Sentenza 26 settembre 1990
Tribunale Federale Svizzero
Sentenza del 26 settembre 1990 della I Corte di diritto pubblico nella causa Comune di Cadro c. Guido Bernasconi e Tribunale amministrativo del Cantone Ticino (ricorso di diritto pubblico)
FATTO
Il 19 settembre 1984 il Municipio di Cadro ha deciso di far appendere un crocifisso in ogni aula del nuovo complesso delle scuole elementari. Tale decisione è stata confermata il 30 settembre 1984, poiché un docente aveva tolto i crocifissi dalle aule prima dell’inizio delle lezioni.
Guido Bernasconi, insegnante presso le scuole di Cadro, una associazione e tre cittadini di Cadro – fra i quali un genitore di un allievo appartenente alla Chiesa evangelica riformata – sono insorti contro questa decisione al Consiglio di Stato del Cantone Ticino, prevalendosi della violazione dei principi della parità di trattamento (art. 4 Cost.), della libertà di credenza e coscienza (art. 49 Cost.) e della neutralità confessionale della scuola (art. 27 cpv. 3 Cost.). Con decisione del 10 dicembre 1985, il Consiglio di Stato ha dichiarato irricevibile per carenza di legittimazione il ricorso dell’associazione ed ha respinto nel merito gli altri ricorsi.
Insorto il 27 dicembre 1985 al Tribunale cantonale amministrativo del Cantone Ticino, Guido Bernasconi ha postulato l’annullamento delle decisioni del Consiglio di Stato e del Comune di Cadro. Con sentenza del 2 maggio 1986 il Tribunale ha accolto il ricorso.
Il 30 maggio 1986 il Comune di Cadro ha introdotto al Tribunale federale un ricorso di diritto pubblico fondato sulla violazione dell’autonomia comunale in relazione con gli art. 4 Cost., 27 cpv. 3 e 49 Cost., chiedendo che la sentenza del Tribunale cantonale amministrativo del 2 maggio 1986 sia annullata.
Dopo uno scambio di vedute il Tribunale federale ha trasmesso – conformemente all’art. 96 cpv. 1 OG – il ricorso al Consiglio federale che l’ha accolto con decisione del 29 giugno 1988.
Contro questa decisione Guido Bernasconi si è aggravato con ricorso 18 luglio 1988 all’Assemblea federale. Dopo un nuovo scambio di vedute – nel quale il Tribunale federale ha ribadito la competenza del Consiglio federale e dell’Assemblea federale – quest’ultima, aderendo al rapporto della commissione di Grazia, ha annullato la decisione del Consiglio federale per difetto di competenza e rimesso il caso al giudizio del Tribunale federale.
Con decreti del 14 febbraio e del 17 agosto 1990 le parti sono state invitate a completare gli atti concorsuali. Esse vi hanno rinunciato esplicitamente o implicitamente.
Considerando in diritto:
1.- La violazione dell’autonomia comunale, del principio di uguaglianza, della libertà di credenza e di coscienza può essere fatta valere mediante ricorso di diritto pubblico al Tribunale federale (art. 113 cpv. 1 n. 3 Cost. e 84 cpv. 1 OG). Per contro, i ricorsi fondati sull’art. 27 cpv. 3 Cost. – che sancisce la neutralità confessionale della scuola – sia che concernano una scuola primaria, sia un’altra scuola pubblica dei cantoni, vanno proposti al Consiglio federale con ricorso amministrativo (art. 73 cpv. 1 lett. a n. 2 PA; DTF 107 Ia 263, 102 Ia 203 consid. 1; AUER, La Juridiction constitutionnelle en Suisse, Basilea e Francoforte sul Meno 1983, n. 243, pag. 139 seg.; BORGHI, in Commentaire de la Constitution fédérale, n. 87 ad art. 27). Il Consiglio federale ha ammesso la propria competenza escludendo quella del Tribunale federale in base alla natura sussidiaria del ricorso di diritto pubblico (art. 84 cpv. 2 OG; DTF 102 Ia 203 consid. 1). L’Assemblea federale ha però annullato – dopo un nuovo scambio di vedute – tale decisione per difetto di competenza e rinviato il caso per giudizio al Tribunale federale.
