Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 16 Settembre 2003

Sentenza 28 gennaio 1998, n.11

Corte costituzionale. Sentenza 28 gennaio 1998, n. 11: “Obiezione di coscienza – rifiuto, al di fuori dei casi di ammissione al servizio militare non armato o al servizio sostitutivo civile, del servizio militare di leva (art. 8, settimo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772)”.

(Granata; Zagrebelsky)

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Dott. Renato GRANATA;

Giudici: Prof. Giuliano VASSALLI, Prof. Francesco GUIZZI, Prof. Cesare MIRABELLI, Prof. Fernando SANTOSUOSSO, Avv. Massimo VARI, Dott. Cesare RUPERTO, Dott. Riccardo CHIEPPA, Prof. Gustavo ZAGREBELSKY, Prof. Valerio ONIDA, Prof. Carlo MEZZANOTTE, Avv. Fernanda CONTRI, Prof. Guido, NEPPI MODONA, Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, Prof. Annibale MARINI,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 8, settimo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento della obiezione di coscienza), come sostituito dall’art. 2 della legge 24 dicembre 1974, n. 695 (Modifiche agli articoli 2 e 8 della legge 15 dicembre 1972, n. 772, recante norme per il riconoscimento della obiezione di coscienza), promosso con ordinanza emessa il 18 dicembre 1996 dal Tribunale militare di La Spezia nel procedimento penale a carico di Vettraino Raffaello, iscritta al n. 296 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 novembre 1997 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

(omissis)

Considerato in diritto

1. — Il Tribunale militare di La Spezia è chiamato a giudicare un soggetto per il reato di cui all’art. 8, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento della obiezione di coscienza), come sostituito dall’art. 2 della legge 24 dicembre 1974, n. 695, che prevede il fatto di chi, al di fuori dei casi di ammissione al servizio militare non armato o al servizio sostitutivo civile, rifiuta, in tempo di pace, prima di assumerlo, il servizio militare di leva, adducendo i motivi di coscienza indicati dall’art. 1 della stessa legge.

Nel caso di specie, l’imputato, essendo stato chiamato alle armi e dopo aver opposto il rifiuto, successivamente, a distanza di pochi giorni, aveva presentato la domanda di ammissione al servizio sostitutivo civile, a norma dell’art. 8, quarto comma. Qualche tempo dopo, peraltro, era posto in congedo assoluto per inidoneità fisica, risultando così “prosciolto da ogni obbligo di servizio militare” (art. 113, secondo comma, del d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237).

A norma del settimo (e ultimo) comma dello stesso art. 8, l’accoglimento della domanda di ammissione al servizio sostitutivo civile avrebbe avuto come effetto l’estinzione del reato (ovvero, ove vi fosse stata condanna, la cessazione dell’esecuzione della condanna, delle pene accessorie e di ogni altro effetto penale). Senonché, il Ministro per la difesa, competente a norma dell’art. 8, sesto comma, non ha preso alcuna determinazione in proposito né, ad avviso del giudice rimettente, potrebbe presumibilmente ancora prenderla, una volta che l’interessato sia stato posto in congedo assoluto.

Pertanto, alla stregua della legislazione vigente, non essendosi verificata la causa (l’accoglimento della domanda) che, ai sensi del citato settimo comma dell’art. 8, estingue il reato, l’imputato – ad avviso del giudice rimettente – dovrebbe essere condannato per il reato di cui al secondo comma del medesimo articolo.

Ma il Tribunale militare, considerando manifestamente iniqua tale conclusione – in relazione al descritto caso di specie -, solleva questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 8, settimo comma, richiedendone a questa Corte la dichiarazione d’incostituzionalità “nella parte in cui non prevede l’estinzione del reato e, se vi sia stata condanna, la cessazione dell’esecuzione di essa, delle pene accessorie e di ogni altro effetto penale, nei confronti dell’imputato o del condannato che, successivamente alla presentazione della domanda per l’ammissione ad un servizio sostitutivo civile, non abbiano ottenuto alcun provvedimento in merito dal competente Ministro per la difesa, a causa del loro collocamento in congedo assoluto per motivi diversi dal raggiungimento del limite di età”, cioè, in concreto, per motivi di infermità.

