Sentenza 27 aprile 2005
Tribunale di Milano. Sentenza 27 aprile 2005: “Intrascrivibilità post mortem del matrimonio religioso”.
(Omissis)
Con atto di citazione notificato il 3 dicembre 2002 S.D., D.D. e C.C.D., figli di ED. deceduto a Milano l’8 giugno 2002, esponevano che al momento del decesso il loro padre risultava libero di stato e viveva presso l’Hotel Xxx insieme con C.B.; che, con successiva lettera del 2 settembre 2002 del dott. G.B. notaio in Alessandria, avevano appreso che il padre aveva contratto matrimonio canonico con C.B. cui aveva donato con atto del 4 giugno 2001 un immobile sito in Milano alla Via Xxx e che in data 8 agosto 2002 era stato pubblicato il testamento olografo con il quale il loro padre aveva nominato erede universale la moglie e con un codicillo esecutore testamentario il notaio dott. G.B.; che avevano successivamente appreso che il 16 dicembre 1999 F.D. aveva contratto matrimonio religioso con C.B., che peraltro solo il 15 dicembre 2002 la convenuta aveva richiesto la trascrizione al comune di Milano, che le pubblicazioni erano state affisse dal 18 al 27 luglio 2002, ed infine che la trascrizione era stata effettuata il 6 agosto 2002; che in data 26 agosto 2002 la convenuta aveva accettato la donazione dell’immobile e il 9 settembre 2002 aveva trascritto la donazione medesima presso la Conservatoria dei registri immobiliari di Milano.
Premessa la descrizione di altre vicende non direttamente riguardanti l’odierno giudizio, ed all’esito della trattazione dei profili giuridici della legittimità della trascrizione postuma del matrimonio religioso e dell’istituto della accettazione della donazione, gli attori litisconsorti hanno convenuto in giudizio C.B. davanti a questo Tribunale per sentir dichiarare la nullità, l’inefficacia e l’inesistenza della trascrizione postuma del matrimonio, con i provvedimenti conseguenti in ordine alla successiva trascrizione presso lo stato civile, la nullità, l’invalidità e l’inefficacia assoluta della donazione dell’immobile sito in Milano alla Via Xxx con i conseguenti provvedimenti nei confronti del Conservatore dei registri immobiliari, infine per sentir condannare la convenuta al risarcimento dei danni subiti e subendi in conseguenza dell’utilizzo del cognome D. e dei diritti connessi allo status.
Si costituiva la convenuta contestando radicalmente
ogni avversa domanda all’esito di un’articolata ricostruzione delle vicende che avevano originato la controversia; la convenuta ha argomentato nel senso della validità della trascrizione del matrimonio e della donazione, ha contestato ogni pretesa risarcitoria formulata ex adverso, ed ha concluso per il rigetto di ogni domanda attorca.
All’udienza di prima comparizione del 13 febbraio 2003 il G.I. pro tempore ha disposto la richiesta di informazioni al comune di Milano in ordine alla trascrizione del matrimonio di cui è casa: sono state conseguentemente acquisite al fascicolo di ufficio le note dell’Ufficio dello Stato Civile del comune di Milano depositate il 17 marzo e 1117 aprile 2003.
All’udienza del 29 maggio 2003 sono comparse le parti personalmente ex art. 183 c.p.c.; quindi, acquisite le memorie istruttorie delle parti e la produzione documentale, con ordinanza riservata del 22/23 luglio 2003, il G.I. ha disposto in merito allo svolgimento delle prove orali hint et inde dedotte ed ha proceduto poi al conseguente espletamento.
A11’esito, essendo stato il G.I. assegnatario trasferito ad altro incarico, in accoglimento di “istanza urgente” della difesa degli attori, il Presidente della Sezione ha assegnato la causa a se stesso, ed ha quindi rimesso la causa al Collegio sulle conclusioni rassegnate dalle parti e riportate nei fogli allegati.
Il P.M. ha concluso per il rigetto dello domande attoree.