Secondo l’art. 71 Cost. l’Assemblea federale è l’autorità suprema della Confederazione, riservati i diritti del popolo e dei Cantoni (sul tema: AUBERT, in Commentaire de la Constitution fédérale, n. 40 segg. ad art. 71). In base all’art. 85 n. 13 Cost. essa dirime i conflitti di competenza fra autorità federali. Nel caso concreto non è sorto un conflitto di competenza fra il Consiglio federale e il Tribunale federale; tale questione è stata infatti risolta mediante uno scambio di opinioni. La situazione è comunque analoga a quella prevista dall’art. 85 n. 13 Cost., pertanto il Tribunale federale deve piegarsi alla decisione dell’Assemblea federale pronunciandosi nel merito della vertenza.
2.- Il Municipio di Cadro ha introdotto il ricorso in nome del Comune, del quale è organo; come il Tribunale federale ha già constatato (DTF 103 Ia 472 consid. 1 e rinvii; Rep. 1986 pag. 226 consid. 2), tale competenza di rappresentanza gli spetta in vertenze di carattere amministrativo anche senza l’autorizzazione del Consiglio comunale (cfr. anche art. 13 lett. 1 della Legge organica comunale del 10 marzo 1987 e RATTI, Il Comune, Vol. I, pag. 150).
3.- Per costante giurisprudenza il Tribunale federale si pronuncia d’ufficio sulla ricevibilità del rimedio esperito senza essere vincolato né dalle conclusioni delle parti né dalle censure formali che esse hanno sollevato (DTF 114 Ia 462 consid. 1 con richiamo, 112 Ia 182 consid. 1).
a) I Comuni possiedono la legittimazione ricorsuale per impugnare decisioni o decreti che li toccano nella loro autonomia, quali detentori del pubblico potere (DTF 114 Ia 81 consid. 1a con richiami, 316 consid. 1a, 467 consid. 1a). Nel caso concreto l’autorità cantonale ha annullato la decisione con la quale il Municipio ha deciso di far appendere un crocifisso nelle aule scolastiche comunali. Tale decisione tocca il Comune in modo diretto nella sua qualità di detentore del pubblico potere. Sotto il profilo dell’art. 88 OG esso è quindi legittimato a sollevare una lesione della propria autonomia nell’ambito del ricorso di diritto pubblico: se questa autonomia sussista e sia stata disattesa è questione di merito, non di legittimazione (DTF 114 Ia 467 consid. 1a con richiamo, 113 Ia 333 consid. 1b; RDAT 1989 pag. 114 consid. 2a e richiami; Rep. 1986 pag. 227 consid. 4).
b) Prevalendosi della sua autonomia un Comune può fra l’altro esigere che le autorità cantonali di ricorso o di vigilanza osservino da un lato i limiti formali posti dalla legge e inoltre che esse applichino in modo corretto il diritto materiale determinante (DTF 114 Ia 82 consid. 2a e richiami). Il Comune può quindi invocare anche la violazione dell’art. 4 Cost. e dei diritti che ne derivano – quali il divieto dell’arbitrio, il principio della proporzionalità, quello d’uguaglianza o quello della buona fede – non però a titolo indipendente, ma solo in stretta connessione con quella della sua autonomia (DTF 115 Ia 46 consid. c e rinvii). Al Comune è pure concesso di addurre la trasgressione di altri diritti fondamentali, quali ad esempio le libertà individuali, sostenendo che il significato e la portata attribuiti in concreto pregiudica la sua autonomia (DTF 114 Ia 170, 113 Ia 333 seg., 103 Ia 196). Nel caso in discussione il Comune rimprovera alla Corte cantonale di aver attribuito agli art. 4, 27 cpv. 3 e 49 Cost. un significato e una portata incompatibili con la volontà del costituente federale. Tali censure – motivate conformemente ai requisiti posti dall’art. 90 cpv. 1 lett. b – sono pertanto, in principio, ammissibili.
c) Quando il ricorso con cui si invoca la violazione dell’autonomia comunale è fondato su norme di rango costituzionale, il Tribunale federale esamina liberamente la decisione impugnata, mentre restringe la sua competenza all’arbitrio per quelle di rango inferiore, l’apprezzamento delle prove e la constatazione dei fatti rilevanti (DTF 114 Ia 82 consid. 2 e richiami).
