Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 7 Febbraio 2005

Sentenza 27 gennaio 2005, n.666

Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio –
Sezione III bis. Sentenza 27 gennaio 2005, n. 666.

FATTO E DIRITTO

1. Con l’atto introduttivo del presente giudizio, la parte ricorrente
impugna gli atti specificati in epigrafe, nella parte in cui determinano la
sua esclusione dalla sessione riservata di abilitazione nelle scuole materne
e secondarie e di idoneità per gli insegnanti di scuole elementari, indetta,
ai sensi dell’art. 2 della l. 3 maggio 1999, n. 124 e dell’o.m. n. 153 del
1999 e successive oo.mm. integrative e modificative.
Il ricorso è volto a censurare la previsione dell’art. 2, comma 4, del
bando, che recita: “I servizi prestati nell’insegnamento della religione
cattolica o delle attività alternative all’insegnamento della religione
cattolica non sono validi ai fini dell’ammissione alla sessione riservata in
quanto né prestati su posti di ruolo né relativi a classi di concorso”.

A tal fine la parte ricorrente fonda la sua impugnativa unicamente su di una
questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della l. 3 maggio 1999
n. 124, con riferimento agli artt. 3, primo comma, e 97, primo comma, della
Costituzione. Ciò in quanto tale disposizione di legge, riproponendo
l’esclusione, dai servizi validi per l’ammissione alla sessione riservata di
cui trattasi, dell’insegnamento della religione, nella considerazione che
non si tratta di un servizio reso per insegnamento corrispondente a posto di
ruolo o relativo a classi di concorso, fa sorgere fondati dubbi di
costituzionalità per disparità di trattamento.

Il ricorso è stato chiamato per la discussione all’udienza pubblica del 4
ottobre 2004, e quindi trattenuto in decisione.

2. La parte ricorrente sostiene l’illegittimità degli atti impugnati, nella
parte in cui essi non riconoscono, ai fini della verifica della sussistenza
del requisito dei trecentosessanta giorni di servizio utile per la
partecipazione alla sessione riservata di esami, il servizio prestato
nell’insegnamento della religione cattolica.

In particolare, vengono fatti valere, come già sopra cennato, profili di
illegittimità costituzionale dell’art. 2 della l. n. 124/99, in riferimento
agli artt. 3 e 97 della Costituzione.

In sostanza, la previsione del bando è ritenuta ingiustamente
discriminatoria della posizione degli insegnanti di religione.

Ad avviso della ricorrente i principi costituzionali sopra citati sarebbero
violati in quanto: gli insegnanti di religione cattolica fanno parte della
componente docente negli organi collegiali; essi possono considerarsi
insegnanti statali in quanto assunti con provvedimento dell’Autorità statale
competente; prestano servizio nelle scuole statali, per finalità educative e
di istruzione proprie dello Stato italiano, con il riconoscimento di tale
servizio, ad es., per supplenze in altre materie; esercitano l’elettorato
attivo e passivo per l’elezione degli organi collegiali. Il fatto poi che la
loro nomina sia soggetta ad assenso dell’Autorità ecclesiastica, non fa
venire meno la natura del servizio da essi reso. Nel tempo, del resto, vi
sono state altre categorie di docenti destinatarie dei benefici di
immissione nei ruoli statali anche a prescindere dalla provenienza da
apposite graduatorie (docenti dei corsi popolari CRACIS, “esperti” negli
Istituti tecnici, professionali e sperimentali, docenti di attività
pratiche, docenti ex art. 17, terzo comma, del d.l. 140/88 la cui nomina in
ruolo può avvenire, in mancanza di inclusione nelle graduatorie per supplenze, “sulla base della valutazione dei titoli posseduti effettuata ai sensi delle norme vigenti nel tempo”.

3. Tanto premesso, rileva il Collegio che sulla questione della valutabilità
dell’insegnamento della religione cattolica ai fini dell’ammissione alla sessione riservata ex l. n. 124/99 e ordinanze ministeriali applicative, il Tribunale si è reiteratamente e negativamente pronunciato, ad esempio, da
ultimo, con sentenze di questa stessa Sezione nn. 10795/2003, 1000/2004 e 1005/2004.

Da tale orientamento il Collegio non intende discostarsi, dovendosi quindi ribadire quanto segue.

4. Va preliminarmente rilevato che la ragione sostanziale per cui le previsioni inditive della sessione riservata che ne occupa escludono la validità dei servizi prestati nell’insegnamento della religione cattolica,
risiedono nel fatto che trattasi di servizi che:

a) non sono prestati su posti di ruolo;

b) non sono relativi a classi di concorso.

Sul punto le Ordinanze Ministeriali hanno inteso dare attuazione a quanto
stabilito nell’art. 2, comma 4, della l. 3 maggio 1999, n. 124: “Il servizio deve essere stato prestato per insegnamenti corrispondenti a posti di ruolo o relativi a classi di concorso, con il possesso dello specifico titolo di studio richiesto”.

Ora, sotto questo profilo la questione di costituzionalità attiene alla norma di legge, e deve essere esaminata con riferimento alla stessa.