2. — La questione non è fondata, per erroneità del presupposto interpretativo da cui muove il giudice rimettente, pur essendo meritevole di condivisione l’assunto circa l’insostenibilità costituzionale delle conseguenze ch’egli ritiene doversi trarre dalle norme vigenti, in relazione al giudizio penale da definire.

L’inapplicabilità della causa di estinzione del reato prevista dall’art. 8, settimo comma, e quindi la condanna per il reato previsto dall’art. 8, secondo comma, di colui il quale, avendo proposto domanda di ammissione al servizio sostitutivo civile a norma dell’art. 8, quarto comma, è stato collocato in congedo assoluto per motivi di infermità, parrebbe in effetti violare l’invocato art. 3 della Costituzione sotto il duplice profilo del divieto di disciplinare in modo uguale situazioni diverse e di disciplinare in modo diverso situazioni analoghe.

2.1. — Sul primo profilo, è sufficiente osservare che, una volta esclusa l’applicabilità della causa di estinzione del reato prevista dall’art. 8, settimo comma, al caso da decidere nel giudizio pendente davanti al giudice rimettente, si verrebbe a equiparare la condizione di colui che ha rifiutato la prestazione del servizio militare, senza successivi ripensamenti, a quella di colui il quale ha viceversa ritenuto di recedere dalla sua precedente determinazione e ha presentato conseguentemente domanda di ammissione a un servizio alternativo a quello militare.

Ma questa Corte, nella sentenza n. 409 del 1989, esaminando il sistema costruito dal legislatore con l’impugnato art. 8 della legge n. 772 del 1972, ha considerato, in particolare, la ratio della riconosciuta possibilità di chiedere, dopo la commissione di uno dei reati previsti nei primi due commi del medesimo articolo, l’ammissione al servizio sostitutivo civile e al servizio militare non armato o l’arruolamento nelle forze armate (commi quarto e quinto), con i conseguenti effetti estintivi penali, previsti dal settimo comma, nel caso in cui la domanda sia accolta a norma del sesto comma. Tale ratio – si è detto con una affermazione che risulta rafforzata dal superamento (ad opera dell’art. 2 della legge 24 dicembre 1974, n. 695) dell’originaria formulazione dell’ultimo comma dell’art. 8, alla stregua della quale gli effetti estintivi si determinavano in conseguenza non già (come è oggi) della proposizione e dell’accoglimento della domanda, ma del completamento del servizio assunto conseguentemente – corrisponde all’intento di offrire all’interessato una via di recupero al sacro dovere di difesa della Patria (art. 52 della Costituzione), nelle diverse forme e modalità in cui esso può essere adempiuto. E, nella citata decisione, si è osservato che la proposizione della domanda già di per sé testimonia la maturata disponibilità ai doveri di solidarietà sociale, di cui quello di difesa della Patria è una specificazione.

Ciò mostra che il mancato prodursi degli effetti estintivi nel caso di specie sul quale il giudice rimettente è chiamato a decidere finirebbe per comportare l’omologazione di due situazioni radicalmente diverse, caratterizzate, l’una, dal segno dell’avvenuto recupero e, l’altra, dalla persistenza nel rifiuto. Un’omologazione insostenibile alla stregua del principio costituzionale di uguaglianza sotto il profilo formulabile nella regola: a situazioni diverse diverse discipline.

2.2. — Un’applicazione dell’art. 8 che, nel caso da decidere, escludesse gli effetti estintivi previsti dall’ultimo suo comma risulterebbe altresì lesiva del principio di uguaglianza sotto il contrario profilo del divieto di discipline diverse di situazioni analoghe.