4.- Secondo la giurisprudenza un Comune è autonomo nelle materie che la legislazione cantonale non regola esaurientemente, ma lascia in tutto o in parte all’ordinamento del Comune, conferendogli una notevole libertà di decisione (DTF 115 Ia 44 consid. 3, 114 Ia 82 consid. 2a, 169/170). Poco importa che la materia in cui il Comune pretende d’essere autonomo sia regolata dal diritto federale, cantonale o comunale. Decisiva è la latitudine dell’autonomia assicurata a quest’ultimo, nella materia specifica, dalla costituzione o dalla legislazione cantonale (DTF 111 Ia 253 consid. 3a; RDAT 1989, pag. 75, consid. 2a).
a) La Costituzione ticinese del 4 luglio 1830 – riordinata il 29 ottobre 1967 – è silente circa la nozione e l’ambito dell’autonomia comunale. Essa regola unicamente, agli art. 50 e 51, le modalità di formazione e d’elezione dei Municipi e dei Consigli comunali e il diritto di iniziativa e di referendum nei Comuni in cui è istituito il Consiglio comunale (DTF 103 Ia 472 seg.; RDAT 1985 pag. 144 consid. 3; LEPORI, Diritto costituzionale ticinese, Bellinzona 1988, pag. 173; Progetto di revisione totale della Costituzione ticinese, edizione speciale RDAT 1986, pag. 87). L’art. 1 della legge organica comunale del 10 marzo 1987 definisce il Comune come una corporazione di diritto pubblico, con personalità giuridica e territorio proprio, autonoma nei limiti stabiliti dalla Costituzione e dalle leggi.
b) Il Tribunale federale ha già avuto modo di precisare che in materia scolastica (scuole elementari) le competenze comunali sono rette dalla legge della scuola del 29 maggio 1958 (LS; RDAT 1983 pag. 74, consid. 3). L’art. 1 LS sancisce che la scuola pubblica, la quale ha per scopo l’istruzione e l’educazione della gioventù, è ordinata, vigilata e diretta dallo Stato e dai Comuni nel rispetto della libertà di credenza e di coscienza. L’art. 3 invita i Comuni a collaborare alla direzione didattica dell’insegnamento di competenza del Consiglio di Stato e l’art. 4 istituisce la vigilanza del Dipartimento della pubblica educazione sulle autorità comunali nelle materie attinenti alla scuola. Secondo l’art. 7 cpv. 3 LS i Comuni partecipano alla vigilanza sulla scuola – prevista all’art. 1 – con i Municipi e le delegazioni scolastiche. In modo generale, i Comuni sono tenuti a cooperare efficacemente al buon andamento della scuola (art. 106 cpv. 1 LS). Da queste disposizioni si evince che i Comuni ticinesi godono, perlomeno in alcuni campi dell’istruzione pubblica, di una certa libertà di decisione e che agli stessi deve essere riconosciuta un’autonomia costituzionalmente protetta. Il Tribunale federale ha, ad esempio, riconosciuto l’autonomia del Comune ticinese in materia di nomina ed incarico di maestri delle scuole elementari (RDAT 1983, pag. 74 consid. 3; RATTI, op.cit., Vol. II, pag. 848; questione tuttavia lasciata indecisa in merito all’incarico di maestri nella sentenza pubblicata in RDAT 1985, pag. 114 e seg.). Se ne deduce che la legge della scuola non vieta ai Comuni di far appendere crocifissi nelle aule scolastiche e che, in questo campo, la loro autonomia non è limitata dalla legislazione cantonale.
