Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 19 Gennaio 2007

Sentenza 26 marzo 2001, n.4359

Corte di Cassazione. Seconda Sezione Civile. Sentenza 26 marzo 2001, n. 4359: “Matrimonio concordatario: la trascrizione tardiva di un matrimonio canonico può avvenire solo ove sia integrato il requisito della conoscenza della relativa istanza e della non opposizione alla medesima da parte dell’altro coniuge”.

LA Corte Suprema di Cassazione
Sezione Seconda Civile

Composta dagli Ill.mi Signori Magistrati:

Dott. Vincenzo CALFAPIETRA – Presidente
Dott. Olindo SCHETTINO – Consigliere
Dott. Lucio MAZZIOTTI CELSO – Relatore Consigliere
Dott. Francesco Paolo FIORE – Consigliere
Dott. Sergio DEL CORE – Consigliere –

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M.A., elettivamente domiciliata in Roma, Piazzale Clodio 12, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Agosta, che la difende, giusta delega in atti – ricorrente

contro

C.F., C.A.M. – intimati

avverso la sentenza n. 2201-99 della Corte d’Appello di Roma,depositata il 08-07-99;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18-12-00 dal Consigliere Dott. Lucio Mazziotti di Celso;
udito l’Avvocato Giuseppe Agosta, difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Massimo FEDELI che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con atto notificato in data 11-12-1988 C.A.M. e C.F. convenivano in giudizio M.A. per sentir dichiarare la loro qualità di uniche eredi del padre Giovanni con il quale la convenuta aveva contratto matrimonio canonico non trascritto.
Le attrici chiedevano altresì la condanna della M. al rilascio dell’appartamento sito in Roma alla via Dal Verme 49 – facente parte dell’asse relitto dal loro genitore – del quale la convenuta si era impossessata rifiutandone la restituzione.
La M. chiedeva il rigetto della domanda, previo accertamento della sua qualità di coniuge e, quindi, di coerede del defunto C.G..
Con sentenza 24-4-1993 l’adito tribunale di Roma dichiarava le attrici uniche eredi del loro genitore G.C. e condannava la convenuta al rilascio dell’indicato immobile.
Avverso la detta sentenza la M. proponeva appello al quale resisteva C.F., C.A.M. non si costituiva nel giudizio di secondo grado.
La corte di appello di Roma, con sentenza 8-7-1999, rigettava il gravame osservando: che l’appellante aveva prodotto verbale di deposito, a rogito del notaio Michele Giuliani, relativo ad una scrittura datata 7-12-1987 a firma di G.C. del seguente tenore letterale: “desidero che il matrimonio religioso con Adele sia trascritto al comune”; che la detta scrittura non poteva valere come testamento olografo (o di altro tipo) per l’inidoneità del suo contenuto che era privo di una qualunque disposizione di carattere patrimoniale in favore dell’appellante, tanto da non essere stato pubblicato dal notaio rogante che lo aveva ricevuto solo in deposito; che non era possibile la trascrizione del matrimonio a suo tempo celebrato dalla M. con il rito canonico (con la conseguente chiamata dell’appellante all’eredità in questione per vacazione di legge) potendo tale trascrizione essere effettuata, a norma dell’articolo 8 della legge 25-3-1985 n. 121 modificativa del Concordato Lateranense del 1929, anche posteriormente solo “su richiesta dei due contraenti, o anche di uno di essi, con la conoscenza e senza l’opposizione dell’altro”; che quindi, essendo necessario il consenso permanente di entrambi i coniugi sino alla presentazione della relativa istanza, non era consentita una preventiva adesione alla trascrizione del matrimonio con atto destinato ad operare successivamente; che nella specie l’adesione era stata data da C.G. con atto unilaterale da valere dopo la sua morte.
La cassazione della sentenza della corte di appello di Roma è stata chiesta da M.A.con ricorso affidato a due motivi.
F. ed A.M.C. non hanno svolto attività difensiva in sede di legittimità.

Diritto

Con il primo motivo di ricorso M.A. denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Deduce la ricorrente che alla corte di appello è sfuggito un elemento essenziale – pacifico e documentato – e, cioè, che il matrimonio contratto con il rito canonico tra essa M. e C.G. è stato trascritto dal comune di Roma al n. 558 p. II s. A dell’anno 1991. Pertanto la questione dell’idoneità o meno dell’atto (o testamento) redatto dal C. a consentire la trascrizione del matrimonio è superata dall’avvenuta trascrizione.
Detta questione, peraltro, non rientra nell’oggetto della causa che è relativo non all’accertamento del diritto di essa ricorrente alla trascrizione del matrimonio, bensì agli effetti di tale trascrizione sui rapporti ereditari tra le parti: la corte territoriale ha quindi omesso di pronunciarsi sull’oggetto del giudizio. Inoltre il giudice di secondo grado non ha considerato un altro elemento cardine ed essenziale della controversia, ossia la presenza di un testamento con il quale il C. aveva riconosciuto ad essa M. la qualità di erede e coniuge anche agli effetti civili. Pertanto, in presenza di una evidente dichiarazione di volontà sacralizzata in un testamento olografo, la corte di merito non poteva disconoscere i diritti patrimoniali e personali di essa ricorrente che, trovando la loro fonte in detto testamento, sono nati e si sono perfezionati nel momento del decesso del C.
Il motivo è infondato.