Motivi della decisione
(Omissis)
La fattispecie devoluta al giudizio del Tribunale risulta così compiutamente definita: ED. e C.B., conviventi da oltre venti anni, hanno contratto matrimonio religioso il 16 dicembre 1999 in Milano, e il matrimonio non è stato trascritto per espressa volontà del D. per ragioni dichiaratamente legate ai suoi rapporti con la famiglia di origine: unica volontà manifestata in vita del D. era che il matrimonio venisse trascritto soltanto dopo la sua morte.
L’ultima espressa manifestazione di tale volontà risale al periodo 4-12 giugno 2001, quando il D. ha sottoscritto una espressa dichiarazione in tal senso in un atto pubblico di donazione ed ha trasmesso al notaio di fiducia dott. B. la nomina di esecutore testamentario.
Null’altro fino al momento della morte, avvenuta un anno dopo, l’8 giugno 2002.
Subito dopo, in esecuzione di quella che appariva essere la volontà del D. e nel rigoroso rispetto dei requisiti di forma posti dalla legge, il matrimonio religioso è stato trascritto negli atti di stato civile del comune di Milano.
Il thema decidendum all’esame del Tribunale è la legittimità e l’ammissibilità di siffatta trascrizione post mortem; più in generale il Tribunale è chiamato a verificare se l’attuale ordinamento consente e dunque tutela la scelta di – un coniuge di differire alla fase successiva alla sua morte la trascrizione del proprio matrimonio religioso ovvero se – al fine della successiva trascrizione – attribuisca validità ed efficacia alla relativa manifestazione di volontà espressa in vita.
Non è controverso che la trascrizione post mortem fosse ammissibile nel regime del concordato del 1929, immesso nell’ordinamento italiano con la citata legge esecutiva 27 maggio 1929, n. 810: l’art. 14 della legge esecutiva stabiliva infatti che la trascrizione “può essere richiesta in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse”, lasciando “indeterminato l’arco di tempo per provvedere alla trascrizione (nonché) il legittimato a richiederla”. Proprio la genericità delle formule utilizzate, “in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse”, ha determinato la formazione di un indirizzo giurisprudenziale pressochè unanime nel ritenere che la trascrizione potesse essere effettuata anche post mortem da imo dei coniugi, costruito sul principio secondo cui la trascrizione è un effetto automatico della celebrazione del matrimonio canonico che pub dunque scaturite anche dopo la morte di uno dei coniugi (ex plurimis, Cass., 13 maggio 1957, n. 1681; Cass., 26 marzo 1974, n. 824; Cass., 29 settembre 1976, n. 3185).
L’intervento della Corte Costituzionale, che ha stabilito il principio che per la trascrizione occorre una nuova ed esplicita manifestazione di volontà (Corte Cost., 1 marzo 1971, n. 32) non ha spiegato avvertibili ricadute su tale univoco indirizzo ricostruttivo giurisprudenziale, restando la S. C. attestata sul principio che (la richiesta di) una trascrizione tardiva è in ogni caso possibile, anche post mortem, senza che sia nemmeno necessario che i coniugi manifestino un nuovo, formale ed aggiornato consenso (Cass., 26 settembre 1990, n. 6489).
E con il nuovo accordo concordatario del 18 febbraio 1984, immesso nell’ordinamento italiano con legge esecutiva 25 marzo 1985, n. 121, che si determina una radicale discontinuità rispetto a tale premesso ed univoco indirizzo ricostruttivo: l’art. 8 della legge di esecuzione introduce infatti un termine massimo di cinque giorni dalla celebrazione per la richiesta di trascrizione da parte del parroco (comma 4) e consente che “la trascrizione può essere effettuata anche posteriormente su richiesta dei due contraenti, o anche di uno di essi, con la conoscenza e senza l’opposizione dell’altro” (comma 6).
Un parere pro ventate acquisito in atti riassume icasticamente la nuova realtà normativa: “ponendosi fine ad una disputa che aveva diviso la scienza, fondamento giuridico della legittimità della trascrizione tardiva diviene oggi la manifestazione della volontà espressa dagli sposi … Il “chi” sia legittimato a chiedere la trascrizione è pertanto esplicitamente indicato: solo i contraenti o anche uno solo di essi con la conoscenza e senza l’opposizione dell’altro”.