5.- Occorre ora esaminare se l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche violi il principio della neutralità confessionale della scuola in relazione con la libertà di credenza e di coscienza e eventualmente, quello della parità di trattamento. Se ciò non fosse il caso, il ricorso di diritto pubblico dovrebbe essere accolto per violazione dell’autonomia comunale.
a) L’art. 49 cpv. 1 Cost. sancisce l’inviolabilità della libertà di credenza e di coscienza. Si tratta di un diritto inalienabile e imprescrittibile (DTF 104 Ia 176 in alto; RDAT 1987, pag. 53 consid. 3a), di cui sono titolari, in principio, solo le persone fisiche e, eccezionalmente, le persone giuridiche che perseguono, in base agli statuti, un fine religioso o ecclesiastico (DTF 97 I 120 consid. 3a). La libertà di credenza e di coscienza protegge i cittadini da ogni ingerenza dello Stato suscettibile di ostacolare le loro convinzioni religiose (BURCKHARDT, Kommentar zur Schweizerischen Bundesverfassung, 3a edizione, Berna 1931, pag. 442). È la libertà di credere, di non credere e di modificare in ogni tempo, in qualunque modo, le proprie convinzioni religiose (FAVRE, Droit constitutionnel suisse, 2 edizione, Friborgo 1970, pag. 280). La portata della libertà di credenza e di coscienza è precisata in primo luogo dai cpv. 2 a 6 dell’art. 49 Cost. Il cpv. 2 prevede che nessuno può essere costretto a prendere parte a un’associazione o a un’istruzione religiosa, a prestarsi a un atto religioso (DTF 101 Ia 397 consid. 3b). Il diritto di disporre, conformemente ai principi suesposti, dell’educazione religiosa dei fanciulli sino all’età di sedici anni, è conferito, secondo il cpv. 3, alla persona che è investita della “patria potestà” o della curatela; questo disposto è messo in esecuzione dall’art. 303 CC che, nel suo tenore del 25 giugno 1976 (RU 1977 pag. 250), prescrive che i genitori dispongono dell’educazione religiosa del figlio fino al compimento del sedicesimo anno, età a partire dalla quale egli decide liberamente della propria confessione religiosa (sul tema: HEGNAUER, Grundriss des Kindesrechts, 3a edizione, Berna 1989, pag. 174; TSCHÜMPERLIN, Die elterliche Gewalt in Bezug auf die Person des Kindes, tesi, Friborgo 1989, pag. 293 segg.).
b) Le garanzie offerte dalla libertà di credenza, di coscienza e di culto (art. 50 Cost.) corrispondono a quelle dell’art. 9 CEDU (DTF 114 Ia 132 consid. 2a). Questa disposizione, che si ispira direttamente dall’art. 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo proclamata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, riconosce infatti ad ogni persona il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo e quella di manifestarla individualmente o collettivamente, in pubblico e in privato (cfr. DR 22, pag. 45, n. 5; LANARÈS, La liberté religieuse et la Convention européenne des droits de l’homme, in Conscience et liberté 1971, pag. 48 segg.).
c) Mentre la Costituzione del 1848 garantiva la libertà di credenza unicamente alle due principali confessioni cristiane della Confederazione, in quella del 1874 è prevalsa la libertà di credenza senza alcuna distinzione fra confessioni (FAVRE, op.cit., pag. 274). Sono così protette tutte le convinzioni e concezioni spirituali o intellettuali attinenti ai rapporti fra l’essere umano e la divinità (HÄFELIN/HALLER, Schweizerisches Bundesstaatsrecht, 2a edizione, Zurigo 1988, pag. 369, n. 1196).
