglianza di violazione delle norme sulle prove, occorre osservare che il processo del lavoro è dominato dal principio di immediata formulazione del thema disputatum, in base al quale il ricorrente deve esporre i fatti e gli elementi di diritto della domanda e indicare specificamente i mezzi di prova, e in particolare quelli documentali (art. 414, nn. 4 e 5, cod. proc.
civ.), mentre il convenuto deve nella sua memoria di costituzione in giudizio “prendere posizione in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda, proporre tutte le sue difese in fatto e in diritto ed indicare specificamente, a pena di decadenza, i mezzi di prova dei quali intende avvalersi ed in particolare i documenti che intende contestualmente depositare” (art. 416, terzo comma, cod. proc. civ.).
Nel caso di specie il Pretore ha rilevato l’assenza di specifica prova documentale circa le asserite assunzioni al lavoro per motivi d’urgenza, così non ritenendo sufficientemente indicative le richieste prove testimoniali o documentali dai quali potevano bensì risultare assunzioni di supplenti, ma non necessariamente compiute in via d’urgenza. Tale valutazione è riservata al giudice di merito e non è censurabile nel giudizio di legittimità.
Col sesto motivo, da esaminare insieme al secondo per ragione di connessione, la ricorrente lamenta che, in violazione degli artt. 112 e 113 cod. proc. civ., il Pretore non abbia pronunciato, adducendo il divieto di ultrapetizione, sulla richiesta di applicazione dell’art. 19 l. 7 agosto 1990 n. 241, modif. dalla l. 24 dicembre 1993 n. 537, secondo cui l’autorizzazione amministrativa non discrezionale può essere successiva all’inizio dell’attività da autorizzare.
Col settimo motivo, anch’esso esaminato qui per connessione, la ricorrente lamenta che, erroneamente adducendo il divieto di prospettazione di “motivi aggiunti” all’impugnazione dell’ingiunzione, quest’ultima considerata quale provvedimento amministrativo, il Tribunale abbia negato l’ammissione di nuove prove in udienza, relative a posizioni di singoli lavoratori (Clelia Carmusciano ed altri).
Nemmeno queste due censure sono fondate.
Quanto all’art. 19 l. n. 241 del 1990, il Pretore ha notato come la sua invocazione non fosse contenuta nel ricorso proposto contro l’ordinanza – ingiunzione ed è chiaro come essa comportasse nuove indagini di fatto, come quella sull’effettiva immediata comunicazione delle singole assunzioni all’ufficio di collocamento. L’invocazione integrava così una modificazione delle difese dell’opponente, che il giudice non ha ritenuto di autorizzare ai sensi dell’art. 420, primo comma, cod. proc. civ., e tale discrezionale diniego non è censurabile in cassazione. L’inesatto richiamo, contenuto nella sentenza impugnata, al divieto di ultrapetizione può essere così corretto ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ.
Quanto alla non ammissione delle prove documentali concernenti singoli lavoratori, è da richiamare, come a proposito del secondo motivo, il principio di immediata formulazione del thema decidendum e del thema probandum, espressione a sua volta del più generale principio di concentrazione dell’attività processuale ed inteso ad assicurare la ragionevole durata del processo, imposta già implicitamente dall’art. 24 ed ora esplicitamente dall’art. 111, secondo comma, Cost. Detto principio non solo impone all’attore ed al convenuto l’indicazione e produzione dei mezzi di prova documentale immediate ossia contestuali ai primi atti difensivi (art. 414 n. 5 e 416, terzo comma, citt.) ma permette al giudice di acquisire in udienza esclusivamente i mezzi di prova già proposti e quelli nuovi solamente se le parti non li abbiano potuti produrre prima (art. 420, quinto comma).
Nel caso di specie i documenti di cui all’attuale ricorso non furono indicati nè prodotti insieme all’atto di opposizione all’ingiunzione, nè la ricorrente invoca alcuna causa impeditiva, onde non può ora lamentarsi con fondamento che la prova non sia stata ammessa.