5. E’ bene ricordare che la Corte costituzionale ha già avuto modo di
occuparsi della legittimità dell’esclusione degli insegnanti di religione dalle sessioni riservate di abilitazione, con la sentenza 22 luglio 1999, n. 343, pronunciata con riferimento alla normativa previgente rispetto a quella applicata nella specie (questione di legittimità costituzionale degli artt.
2 e 11 del d.l. 6 novembre 1989, n. 357, convertito, con modificazioni,
nella l. 27 dicembre 1989, n. 417, sollevata con riferimento agli artt. 3,
primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione).

Anche in quel caso veniva in rilievo il requisito del servizio di insegnamento su posti di ruolo e per classi di concorso: requisito carente nel caso dell’insegnamento della religione cattolica.

La disparità di trattamento era stata denunciata anche in relazione al fatto
che all’epoca si considerava utile anche l’insegnamento impartito in una
materia diversa da quella per la quale si intendeva concorrere, purché
compresa in altre classi di concorso.

La questione è stata ritenuta infondata dalla Corte, la quale ha affermato:

– che il “meccanismo preordinato dal legislatore si basa sullo stretto
collegamento tra titolo di studio posseduto, servizio di insegnamento prestato e superamento di prove di esame, sempre nel contesto del medesimo ambito disciplinare”;

– che “l’insegnamento non costituisce una generica e comune esperienza didattica da far valere in ogni settore disciplinare, ma uno specifico elemento di qualificazione professionale per impartire l’insegnamento
corrispondente al posto di ruolo cui si intende accedere”;

– che “nello stesso contesto normativo, il legislatore ha disposto che il servizio riferito ad un insegnamento diverso da quello inerente al concorso non sia valutato quale titolo (art. 2, comma 17, del d.l. n. 357 del 1989)”;

– che l’interpretazione di parte della giurisprudenza, nel senso di “non
precludere l’ammissione alla sessione riservata degli esami di abilitazione
anche se l’insegnamento sia stato prestato per una classe di concorso diversa da quella per la quale si sia chiesto di partecipare, ha tuttavia riguardo a classi di concorso affini, per le quali lo stesso titolo di studio, in base al quale si è prestato il servizio, dà accesso ad entrambe le classi considerate, sicché l’insegnamento basato su quel titolo consente di maturare una esperienza didattica specifica, ma comune alle classi
stesse. Ciò che, appunto, giustifica l’adozione di una verifica semplificata
della professionalità, in sessioni riservate di esame o di concorso”;

– che a “questa situazione non è assimilabile quella degli insegnanti di religione, il cui servizio è prestato sulla base di specifici profili di qualificazione professionale (determinati con l’intesa tra autorità
scolastica e Conferenza episcopale italiana, cui ha dato esecuzione il d.P.R. 16 dicembre 1985, n. 751), i quali, di per sé, non costituiscono titolo di accesso ad altri insegnamenti”.

Ora, nella specie i termini della questione sostanzialmente non mutano, anche se nella sessione in questione non è richiesto che il servizio sia stato prestato in insegnamenti della stessa classe di concorso per la quale
si chiede l’abilitazione o l’idoneità.

Come ha avuto modo di precisare il Consiglio di Stato (sez. II, parere del
10 gennaio 2001), la norma “de qua”, riconoscendo utile per l’ammissione al
corso idoneativo unicamente il servizio prestato in insegnamenti corrispondenti a posti di ruolo o relativi a classi di concorso non avrebbe discriminato i docenti incaricati dell’insegnamento di religione cattolica,
violando l’art. 3, comma 1, e 97, comma 1, della Costituzione, per le ragioni che di seguito si espongono:

– “l’ordinamento scolastico dello Stato italiano è articolato in una molteplicità di classi di concorso, corrispondenti alle varie materie d’insegnamento, alle quali si accede sulla base di particolari procedure,
richiedenti per la partecipazione specifici titoli di studio e professionali”;

– l’insegnamento della religione cattolica, su cui verte la questione posta con il ricorso, viene impartito in attuazione di accordi stipulati tra lo Stato Italiano e la Santa Sede, alla cui stregua “gli insegnanti di
religione cattolica vengono nominati su scelta dell’Autorità ecclesiastica e
la loro nomina, a termine, ha caratteristiche del tutto peculiari, escludenti l’incardinamento scolastico dello Stato italiano”;

– quindi i docenti di religione cattolica hanno un rapporto di lavoro “del
tutto precario, instaurato con diverse procedure, rispetto a quelle previste
per gli atri insegnamenti, e mancano dello status giuridico nonché economico
riservato dallo Stato italiano ai propri docenti, nominati in ruolo attraverso particolari procedure selettive”;

– il “pari trattamento garantito ai cittadini dall’art. 3, comma 1, della Costituzione opera a parità di situazioni, nel caso non rinvenibile, attesa la diversità di status sussistente tra i docenti di religione cattolica e gli altri”;