d) La libertà di credenza e di coscienza non esige la neutralità assoluta dello Stato in materia religiosa. Sostenere la tesi opposta significherebbe rimettere in questione l’attuale ordinamento dei rapporti fra Chiesa e Stato nei Cantoni. Infatti, la maggior parte delle Costituzioni cantonali riconosce alle confessioni maggioritarie la personalità giuridica di diritto pubblico (cfr. ad esempio art. 1 cpv. 2 della Costituzione ticinese). Ciò influisce, in particolare, sull’organizzazione delle collettività religiose locali e comporta, in generale, vantaggi fiscali o il versamento di contributi alle Chiese riconosciute per l’adempimento delle mansioni ordinarie. D’altra parte, il legislatore federale ha tenuto conto, proibendo il lavoro di domenica e attribuendo ai Cantoni la facoltà di parificarle otto giorni festivi all’anno, delle tradizioni religiose della maggioranza della popolazione (cfr. art. 18 cpv. 1 e 2 LL), anche se dall’art. 18 cpv. 3 LL, che tutela il diritto del lavoratore a far libero in giorni festivi confessionali diversi da quelli del Cantone, traspare una preoccupazione di neutralità. In quest’ambito non va dimenticata la celebrazione ufficiale del Digiuno federale, decretata, per ragioni religiose, dalla Dieta riunita a Lucerna il 1o agosto 1832 (SCHAUFELBERGER, Die Geschichte des eidgenössischen Bettages, tesi, Zurigo 1920, pag. 108 seg.). L’indifferenza dello Stato verso il fenomeno religioso è pure smentita da numerosi atti solenni, quali l’esortazione alla protezione divina con cui il Consiglio federale si rivolge ai Cantoni o le formule di giuramento che prestano in campo federale e cantonale – sia pur in modo facoltativo – le autorità, i funzionari e i testimoni. Infine, va ricordato che la Costituzione federale e quella di sei Cantoni a tradizione cattolica romana (Uri, Svitto, Obwaldo, Nidwaldo, Friborgo e Vallese) incomincia con un’invocazione a Dio onnipotente, mentre quella di tre Cantoni (Basilea-Campagna, Argovia e Giura) afferma la responsabilità del popolo davanti a Dio.
e) Alcune di queste istituzioni traggono origine dalla necessità di salvaguardare la pace confessionale. Le formule indicate richiamano invece la solennità degli atti ufficiali in base ad una radicata consuetudine e non sono decisive dal profilo dell’art. 49 Cost. In particolare, l’invocazione che figura nei preamboli costituzionali non ha alcun valore normativo e sia la Confederazione che i Cantoni rimangono Stati laici (AUBERT, op.cit., n. 6 al Preambolo; HÄFELIN/HALLER, op.cit., pag. 11, n. 28, Rapporto finale del gruppo di lavoro Wahlen per la preparazione di una revisione totale della Costituzione, 1973, pag. 62, KARLEN, Das Grundrecht der Religionsfreiheit in der Schweiz, tesi, Zurigo 1988, pag. 152). La laicità dello Stato è del resto sottolineata da alcuni disposti costituzionali, in particolare quelli relativi alla tenuta dei registri dello stato civile e ai luoghi di sepoltura (art. 53 Cost.), alla celebrazione del matrimonio (art. 54 cpv. 1 e 2 Cost.) e all’abolizione della giurisdizione ecclesiastica (art. 58 cpv. 2 Cost.; HÄFELIN/HALLER, op.cit., n. 1231 segg.). Queste disposizioni indicano essenzialmente che, per volontà del costituente, le Chiese non detengono alcun potere politico istituzionale.
In definitiva la laicità dello Stato si riassume in un obbligo di neutralità che gli impone di astenersi negli atti pubblici da qualsiasi considerazione confessionale suscettibile di compromettere la libertà dei cittadini in una società pluralista (KARLEN, op.cit., pag. 188; ERWIN FISCHER, in: Neue Juristische Wochenschrift, München und Frankfurt am Main, 27/1974, pag. 1185).
6.- La neutralità confessionale alla quale è tenuto lo Stato assume particolare rilievo nell’ambito della scuola pubblica, poiché l’insegnamento è obbligatorio per tutti, senza alcuna distinzione fra confessioni. In questo campo l’art. 27 cpv. 3 Cost. è il corollario della libertà di credenza e di coscienza (BORGHI, op.cit., n. 64 ad art. 27; RECHSTEINER, Die Volksschule im Bundesstaat, tesi, Zurigo 1978, pag. 391 e 655; KARLEN, op.cit., pag. 385; MARSCHALL, Das Prinzip der Konfessionslosigkeit der öffentlichen Schulen in der Bundesverfassung, tesi, Zurigo 1948, pag. 171). Tale disposizione ha quale scopo di garantire il rispetto della sensibilità degli individui con convinzioni diverse, evitando che gli stessi possano sentirsi degli estranei. Essa rafforza inoltre il diritto conferito ai genitori dagli art. 49 cpv. 3 e 303 CC (cfr. consid. 5a in fine e riferimenti dottrinali) e protegge da ogni influenza il diritto dei ragazzi di scegliere liberamente – al momento in cui compiono il sedicesimo anno di età – la confessione religiosa (art. 303 cpv. 3 CC).
