Sentenza 26 marzo 2002
Tribunale ordinario di Roma – I Sezione Lavoro. Sentenza 26 marzo 2002.
(omissis)
Svolgimento del processo.
Con ricorso depositato il 1.7.97 Mascherini Sergio adiva il Pretore di Roma deducendo di aver lavorato alle dipendenze della società SITAR s.r.l., esercente l’albergo Siena, in qualità di “portiere unico” dal 5.9.91 al 21.4.97. Premesso di essere membro della Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno e pertanto tenuto all’osservanza del riposo dal tramonto del venerdì al tramonto del sabato, deduceva che, nel maggio ’95, la direzione dell’albergo modificava immotivatamente i turni di lavoro, assegnando al ricorrente quello del sabato e della domenica dalle 14 alle 21 e che, non essendo riuscito a trovare una sostituzione per il giorno di sabato 13 luglio ’96, lasciava scoperto il suddetto turno, ricevendo la sanzione del rimprovero scritto, peraltro senza l’adozione della procedura di cui all’art. 7 L.330/70. A seguito di tale episodio venivano nuovamente modificati i turni di lavoro dei tre addetti alla portineria con assegnazione al ricorrente del turno diurno a sabati alterni, nel quale egli riusciva comunque a farsi sostituire dai colleghi. Ma, in data 16.4.97, i turni venivano ancora modificati, con assegnazione al ricorrente di quello dalle 14 alle 21 di ogni sabato prima del tramonto, nessuna modifica era stata apportata dalla direzione, talché, a seguito della mancata presentazione al servizio del sabato 19.4.97, era stato licenziato senza preavviso con lettera del 21.4.97.
Deduceva pertanto la nullità del licenziamento in quanto discriminatorio con riferimento alla fede religiosa osservata dal lavoratore, al quale l’art. 17 della L. 516/88 attribuisce il diritto al godimento del riposo sabbatico, nonché la nullità del recesso per inosservanza dell’obbligo di preventiva contestazione ex art. 7 L. 300/70, ovvero per sproporzione fra infrazione e sanzione, chiedendo in via principale l’accertamento del diritto al risposo sabbatico e della nullità del licenziamento in quanto discriminatorio per motivi religiosi, con conseguente applicabilità dell’art. 18 L. 300/70 ed in via subordinata la decalatoria di illegittimità del recesso e l’emanazione dell’ordine di riassunzione o, in difetto, di corresponsione dell’indennità nella misura massima di sei mensilità ai sensi dell’art. 8 L. 604/64. In via ulteriormente gradata chiedeva la conversione del licenziamento in tronco in recesso per giustificato motivo soggettivo con conseguente condanna della società convenuta alla corresponsione dell’indennità sostitutiva di preavviso.
Si costituiva la società convenuta, resistendo al ricorso e chiedendone il rigetto. In particolare evidenziava che l’esigenza del riposo sabbatico era stata manifestata solo nel corso del rapporto e che la società aveva immediatamente comunicato che, in considerazione delle modeste dimensioni aziendali, tale esigenza non poteva essere agevolmente soddisfatta, anche se di fatto era stato trovato un accomodamento fra il ricorrente e gli altri due addetti al servizio di portineria, mentre, a decorrere dal 1996, i colleghi avevano manifestato di non essere più disponibili alle sostituzioni nei turni del ricorrente cadenti di sabato, ribadendo tale decisione nella primavera del 1997, talché il ricorrente, più volte invitato all’osservanza del turno assegnatogli, veniva licenziato a seguito dell’assenza dal turno del 16.4.97 non già per motivi religiosi, bensì per l’obiettiva impossibilità di prosecuzione del rapporto, in considerazione delle esigenze e della struttura organizzativa aziendale. Chiedeva pertanto il rigetto del ricorso.
Il Pretore, interrogate liberamente le parti, espletata la prova testimoniale e depositate le note autorizzate, decideva la causa dichiarando la nullità dell’impugnato licenziamento in quanto discriminatorio, ordinando la reintegra del lavoratore ex art. 18 L. 300/700, con conseguente condanna della società convenuta alla indennità ivi prevista pari a tutte le retribuzioni maturate dal licenziamento all’effettiva reintegra, oltre accessori di legge, ed affermando il diritto del ricorrente al godimento del riposo del sabato, con condanna della società convenuta al pagamento delle spese processuali.