La giurisprudenza ha preso atto della innovazione legislativa ed ha adeguato le sue statuizioni.
Anticipato da un obiter dictum pronunciato in sede di Sezione Unite (la nuova disciplina “consente la trascrizione tardiva ma non più quella post mortem”: Cass., sez. un., 31 gennaio 1992, n. 6845), il nuovo orientamento della S.C. viene congruamente formulato nella successiva sentenza del 24 marzo 1994, n. 2893: premesso il contenuto innovativo del cit. art. 8 1. 121/1985 rispetto alla premessa formulazione, la Cassazione rileva che, una volta superato il termine massimo di cinque giorni “senza la richiesta di trascrizione, il matrimonio non è più suscettibile di immediato e sicuro riconoscimento, ma occorrerà una più specifica valutazione sulla sua effettiva idoneità ad acquisire efficacia civile. E ciò soprattutto con riguardo all’esistenza della volontà delle parti in ordine a tale efficacia … Quello che veramente è essenziale per il conseguimento di tali effetti è la richiesta delle parti attestante una loro precisa ed attuale volontà indirizzata alla trascrizione civile, mentre vengono a perdere di significato e ad essere svuotati nella loro originaria funzione gli adempimenti compiuti precedentemente”. La conseguenza – esattamente in termini con il caso di specie – è che, a giudizio della S. C., la manifestazione di volontà espressa in vita da uno dei coniugi, anche se non più revocata, non integra la previsione del nuovo concordato, in quanto sono necessarie la conoscenza e la mancata opposizione al momento della richiesta di trascrizione, evidentemente insussistenti se il coniuge è deceduto.
La inammissibilità e dunque l’irrilevanza di un consenso “a futura memoria” costituisce ormai ius receptum: la S. C. ha infatti affermato la inammissibilità della richiesta di trascrizione di uno dei coniugi senza la concreta ed attuale espressione del consenso dell’altro (Cass., 6 febbraio 1997, n. 11129), specificando che l’adesione del coniuge così come imposta dal cit. art. 8 della I. 121/1985, non può ritenersi integrata “dalla dichiarazione, resa dai coniugi in occasione della celebrazione, di consentire la trascrizione” (Cass., 26 marzo 2001, n. 4359).
La giurisprudenza di merito edita è interamente rispettosa di tale univoco insegnamento, confermando espressamente che “il decesso di uno dei coniugi preclude all’altro la possibilità di ottenere la trascrizione tardiva, non potendosi ipotizzare né conoscenza né mancanza di opposizione in capo al coniuge deceduto” (Trib. Catania, 7 ottobre 1989, Giur. merito, 1990, 543; cfr. anche Trib. Verona, 14 marzo 1996, ibidem 1996, 995). La conclusione è che, come è stato riassunto in sede di commento, non possono “essere considerate espressive del pur tacito assenso preteso dalla legge vigente né le manifestazioni di volontà della trascrizione risalenti al solo momento della celebrazione né eventuali dichiarazioni (testamentarie o no) di conferma dell’originaria volontà degli effetti civili rilasciate dal de cuius precedentemente alla data di presentazione della tardiva richiesta di trascrizione da parte del coniuge superstite”.
Uniformandosi a tale consolidato insegnamento, prendendo atto della scelta inequivoca dei contraenti concordatari così come immessa nell’ordinamento dalla legge esecutiva, e facendo riferimento al quesito posto in esordio, ritiene pertanto il Tribunale che l’attuale ordinamento, così come univocamente interpretato in sede giurisprudenziale, non consente ad un coniuge di differire ad una fase successiva al suo decesso la trascrizione del matrimonio religioso: la trascrizione del matrimonio D.B., ancorchè formalmente corretta, deve intendersi pertanto nulla.
In senso contrario, è stato acquisito in atti un autorevole parere pro ventate, già richiamato, che svolge argomenti impegnativi e suggestivi, che non risultano però convincenti.