a) Il principio della neutralità confessionale dell’insegnamento, sancito all’art. 27 cpv. 3 Cost., impone alle scuole pubbliche di accogliere gli aderenti di tutte le confessioni senza pregiudizio della loro libertà di credenza e coscienza. Il testo francese della Costituzione esprime questo concetto in modo ancora più marcato mediante l’espressione”… d’aucune façon…” (FLEINER/GIACOMETTI, Bundesstaatsrecht, Zurigo 1949, pag. 329). Tale disposizione prevede una protezione accresciuta dei diritti delle minoranze confessionali non riconosciute, come pure quelli delle persone professanti l’ateismo, l’agnosticismo o l’indifferenza in materia religiosa, salvo che motivi d’ordine o di interesse pubblico impongano l’adozione di misure restrittive (art. 49 cpv. 5 Cost. e 9 n. 2 CEDU), alle quali sono pure sottoposte le religioni tradizionalmente dominanti in Svizzera. Quest’ultime non potrebbero in ogni caso imporre all’autorità, in campo scolastico, comportamenti suscettibili di offendere la sensibilità religiosa di allievi e genitori dalle convinzioni diverse. È soprattutto attraverso la tolleranza che la libertà di credenza e di coscienza può essere garantita nella scuola (DTF 114 Ia 134; HÄFELIN/HALLER, op.cit., pag. 377; KARLEN, op.cit., pag. 149 e pag. 385 segg.; FAVRE, op.cit., pag. 300 seg.).
b) Secondo questi principi l’orientamento confessionale dell’insegnamento da parte dell’autorità o degli insegnanti – a favore di una o più religioni o contro le stesse – è proibito (BORGHI, op.cit., n. 68 e 69 ad art. 27; BURCKHARDT, op.cit., pag. 200). Ciò concerne esclusivamente l’orientamento sistematico dell’insegnamento, poiché è inevitabile che le convinzioni del docente esercitino una certa influenza in determinati campi dell’insegnamento (FAVRE, op.cit., pag. 300). In tal senso il parere del Dipartimento federale di giustizia e polizia, secondo il quale l’insegnamento può essere fondato su basi cristiane, nella misura in cui tale fondamento costituisca un semplice accenno ai valori della civiltà nella quale viviamo (cfr. GAAC 14/1940, n. 12). La neutralità confessionale della scuola pubblica non vieta nemmeno l’insegnamento facoltativo della religione impartito da ecclesiastici o laici o l’insegnamento ordinario di membri di una congregazione religiosa (BORGHI, op.cit., n. da 74 a 77 ad art. 27).
7.- La Corte cantonale ha ritenuto che l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche violerebbe l’art. 27 cpv. 3 Cost. Con questo atto il ricorrente avrebbe infatti esternato – senza alcuna giustificazione dal profilo dell’insegnamento – la propria preferenza per la religione dominante nel paese. I Giudici cantonali citano a questo proposito un parere di dottrina basato, in particolare, sulla sentenza del 17 luglio 1973 della Corte costituzionale della Repubblica federale di Germania che ha ritenuto contraria all’art. 4 della Legge fondamentale (GG) la presenza del crocifisso nell’aula di un tribunale (Entscheidungen des Bundesverfassungsgerichts, 35/1974, pag. 336 segg.).
a) È opportuno sottolineare che nel caso concreto l’esame del Tribunale federale è limitato, in virtù degli art. 88 e 90 OG, alla costituzionalità dell’esposizione del crocifisso in un’aula ove è dispensato l’insegnamento primario pubblico, frequentata da allievi che non hanno ancora raggiunto la maggiore età in materia religiosa (cfr. consid. 5a in fine e art. 49 cpv. 3 Cost. e 303 CC) e che possono quindi essere educati in confessioni diverse.