In linea preliminare deve rilevarsi che dalla lettura della sentenza di cui si chiede l’annullamento non risulta che la M. abbia dedotto e documentalmente provato che il matrimonio contratto con il rito canonico con C.G. sia stato trascritto dal comune di Roma. Di tale circostanza di fatto non si fa alcun riferimento nella decisione impugnata, nè risulta che sia stata richiamata dalla ricorrente negli scritti difensivi in primo o in secondo grado, tutti basati sul consenso alla trascrizione dato dal C. con la scrittura privata del 7-12-1987 di cui al verbale di deposito a rogito del notaio Michele Giuliani registrato il 6-6-1988.

In relazione a tale ultima tesi difensiva della M., la corte di appello si è correttamente uniformata alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in presenza della volontà di uno dei coniugi di ottenere la trascrizione di un matrimonio concordatario non trascritto, il requisito della “conoscenza” della relativa istanza e della “non opposizione” alla medesima da parte dell’altro coniuge – imposto dall’articolo 8 della legge 121 del 1985 – postula lo specifico riferimento all’istanza di siffatta forma di adesione, onde non può ritenersi integrato dalla dichiarazione, resa dagli sposi in occasione della celebrazione stessa, di consentire la trascrizione (sentenze 6-2-1997 n.1112; 24-3-1994 n. 2893). Ciò, ovviamente, è tanto più valido nell’ipotesi – che ricorre appunto nel caso di specie – di consenso alla trascrizione dato da uno dei coniugi con un atto destinato ad operare dopo la sua morte.
Con riferimento poi alle conseguenze ed agli effetti della dedotta avvenuta tardiva trascrizione del matrimonio in questione va osservato che, secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte (per tutte la sentenza pronunciata a sezioni unite 4-6-1992 n. 6845) e la maggioranza della dottrina, la trascrizione “post mortem” del matrimonio canonico non pregiudica i diritti successori personali e patrimoniali anteriormente acquisiti dagli eredi del coniuge defunto, avendo la trascrizione effetto retroattivo soltanto nei confronti dei coniugi, come risulta dalla chiara lettera del terzo comma dell’art. 14 della legge 27 maggio 1929 n. 847 per il quale: “qualora la trascrizione sia richiesta, trascorsi cinque giorni dalla celebrazione, essa non pregiudica i diritti legalmente acquisiti dai terzi”. Per la detta giurisprudenza “terzo”, è chiunque non sia parte di un determinato rapporto giuridico e poiché, per il citato art. 14, con riguardo agli effetti civili prodotti dalla trascrizione tardiva del matrimonio canonico, “terzo” è colui che a tale rapporto sia estraneo, rivestono detta qualità gli eredi, sia legittimi, sia testamentari, essendo soggetti diversi da quelli legati dal vincolo matrimoniale non ancora costituito per l’ordinamento giuridico positivo al momento dell’apertura della successione. Il fatto, poi, che l’erede sia il continuatore della personalità del defunto non giustifica la modifica della situazione giuridica già acquisita dallo stesso erede per effetto della successione, giacché, essendo stato il defunto sposato solo per l’ordinamento canonico ed essendo stato, quindi, in vita celibe per la legge dello Stato, deve escludersi che la posizione dell’erede, consolidatasi al momento del decesso del proprio dante causa, possa essere modificata da un evento successivo all’apertura della successione.

Per quanto riguarda poi il valore da attribuire alla citata scrittura privata a firma del defunto C., datata 7-12-1987 e di cui al verbale di deposito a rogito del notaio Michele Giordano, è sufficiente evidenziare che le censure al riguardo mosse dalla ricorrente si risolvono essenzialmente nella pretesa di contrastare il risultato dell’attività svolta dalla corte di appello in ordine all’interpretazione della scrittura privata in questione e del suo contenuto ed è noto che l’interpretazione degli atti negoziali si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice del merito e censurabile in sede di legittimità solo per il caso di insufficienza e contraddittorietà di motivazione tale da non consentire l’iter logico seguito per giungere alla decisione, ovvero per il caso di violazione delle regole ermeneutiche.