Con ricorso depositato il 22.12.99 proponeva appello la società soccombente, deducendo in fatto l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie in merito alla riconducibilità del recesso ad esigenze organizzative aziendali attinenti all’osservanza dei turni di servizio, e, in diritto, l’insussistenza di ragioni discriminatorie e la legittimità di licenziamento, sorretto da valide motivazioni configuranti un giustificato motivo. Chiedeva, pertanto, in totale riforma della gravata sentenza, il rigetto delle domande avanzate dal ricorrente nel ricorso introduttivo di primo grado.
Si costituiva l’appellato, resistendo al gravame, del quale deduceva l’infondatezza, e chiedendo la integrale conferma della sentenza impugnata.
All’udienza del 21 marzo 2002 la causa veniva discussa e decisa come da dispositivo del quale era data lettura.
Motivi della decisione. – L’appello è infondato e pertanto deve trovare integrale rigetto.
L’art. 17 della L. 516/88 attribuisce agli appartenenti alle Chiese Cristiane Avventiste del Settimo Giorno il diritto ad osservare il riposo sabbatico biblico che va dal tramonto del sole del venerdì al tramonto del sabato, da esercitarsi “nel quadro della flessibilità dell’organizzazione del lavoro” e con previsione del recupero delle ore lavorative non prestate il sabato la domenica o in altri giorni lavorativi, senza diritto ad alcun compenso straordinario. Il capo di sentenza relativo all’affermazione di tale diritto soggettivo in capo al lavoratore ed alla sua comprimibilità solo in presenza di comprovate ed oggettive esigenze aziendali non è stato oggetto di impugnazione e comunque giova ribadire che tale diritto sussiste non solo per i lavoratori professanti il credo religioso avventista al momento dell’assunzione, ma anche per coloro che vi si convertono nel corso del rapporto di lavoro, talché appare del tutto irrilevante la circostanza che, al momento dell’assunzione del Mascherini, la società appellante non fosse a conoscenza della sua fede religiosa, risultando documentalmente comprovato (ed incontestato) che tale circostanza venne comunicata al datore di lavoro quantomeno con le lettere prodotte in atti inviate dallo stesso Mascherini a partire dal 22.5.95 e dalla Unione Italiana delle Chiese Cristiane Avventiste del Settimo Giorno per conto dello stesso (vd. docc. da 2 a 8 del fascicolo di parte ricorrente).
È inoltre dimostrato (e non forma oggetto dell’odierna impugnazione) che, dall’inizio del rapporto di lavoro (5.9.91) sino al maggio ’95, i turni di servizio adottati dalla società fra i medesimi dipendenti – rimasti invariati durante l’intero arco del rapporto – hanno sempre consentito al Mascherini di beneficiare del riposo sabbatico e che la modifica dei turni, con conseguente assegnazione al Mascherini di tutti i turni del sabato dalle 14 alle 21, è stata adottata per soddisfare le esigenze personali manifestate dai colleghi dell’odierno appellato. In particolare, come affermato dallo stesso Mascherini nel libero interrogatorio e confermato dalla deposizione del teste Claudio Chiacchera, nonché dalle risultanze di tutte le ulteriori deposizioni testimoniali acquisite, gli altri due portieri titolari (Chiacchera e Mirti) avevano manifestato l’esigenza di beneficiare, a settimane alterne, di un sabato ed una domenica consecutivi di riposo e la modificazione dei turni aziendali è stata finalizzata proprio a soddisfare tale esigenza. La stessa società appellante, nell’atto del gravame (vd. pagg. 5 e 6) ha ribadito che la modifica dei turni aziendali è stata dettata dall’esigenza degli altri due portieri di godere anch’essi, a settimane alterne, di un sabato pomeriggio ed una domenica liberi consecutivi, e ciò al fine di garantire una parità di trattamento dei propri dipendenti, ribadendo la legittimità del licenziamento intimato al Mascherini in quanto sorretto da un giustificato motivo consistente nell’impossibilità di usufruire di una prestazione parziale e limitata dello stesso tale da non armonizzarsi con l’attività dei colleghi.
