Sentenza 26 luglio 1995, n.190
T.A.R., Sentenza 26 luglio 1995, n. 190: “Retrocessione di locali annessi alle Chiese ex conventuali da destinarsi ad uso rettoria”.
Si veda: Consiglio di Stato, Sezione V, Sentenza 12 luglio 2004, n. 5059.
(omissis)
Diritto. – Il Parroco della chiesa di Sant’Antonio ha chiesto al Comune di M., ai sensi dell’art. 8 l. 848 del 1929, la retrocessione di congrui locali annessi alla chiesa da destinarsi ad uso rettoria per le opere di culto e di religione.
Il comune di M., ha deliberato nel senso “di ritenere la Chiesa di Sant’Antonio già in possesso di congrua parte dei locali dell’ex convento dei M.O.S.S.” riferendosi ai locali della Sacrestia e ai due locali adiacenti già in possesso della chiesa.
Il Parroco contesta il deliberato per violazione della legge 848/29 di attuazione del Concordato Stato-Chiesa del 1929 e della legge 222/85 di attuazione del Concordato del 1984.
La difesa del Comune di M. oppone la assoluta legittimità del suo operato e la congruità della parte di beni retrocessa.
La questione su cui è incentrata la controversia è, quindi, se sussiste o meno il diritto della Chiesa di sant’Antonio al rilascio di congrui locali oltre quelli già in suo possesso.
Va, a tal punto, accertato quale sia la finalità e la funzione del “rilascio di una congrua parte degli ex conventi da destinarsi a rettoria della chiesa annessa” di cui all’art. 8 l. 848/29.
E’ noto che la legge 27 maggio 1929 n. 848 di attuazione del Concordato Stato-Chiesa del 1929, intese eliminare alcuni effetti delle leggi eversive e riattribuire alle chiese che ottenevano il riconoscimento agli effetti civili, i fabbricati destinati al culto con le relative pertinenze e rettorie.
Le leggi eversive (R.D. 7 luglio 1866 n. 3036; l. 11 agosto 1870 n. 5784; l. 19 giugno 1873 n. 1402), avevano, infatti, disposta la soppressione degli ordini religiosi, delle corporazioni, delle congregazioni religiose regolari e secolari e il trasferimento allo Stato dei relativi beni.
Va, però, rammentato che erano stati esclusi dalla demanializzazione (art. 4 l. 5784/1870) gli edifizi a uso culto nonché quelli necessari ad uso d’uffizio delle rispettive amministrazioni o di abitazione dei rettori, coadiutori, cappellani, custodi ed inservienti delle chiese con limitazione alla parte strettamente necessaria, c.d. rettoria.
Per tali beni, era stata, infatti, mantenuta la destinazione al pubblico culto con assunzione delle relative spese o a carico dei Fondi (Fondo per il culto e Fondo per la città di Roma) costituiti proprietari o delle Province e Comuni ai quali era stata riconosciuta la possibilità di essere assegnatari dei beni ex conventuali e delle chiese.
Risulta, inoltre, da indagini storiche (cfr. Cons. St. Sez. I, parere 18 ottobre 1989 n. 1263) che in pratica, gli edifici di culto e le rettorie (cioè i beni di cui al citato art. 4 l. 5784/1870) furono lasciati in uso agli ecclesiastici che in quel momento erano addetti alla officiatura senza che la concessione in uso fosse formalizzata in appositi strumenti giuridici sicché, a seguito del Concordato, le chiese, divenute enti, continuarono a possedere i beni senza che la mutatio tituli possidendi venisse formalizzata.
In tale contesto storico va letta la normativa dettata dalla più volte citata l. 848/1929.
In particolare, all’art. 4 venne stabilito di attribuire personalità giuridica agli effetti civili agli istituti ecclesiastici e agli enti di culto (tutte le chiese aperte al pubblico); all’art. 6 venne disposta la consegna all’autorità ecclesiastica delle chiese senza indennità alcuna; all’art. 8 che i Comuni e le Province cui fossero stati assegnati i fabbricati dei conventi soppressi “ne rilasceranno in proprietà alle chiese annesse, una congrua parte, che non fosse stata già riservata all’atto della cessione o rilasciata posteriormente da destinarsi a rettoria della chiesa”.