Tanto basta al rigetto della doglianza, soltanto occorrendo rilevare ancora l’erroneità della assimilazione, da parte del Pretore, del processo civile, inteso all’accertamento di diritti soggettivi e dei relativi rapporti giuridici, al processo amministrativo giurisdizionale, inteso all’annullamento del provvedimento asseritamente illegittimo: l’errore non infirma il dispositivo della sentenza pretorile e può essere perciò qui ancora una volta corretto ai sensi dell’art. 384 cit.
Col terzo motivo la ricorrente prospetta il difetto di motivazione in ordine alla tolleranza della pubblica amministrazione, sufficiente a suo avviso ad escludere l’illiceità della condotta.
Col quarto motivo il difetto di motivazione è dedotto con riguardo all’eccessiva gravosità della sanzione, superiore al minimo edittale.
Col quinto motivo la ricorrente deduce ancora vizi di motivazione e violazione dell’art. 8 l. n. 689 del 1981 riguardo alla mancata applicazione del beneficio della continuazione.
Il nono motivo replica la doglianza con riguardo alla sopravvenuta abrogazione delle norme sopra citate, contenute nella legge n. 264 del 1949. Con esso si deduce anche la violazione degli artt. 1175 e 1375 cod. civ.
Neppure questi motivi, da esaminare insieme perché connessi, sono fondati.
La consapevole tolleranza della pubblica amministrazione può certamente attenuare, sotto il profilo soggettivo, la gravità dell’illecito amministrativo, ma non è censurabile nel giudizio di cassazione il convincimento del giudice di merito che, nel valutare la proporzione della sanzione alla gravità del reato, ritenga prevalente l’elevato numero delle violazioni e perciò congrua una sanzione superiore al minimo.
Nè l’impossibilità di applicare le norme penali sulla continuazione, di cui tra breve si dirà, basta a rendere illegittimo questo discrezionale giudizio di congruità.
Parimenti incensurabile e del tutto estranea agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., è poi la valutazione di irrilevanza delle norme abrogative o modificative della fattispecie di illecito.
Quanto all’art. 8 l. n. 689 del 1981, più volte questa Corte ha escluso potersi applicare l’istituto della continuazione agli illeciti amministrativi ivi previsti, con esclusione delle sole violazioni nella materia della previdenza e assistenza obbligatoria (per la quale la l. 31 gennaio 1986 n. 11 ha modificato l’art. 8 cit.) atteso che la previsione dello stesso art. 8 per l’ipotesi di più violazioni commesse con unica azione od omissione non può essere esteso al diverso caso di una pluralità di violazioni commesse con più condotte (Cass. 20 maggio 1992 n. 6063, 17 marzo 1994 n. 2573, 18 aprile 1994 n. 3693, nonché, con specifico riferimento alla materia del collocamento al lavoro, Cass. 29 marzo 1993 n. 3749, 12 dicembre 1995 n. 12712).
Con l’ottavo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art.
91 cod. proc. civ., data dall’averla il Pretore condannata al pagamento di diritti ed onorari in favore del difensore della pubblica amministrazione opposta, pur essendo stata questa difesa da un proprio funzionario.
Il motivo è fondato poiché nel caso ora detto la parte pubblica ha diritto soltanto alla rifusione delle spese effettivamente sostenute (Cass. 2 marzo 1998 n. 2301), delle quali nella specie è mancata la prova.
Cassata la statuizione pretorile sulle spese ed onorari e non occorrendo nuovi accertamenti di merito, la relativa domanda può essere qui rigettata ai sensi dell’art. 384, primo comma, cod. proc. civ.
Sulle spese del giudizio di legittimità non si deve provvedere poiché l’intimato non si è costituito.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi di egual contenuto, accoglie l’ottavo motivo e rigetta gli altri; cassa in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di condanna a pagare all’Ispettorato del lavoro di Agrigento diritti ed onorari di merito;
nulla per le spese del giudizio di cassazione.