Anche a prescindere dalla circostanza che le esigenze personali dei lavoratori di modica dei turni di servizio sono cosa ben diversa dalle oggettive e comprovate esigenze aziendali di cui all’art. 17 L. 516/88, deve rivelarsi come dall’espletata istruttoria è emerso che la società appellante, al fine dell’organizzazione dei turni di servizio in portineria, poteva disporre, oltre che dei tre portieri titolari (Mascherini, Mirti e Chiacchera), anche di altri due dipendenti che risultano essere stati stabilmente inseriti nei turni di servizio per coprire i turni non coperti dai portieri titolari o per sostituirli in caso di assenza (cfr. i turni di servizio prodotti in atti e le disposizioni rese dai testi Zangrilli, Comida e Chiacchera). Inoltre è documentalmente comprovato (vd. lettere inviate dal Mascherini alla SITAR in data 2.5.95, 22.5.95, 19.9.96) che il Mascherini aveva manifestato la più amplia disponibilità a recuperare le ore del riposo sabbatico non lavorate negli altri giorni della settimana, e ad osservare anche consecutivamente tutti i turni del sabato sera e della domenica, “sena chiedere alcun compenso straordinario” per “facilitare i colleghi che desiderano avere libero il fine settimana”. È pertanto evidente che, in considerazione del numero dei dipendenti di cui la società poteva avvalersi per l’organizzazione dei turni, dell’ampia disponibilità manifestata dall’appellato per il recupero delle ore di riposo sabbatico e dell’insussistenza di effettive ragioni organizzative al di fuori di richieste personali degli altri dipendenti, non è ravvisabile alcun giustificato motivo a fondamento dell’intimato recesso.
Tenuto conto che “i motivi del licenziamento risiedono nel…rifiuto di prestare servizio al sabato” (vd. lettera di licenziamento), che il lavoratore aveva ripetutamente evidenziato le motivazioni religiose poste a fondamento di tale rifiuto (vd. la già richiamata corrispondenza in atti), appaiono pienamente condivisibili le argomentazioni espresse dal Pretore in relazione alla natura discriminatoria del licenziamento. Invero i motivi del gravame sono tutti relativi alla sussistenza degli elementi presuntivi posti dal Pretore a fondamento dell’accertamento della natura discriminatoria del recesso, ed in particolare alle esigenze organizzative poste a fondamento della variazione dei turni, all’incomparabilità con l’organizzazione del lavoro dell’esercizio del diritto del lavoratore al riposo sabbatico ed alla ricorrenza di un giustificato motivo di recesso.
Ritenuti infondati tali motivi di appello, questo Collegio non può che confermare le consequenziali statuizioni sulla natura discriminatoria del licenziamento e sulla applicabilità della tutela di cui all’art. 18 L. 300/70, non oggetto di specifica impugnazione. Del resto la unanime giurisprudenza (peraltro richiamata dalla stessa società appellante) ritiene che costituisce discriminazione qualunque comportamento datoriale che incida sulle espressioni del credo religioso del lavoratore qualora si presenti contraddittorio, pretestuoso ovvero non giustificato da obiettive esigenze aziendali. Nel caso di specie la negazione del diritto del lavoratore all’osservanza del riposo sabbatico, espressamente indicata come motivo di recesso nella lettera di licenziamento agli atti, non appare fondata su alcuna obiettiva esigenza aziendale e ricorrono altresì ulteriori elementi, quali il godimento di tale diritto nel corso dei primi quattro anni del rapporto, la possibilità di utilizzo proficuo della prestazione del ricorrente su tutti gli altri turni settimanali con a sola esclusione di quelli ricompresso dal tramonto del venerdì al tramonto del sabato, la possibilità di inserire nella turnazione, quantomeno del sabato, altri due dipendenti oltre ai tre portieri, la disponibilità comunque manifestata dai colleghi del lavoratore ad effettuare sostituzioni, la corrispondenza intercorsa fra le parti proprio in merito all’esercizio del diritto al risposo sabbatico, ecc., che consentono di ritenere dimostrata l’ascrivibilità del recesso a motivi di credo religioso.
In conclusione l’appello deve trovare rigetto, con conseguente integrale conferma della gravata sentenza.
Per il principio della soccombenza la società appellante deve essere condannata al pagamento delle spese del presente grado del giudizio, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, rigetta l’appello e condanna la società appellante al pagamento delle spese processuali del grado, che liquida in complessivi EUR 1.500,00, di cui EUR 750,00 per onorari, EUR 600,00 per diritti ed EUR 150,00 per spese.
(omissis)
Autore:
Tribunale Civile
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Riposo sabbatico, Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno, Licenziamento discriminatorio. Motivi religiosi
Natura:
Sentenza