Da quanto sopra esposto in sede di elaborazione giurisprudenziale infatti, non appare fondato il rilievo secondo cui la casistica giurisprudenziale è “incentrata sulla assenza di adeguate forme relativamente alla espressione del consenso all’attribuzione di effetti civili al proprio matrimonio canonico da parte del coniuge poi deceduto”: in realtà la giurisprudenza si limita a richiamare il testo normativo, a rilevare che nella fattispecie della trascrizione tardiva è espressamente richiesto il consenso attuale di entrambi i coniugi, infine a prendere atto che nella trascrizione post mortem l’attualità del consenso è impossibile naturaliter, a nulla rilevando la forma, più o meno solenne, con la quale il consenso è stato manifestato in vita.
Sulla scorta di tali considerazioni, connesse in definitiva alla lettera della disciplina giuridica di riferimento, il Tribunale non ritiene di condividere un recente contributo dottrinale che, seguendo la medesima impostazione del parere in atti, richiamando la “conclamata rilevanza dell’elemento volontaristico nel nuovo accordo”, ed espressamente premettendo che “non si vede come e perché sia possibile negare che un soggetto possa, per motivi umani, morali od economici, prevedere in vita che il proprio matrimonio canonico possa essere trascritto anche dopo la propria morte”, rileva che, ove “la volontà di trascrivere sia stata chiaramente manifestata, l’eventuale morte di uno dei coniugi non solo non può impedire la trascrizione, ma addirittura rende irrevocabile la volontà del coniuge defunto … sarà compito della giurisprudenza (questa la conclusione) indagare nel caso singolo per rilevare di volta in volta quale sia stata l’effettiva volontà della parte defunta eventualmente contenuta in atti di varia natura”.
Ritiene il Tribunale che tale ricostruzione risenta in realtà di un (pre)giudizio di valore, neppure celato, che è quello di garantire l’efficacia di atti negoziali, oltre i limiti formali e temporali previsti in modo univoco dalla legge, che è invece ed evidentemente ispirata al principio opposto della certezza delle situazioni giuridiche realizzate e mantenute in vita. Si tratta in conclusione di una scelta legislativa, e prima ancora concordataria, che non sembra prestarsi ad equivoci, proprio perché discontinua rispetto alla legislazione precedente.
Allo stesso modo non sembra esserci materia per una interpretazione analogica, come prospettato nel parere in esame, ed anche dalla convenuta in sede di comparsa conclusionale, della L 1 aprile 1999, n. 91 in materia di donazione di organi, la quale stabilisce che, una volta manifestato il consenso, esso valga come tale, non richiedendo alcuna forma di renovatio, ferma comunque la possibilità per il donante di revocare la sua volontà: ed infatti in primo luogo in materia di trascrizione tardiva sussiste una disciplina normativa di riferimento espressamente improntata al criterio opposto di richiedere il consenso attuale, e dunque con la sanzione della inammissibilità del consenso, anche solenne, precedentemente manifestato (non sussiste pertanto alcuna lacuna dell’ordinamento a fondamento della dedotta analogia), ed inoltre la disciplina della donazione di organi – a differenza di quella riguardante in linea di principio la trascrizione del matrimonio – è intrinsecamente diretta proprio a disciplinare vicende successive alla morte (e dunque non sussiste neppure il requisito dell’eadem ratio).
In quanto espressamente vietata dalla legge, la trascrizione post mortem del matrimonio D.B. è nulla, e la nullità ben può essere fatta valere ex art. 1421 c.c. dagli eredi legittimi del de cuisis, a nulla rilevando la intangibilità della loro quota di due terzi di legittima: non appare infatti revocabile in dubbio l’interesse degli eredi – prossimi congiunti del D. – ad escludere comunque lo status di moglie legittima della B., nel quadro di una offensiva generalizzata in ordine a tutte le posizioni soggettive maturate dalla B. nei confronti del D., ivi compresa quella di erede testamentaria, e tenendo conto che la scelta della trascrizione post mortem è stata espressamente motivata in vita dal D. proprio con il richiamo ai rapporti familiari.