Nel caso in esame la corte di appello, con motivazione corretta e persuasiva, ha proceduto alla disamina puntuale e dettagliata del contenuto della scrittura in questione (riportandone il testo integrale) ed ha poi coerentemente affermato che all’atto non poteva attribuirsi il valore di un testamento in quanto privo dei necessari requisiti formali e sostanziali.
La corte territoriale è pervenuta alla detta conclusione attraverso argomentazioni complete ed appaganti, improntate a retti criteri logici e giuridici, dando conto delle sue valutazioni esponendo adeguatamente le ragioni del suo convincimento.

II procedimento logico – giuridico riportato nell’impugnata decisione è ineccepibile in quanto coerente e razionale ed il giudizio di fatto in cui si è concretizzato il risultato dell’interpretazione della scrittura in esame è fondato su un’indagine condotta nel rispetto dei comuni canoni di ermeneutica e che non hanno formato oggetto di specifiche censure da parte della ricorrente.
Alle dette valutazioni del giudice del merito la M. si è limitata a contrapporre le proprie, ma della maggiore o minore attendibilità di queste, rispetto a quelle compiute dal giudice del merito, non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, ciò comportando un nuovo autonomo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.
Con il secondo motivo di ricorso la M. denuncia violazione o falsa applicazione dell’articolo 540, secondo comma, c.c. sostenendo che in ogni caso il tribunale non avrebbe potuto ordinare ad essa ricorrente il rilascio dell’appartamento adibito a residenza familiare. La corte di merito, a sua volta, non avrebbe dovuto omettere ogni riferimento all’applicabilità di tale norma.

Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo.
Da un lato va ribadito che con il ricorso per cassazione non possono essere proposte censure rivolte direttamente alla sentenza di primo grado anziché contro quella di appello che costituisce l’unico oggetto del giudizio di legittimità. È pertanto inammissibile la doglianza mossa dalla M., con il motivo di ricorso in esame, relativa all’errore che il tribunale avrebbe commesso nell’ordinare il rilascio dell’appartamento adibito a residenza familiare.
Sotto un altro profilo è invece inammissibile la parte della censura concernente il vizio che sarebbe ravvisabile nella sentenza impugnata in quanto priva di qualsiasi riferimento all’applicabilità nel caso di specie delle disposizioni dettate dal secondo comma dell’articolo 540 c.c.. Di tale tesi difensiva – avente ad oggetto la problematica relativa al diritto di abitazione ex articolo 540 c.c. e la critica alla decisione di primo grado concernente il rilascio dell’appartamento adibito a residenza familiare – non si fa alcun cenno nell’impugnata sentenza e non risulta (nè è stato dedotto dalla ricorrente) che sia stata prospettata e dedotta in sede di merito e, in particolare, che abbia formato oggetto del giudizio di secondo grado in quanto rientrante tra le questioni in fatto e in diritto sollevate nei motivi di appello. Incombeva invece alla M., al fine di evitare una statuizione di inammissibilità della censura per novità della stessa, dedurre di avere prospettato le riferite questioni (precisando il relativo atto processuale contenente la detta tesi difensiva) onde dar modo alla corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito le questioni stesse.
La problematica esposta dal ricorrente con la censura in esame non è quindi proponibile in questa sede di legittimità perché introduce per la prima volta un autonomo e diverso sistema difensivo che postula indagini e valutazioni non compiute dal giudice di appello perché non richieste.

È infatti pacifico nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, statuizioni e problematiche che abbiano formato oggetto del giudizio di appello per cui non possono essere prospettate questioni nuove o nuovi temi di indagine involgenti accertamenti non compiuti perché non richiesti in sede di merito. Il giudizio di cassazione ha per oggetto la revisione della sentenza impugnata in relazione alla regolarità formale del processo ed agli aspetti in diritto segnalati e non sono proponibili temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di secondo grado ed involgenti accertamenti non compiuti in detto giudizio, tranne nell’ipotesi – che non ricorre nella specie – in cui si tratti di questioni rilevabili di ufficio (in ogni stato e grado del giudizio) fondate però sugli stessi elementi di fatto esposti e la cui soluzione non presupponga o non richieda nuovi accertamenti ed apprezzamenti di fatto (sentenze 15-4-1999 n. 3737; 5-10-1998 n. 9882).
Deve infine segnalarsi l’ininfluenza nella specie del richiamo al diritto di abitazione, espressamente riservato al coniuge superstite dalla nuova regolamentazione dell’istituto della famiglia (legge 19-5-1975 n. 151), perché – come questa Corte ha avuto modo di chiarire (sentenza 4-6-1992 n. 6845) – tale diritto è stato attribuito esclusivamente a colui che sia stato unito con il soggetto premorto da un vincolo matrimoniale agli effetti civili e non anche a chi abbia chiesto la trascrizione “post mortem” del matrimonio religioso.
Il ricorso va quindi rigettato senza necessità di provvedere in ordine alle spese del giudizio di legittimità nel quale le intimate non si sono costituite.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.