Il Tribunale federale non deve pertanto statuire sull’esposizione del crocifisso in altri luoghi pubblici, come le aule giudiziarie o quelle dove siedono gli organi esecutivi e legislativi.
b) Occorre quindi stabilire se l’esposizione nelle aule scolastiche del crocifisso – simbolo nella civiltà occidentale del cristianesimo – è conforme all’art. 27 cpv. 3 in relazione con l’art. 49 Cost. Secondo la recente dottrina tale atto sarebbe in contrasto con il divieto di identificare l’insegnamento con determinate confessioni religiose (BORGHI, op.cit., n. 78 ad art. 27; PLOTKE, Schweizerisches Schulrecht, pag. 164 n. 7.343; riservato su questo punto (KARLEN, op.cit., pag. 396 e seg. e in: Religiöse Symbole in öffentlichen Räumen, ZBl 90/1989, pag. 18).
Il fatto che l’autorità decida di far appendere il crocifisso nelle aule scolastiche può essere inteso come attaccamento alla tradizione e ai fondamenti cristiani della civiltà e cultura occidentale. Si potrebbe quindi ritenere che tale decisione – basata su motivi del tutto comprensibili – non viola il principio della neutralità confessionale dell’insegnamento: essa testimonierebbe unicamente una certa sensibilità dello Stato al fenomeno religioso e alla civiltà cristiana. Lo Stato garante della neutralità confessionale della scuola sancita dall’art. 27 cpv. 3 Cost., non può tuttavia prevalersi della facoltà di manifestare in ogni circostanza, nell’ambito dell’insegnamento, il proprio attaccamento ad una confessione. Esso deve evitare di identificarsi con una religione maggioritaria o minoritaria, pregiudicando così le convinzioni dei cittadini con confessioni diverse. È pertanto concepibile che chi frequenta la scuola pubblica veda nell’esposizione di tale simbolo la volontà di rifarsi a concezioni della religione cristiana in materia di insegnamento o quella di porre l’insegnamento sotto l’influsso di tale religione. Non è neppure escluso che alcune persone si sentano lese nelle loro convinzioni religiose dalla presenza costante nella scuola di un simbolo di una religione alla quale non appartengono. Ciò può avere conseguenze non indifferenti soprattutto sull’evoluzione spirituale degli allievi e sulle loro convinzioni religiose – che sono quelle dei genitori – e nelle quali sono educati contemporaneamente alla scuola, conseguenze che l’art. 27 cpv. 3 Cost. vuole proprio evitare. Da notare infine che queste considerazioni coincidono praticamente con quelle che hanno condotto la Corte costituzionale degli Stati Uniti d’America a dichiarare contraria alla libertà di credenza, garantita dal primo emendamento della Costituzione, l’esposizione della legge mosaica nelle aule scolastiche (Stone vs. Graham [per curiam], 449 US 39/1980; sull’argomento: AUER, The Supreme Law of the Land, Basilea e Francoforte sul Meno 1990, pag. 176 segg.).
c) Alla luce delle considerazioni che precedono si deve ammettere che l’esposizione del crocifisso nelle aule delle scuole elementari non adempie l’esigenza di neutralità prevista all’art. 27 cpv. 3 Cost. Di conseguenza è superfluo esaminare la questione sotto l’angolo dell’art. 4 Cost. Il giudizio sarebbe forse stato diverso ove si fosse trattato di statuire sulla presenza del crocifisso nei locali scolastici adibiti ad uso comune, come ad esempio l’atrio, i corridoi, il refettorio o, evidentemente, dove esistano, il locale destinato al culto o l’aula nella quale viene impartito l’insegnamento facoltativo della religione.
8.- Se ne deve concludere che la Corte cantonale ha correttamente interpretato la portata dell’art. 27 cpv. 3 in relazione con l’art. 49 Cost. senza violare, di riflesso, l’autonomia del Comune di Cadro, il cui ricorso di diritto pubblico deve essere respinto.
9.- Il Comune che, senza interessi pecuniari, ha agito nell’esercizio delle sue attribuzioni ufficiali, non può essere astretto al pagamento di spese giudiziarie (art. 156 cpv. 2 OG), mentre una corresponsione di ripetibili alla controparte, che non si è fatta assistere da un patrocinatore, non entra in linea di conto (DTF 110 Ia 6 consid. 6, 110 V 81 consid. 7).
Autore:
Tribunale Federale
Dossier:
Crocifisso
Nazione:
Svizzera
Parole chiave:
Laicità, Simboli religiosi, Crocifisso, Esposizione, Aule scolastiche, neutralità dello Stato
Natura:
Sentenza