In senso contrario la convenuta, riprendendo integralmente in sede di comparsa conclusionale un’osservazione contenuta nel più volte citato parere pro ventate, sottopone al Tribunale il “seguente interrogativo: se nel caso di specie fosse morta la signora B., i suoi parenti non avrebbero potuto chiedere la trascrizione tardiva pur avendo un indubbio interesse ereditario” ed inferisce da ciò che neppure gli eredi del D., odierni attori, siano legittimati alla impugnazione della avvenuta trascrizione.
È palese che l’interrogativo è solo retorico, poiché – per quanto ampiamente esposto – gli eredi della B. non avrebbero in alcun modo potuto chiedere la trascrizione tardiva non essendo questa neppure nella titolarità della dante causa, mentre gli eredi D. sono legittimati a richiedere la declaratoria di nullità dell’avvenuta trascrizione – che è fattispecie opposta ed intrinsecamente diversa rispetto alla domanda di effettuare la trascrizione – con l’obiettivo di ottenere la cancellazione degli effetti civili di un vincolo maritale qualificante lo status del dante causa.
Dichiarata la nullità della trascrizione post mortem, segue ineludibilmente la nullità della donazione dell’immobile sito in Milano alla Via Xxx.
Ed infatti la donazione da parte di ED. a C.B., come ampiamente riferito, è stata formalmente sottoposta dal donante alla “seguente condizione: la donataria dovrà provvedere – prima di poter accettare la presente donazione – alla trascrizione nei registri dello stato civile del matrimonio canonico celebrato … in data 16 dicembre 1999”.
Si è già riferito della deposizione del notatio rogante dott. G.B. di Alessandria che ha riferito di aver personalmente raccolto le dichiarazioni del donante F.D. in ordine alla necessità della trascrizione post mortem del matrimonio, già avvenuto, al fine della validità dell’atto, e di aver conseguentemente inserito nel contratto la formula della condizione quale “veste giuridica appropriata”.
Dunque, si tratta di una donazione sottoposta a condizione – con ogni evidenza sospensiva in quanto riferita ad un avvenimento futuro cui è stata subordinata la validità (recte, l’efficacia, ex art. 1353 c.c.) dell’atto – in realtà impossibile in quanto l’evento era irrealizzabile originariamente per ragioni giuridiche (Cass., 16 luglio 1976, n. 2834): segue la nullità della donazione a norma dell’art. 1354, comma 2 c.c.
Singolarmente inoltre la stessa donazione contiene la seguente clausola: “3) Qualora la trascrizione non avvenga la presente donazione si intenderà come mai avvenuta”. E nel caso di specie l’odierna declaratoria di nullità, travolgendo radicalmente ed ab initio la trascrizione così come effettuata, configura una fattispecie assimilabile alla mancata trascrizione: anche per questa via non residua alcun margine per considerare verificata la condizione e validamente perfezionata la fattispecie della donazione.
Peraltro, come fondamento sul punto rileva la difesa degli attori, nel caso di specie sussiste l’ulteriore motivo di nullità posto dalla norma di cui all’art. 782, comma 2 c.c. secondo il quale il contratto di donazione si perfeziona soltanto nel momento in cui “l’atto di accettazione è notificato al donante”. Sul punto, costituisce principio giurisprudenziale acquisito che l’accadimento della morte del donante prima che l’accettazione sia giunta a sua conoscenza, comporta che il contratto non potrà perfezionarsi; e ciò in forza del principio generale secondo il quale ogni proposta di contratto cade con la morte del preponente: la sanzione della mancata tempestiva accettazione è la caducità della stessa dichiarazione di donazione, senza possibilità di sanatoria (Cass., 28′ novembre 2001, n. 15121, ma già Cass., 26 luglio 1967, n. 1973).
La nullità della donazione comporta evidentemente anche la nullità della successiva accettazione effettuata dalla B. al notaio B.
Entrambe le domande principali degli attori meritano in conclusione accoglimento con le conseguenti statuizioni in ordine alle annotazioni nei registri dello stato civile e nei registri immobiliari, subordinate al passaggio in giudicato della sentenza.
(Omissis)
Autore:
Tribunale Civile
Dossier:
Famiglia e Religione
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Matrimonio religioso, Coniugi, Decesso, Trascrizione posto mortem, Successione ereditaria
Natura:
Sentenza