– “la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, tanto in sede giurisdizionale quanto in sede consultiva, formatosi sugli atti applicativi della precedente normativa, coincidente con la prescrizione di cui all’art.
2, comma 4, della l. 3 maggio 1999, n. 124, si è sempre determinata per l’impossibilità di riconoscere come utile il servizio di insegnamento della religione cattolica ai fini della partecipazione agli esami abilitativi
riservati”;

– “il fatto che l’insegnamento della religione cattolica nell’ambito delle scuole statali italiane sia previsto dall’ordinamento e concorra all’azione educativa degli allievi è, invero, del tutto irrilevante, visto che tale
insegnamento non avviene con le stesse modalità degli altri insegnamenti, ma
in un contesto diverso, sulla base di differenti procedure di scelta dei
docenti e senza l’attribuzione agli stessi dello status proprio degli insegnanti delle scuole italiane”;

– “nessun rilievo favorevole ha il fatto che il servizio richiesto per l’ammissione ai corsi idoneativi all’insegnamento può essere stato prestato in insegnamenti corrispondenti a qualsiasi classe di concorso e non in
quella per la quale si chieda di conseguire l’abilitazione o l’idoneità;
l’insegnamento nelle varie classi di concorso ha, infatti, identiche caratteristiche, quanto alle procedure di nomina (in base a graduatorie di merito) ed alle finalità didattiche, mancanti all’insegnamento della
religione cattolica”;

– “il riconoscimento del servizio disimpegnato per una classe di concorso diversa da quella per la quale si chiede di conseguire l’idoneità
all’insegnamento non implica, pertanto, che debba essere riconosciuto anche un insegnamento non coincidente con alcuna delle classi di concorso previste dall’ordinamento”.

Il Collegio ritiene che queste argomentazioni siano nel complesso condivisibili, in quanto costituiscono esplicitazione dell’atipicità della posizione dell’insegnante di religione nell’ordinamento anteriore alla
recente riforma di cui alla l. 186/2003 (i cui artt. 1 e 2 hanno previsto l’istituzione di appositi ruoli con relative dotazioni organiche, prima inesistenti). Atipicità che non consente l’assimilazione alle altre
categorie per le quali sono previsti posti in ruolo e classi di concorso: e che in quanto tali erano – per così dire – le “naturali” destinatarie delle previsioni legislative di sanatoria. Ed è proprio l’assoluta peculiarità
degli insegnanti di religione, secondo la normativa applicabile ratione temporis, che rende incomparabile, ai fini pretesi dalla parte ricorrente, la loro posizione anche rispetto alle specifiche categorie (di destinatari, appunto, delle norme di sanatoria) costituite dagli insegnanti dei corsi CRACIS, dagli “esperti” degli Istituti tecnici e professionali e dagli altri
soggetti particolarmente ricordati dalla parte ricorrente a sostegno degli assunti prospettati. Invero, va tenuto presente che lo status instabile degli insegnanti di religione non costituisce un’anomalia o una fase
transitoria della loro carriera, né dipende da disfunzioni amministrative dell’Amministrazione scolastica o da ritardi legislativi, bensì dalla natura della materia insegnata e dall’esigenza di un continuo controllo dell’Autorità ecclesiastica sul modo in cui l’insegnamento viene impartito.
Non è quindi possibile, ad esempio, paragonare la situazione degli esperti negli istituti professionali con quella degli insegnanti di religione perché, indipendentemente dai meriti degli uni e degli altri, i primi
rientrano nel precariato formatosi per carenze di strutture della scuola, gli altri (secondo il sistema dell’epoca) sono “precari” per legge, nel senso che la l. n. 824 del 1930 non prevedeva per essi alcuna possibilità
d’inserimento nei ruoli) (cfr. CdS, VI, n. 745 del 21 settembre 1987). La posizione particolare, insomma, dei docenti di religione, ai margini dell’organizzazione scolastica e non destinati a transitare nei ruoli statali, stante anche l’interesse della Chiesa cattolica al mantenimento dello specifico status per tali docenti (cfr. TAR Lazio, III, n. 1774 del 25 ottobre 1993), li differenza fortemente anche dalle categorie richiamate dalla parte ricorrente come tertium comparationis, giustificandone dunque il trattamento differenziato alla stregua di un legittimo e non arbitrario esercizio della discrezionalità legislativa.
Questa Sezione non può che confermare, in ultima analisi, le conclusioni alle quali è già pervenuta in numerose sentenze (cfr. ex plurimis la sent. n. 12191/1993), nel senso di ritenere manifestamente infondata l’addotta
questione di costituzionalità e complessivamente privo di fondamento lo
stesso ricorso di cui in epigrafe (cfr. altresì TAR Abruzzo, sez. Pescara,
n. 567/2001; TAR Campania, sez. II, sent. N. 3532/2003; TAR Calabria, sez.
I, 5 aprile 2004, n. 893; TAR Bari, sez. I, n. 1948/2003), attesa la legittimità di tutti gli atti impugnati, almeno alla stregua delle censure proposte.

6. Il ricorso pertanto deve essere respinto, ma si ravvisano giusti motivi per compensare le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Roma, Sez. III-bis,
definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe.

Dispone la compensazione delle spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.