A questo riguardo, deve confrontarsi la posizione di coloro che hanno commesso uno dei reati di rifiuto previsti dai due primi commi dell’art. 8 e si avvalgono della facoltà prevista dal quarto comma dello stesso articolo ma, in dipendenza del persistere o meno dell’idoneità al servizio, il Ministro possa, in un caso, pronunciarsi e accogliere la domanda e, nell’altro, invece non possa. In presenza della medesima condotta indirizzata all’adempimento del dovere di difesa della Patria, il soggetto interessato, nella prima eventualità, può e, nella seconda, non può giovarsi degli effetti estintivi indicati nell’ultimo comma dell’art. 8.

Il carattere manifestamente irragionevole di tale differenziazione risulta, oltre che dall’assenza di motivi riconducibili alla volontà o alla condotta dell’interessato, dalla natura della causa che, nella specie, impedisce la pronuncia del Ministro e il possibile accoglimento della domanda. Il congedo assoluto per inidoneità fisica “proscioglie da ogni obbligo di servizio militare” un soggetto il quale peraltro resterebbe sottoposto al regime di diritto penale previsto dall’art. 8, che, oltre e più che alla sanzione, mira al recupero all’adempimento di tale obbligo.

3. — Le considerazioni che precedono conducono pianamente a escludere che dall’applicazione dell’art. 8 possano legittimamente sortire le conseguenze paventate dal giudice rimettente, in ragione delle quali egli si è indotto a sollevare la presente questione di costituzionalità.

L’accoglimento di questa, tuttavia, presupporrebbe una condizione che, nella specie, non si verifica, cioè che le menzionate conseguenze applicative incostituzionali siano ascrivibili alla legge denunciata e che quindi, al fine di evitarle, sia necessario addivenire alla sua dichiarazione d’incostituzionalità.

Il giudice rimettente ritiene che il caso particolare sul quale è chiamato a decidere rientri nella portata dell’ultimo comma dell’art. 8. Su questa premessa infatti, considerato che l’accoglimento della domanda di servizio alternativo non c’è stato e di conseguenza, secondo la dizione della legge, non vi potrebbe essere estinzione del reato, egli si ritiene costretto, in assenza di una declaratoria d’illegittimità costituzionale che integri la norma impugnata con la previsione di una ulteriore causa estintiva, ad addivenire a una decisione di condanna dell’imputato.

Così, tuttavia, non è. Costituisce una forzatura del sistema legislativo il ritenere che la norma impugnata regoli il caso di specie che il giudice rimettente si trova a decidere, nel senso dell’inapplicabilità della causa estintiva. L’ultimo comma dell’art. 8 si inserisce come elemento finale in una disciplina che presuppone la perdurante inclusione del soggetto nel raggio dell’obbligazione militare e quindi l’esistenza del potere-dovere del Ministro di provvedere sulla domanda di adempimento di tale obbligazione tramite un servizio sostitutivo.

Quando invece, come nella specie, si determina una diversa situazione nella quale nessun provvedimento sulla domanda sia stato preso, per l’esclusione del soggetto dall’obbligo di prestazione del servizio militare o del servizio civile sostitutivo, si è fuori della portata dell’ultimo comma dell’art. 8. Ciò basta per escludere ch’esso possa essere dichiarato incostituzionale così come, sulla base di una premessa interpretativa che, alla stregua dei rilievi che precedono, non può ritenersi giustificata, richiede il giudice rimettente. La fattispecie su cui egli è chiamato a pronunciarsi, infatti, non può dirsi trovare nella norma denunciata una regolamentazione incostituzionale: semplicemente non vi trova alcuna regolamentazione.

Spetta al giudice del caso concreto, attraverso l’esercizio pieno dei poteri di interpretazione della legge e del diritto – poteri che gli sono attribuiti non come facoltà ma come compito – risolvere conformemente alla Costituzione il problema che la rilevata lacuna normativa in ipotesi determina.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, settimo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento della obiezione di coscienza), come sostituito dall’art. 2 della legge 24 dicembre 1974, n. 695 (Modifiche agli articoli 2 e 8 della legge 15 dicembre 1972, n. 772, recante norme per il riconoscimento della obiezione di coscienza), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale militare di La Spezia, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

(omissis)