Sulla base della ricostruzione storica nonché del dato letterale dell’art. 8 l. 848/29 (che non fosse stata già riservata all’atto della cessione o rilasciata posteriormente), va ritenuto che il rilascio di congrua parte dei fabbricati ex conventuali non dovesse operare indiscriminatamente o a richiesta dell’ente chiesa, ma solo quando la chiesa, al momento di acquisizione della personalità giuridica non fosse nel possesso della c.d. rettoria.
Ciò posto, per quanto attiene il caso di specie, va osservato che, l’ex convento dell’Ordine Minori Osservanti dello Spirito Santo e l’annessa chiesa di Sant’Antonio, con verbale del 21 aprile 1869 vennero ceduti, ai sensi dell’art. 20 l. 3036/1866, al Comune di M. che si assunse tutti gli oneri conseguenti.
Con d.P.R. 22 febbraio 1949 la chiesa di Sant’Antonio acquistò la personalità giuridica; da tale data la chiesa di Sant’Antonio risulta – poiché il fatto è incontestato – in possesso tanto dei locali della chiesa che della retrostante sacrestia e di altri due locali ad uso rettoria.
Appare, a tal punto verosimile ritenere che agli obblighi di cui al citato art. 8 l. 848/1929, il Comune di M. abbia già, a suo tempo, adempiuto e nulla, a tale titolo, possa oggi pretendersi.
D’altra parte, va osservato, che “la congrua parte… ad uso rettoria” va individuata nella sua consistenza con riguardo al momento storico in cui è sorto il diritto al rilascio e non è suscettibile di ampliamento nel tempo in ragione dell’accrescersi delle attività e iniziative perseguite dagli enti di culto.
Pertanto i locali in possesso della chiesa di Sant’Antonio, ritenuti, evidentemente “congrua parte” nel 1949 (data di acquisto della personalità giuridica), costituiscono, tutt’ora, la “congrua parte” di cui all’art. 8 legge 848/29.
Né a diversa interpretazione può pervenirsi sulla base della nuova normativa dettata dalla legge 20 maggio 1985 n. 222 di attuazione del Concordato Stato-Chiesa del 1984 che all’art. 73 ha stabilito che le “cessioni e ripartizioni, in quanto non ancora eseguite, continuano ad essere disciplinate dalle disposizioni vigenti”, poiché tale disposizione non fa che dare ultrattività alla disposizione del 1929 e in nulla la innova, essendo finalizzata più che al rilascio dei beni, inteso come passaggio del possesso (onere quasi completamente assolto), a favorire gli atti negoziali di cessione dei beni (atti raramente formalizzati).
Per mera completezza, va, ancora, osservato che il termine “rettoria” nell’art. 8 l. 848/1929, è usato nella sua accezione tecnica, la stessa usata nell’art. 4, l. 5784/1870 (atteso anche il rapporto di conseguenzialità tra le due leggi) e, quindi riferito ai locali necessari ad uso d’uffizio delle amministrazioni di culto o di abitazione dei rettori, coadiutori, cappellani, custodi ed inservienti delle chiese.
Ne consegue che “la congrua parte… ad uso rettoria” di cui all’art. 8 va identificata nei locali strettamente necessari per le funzioni propriamente amministrative di competenza delle chiese (attualmente, enti parrocchie) nonché nei locali per alloggio degli officianti e del personale in genere addetto alle attività della chiesa.
Tale, essendo il significato tecnico di rettoria, non può essere utilizzato per indicare ulteriori attività e iniziative delle parrocchie, che, pur connesse lato-sensu al concetto di culto, non rientrano nelle funzioni istituzionali dell’ente chiesa; il riferimento è ad iniziative associative pastorali, di animazione spirituale, di catechesi, di apostolato.
Con ciò non si intende sminuire iniziative collaterali a quelle del culto in senso stretto, meritevoli anche di maggiore apprezzamento dal punto di vista sociale, espressione di una nozione evolutiva del culto, ma solo affermarne la estraneità alla funzione essenziale della istituzione dell’ente chiesa e alle attività amministrative connesse sicché i locali necessari per alloggiare tali attività non rientrano nel concetto di locali ad uso rettoria.
Va, altresì, precisato che la individuazione della “congrua parte ad uso rettoria” prescinde da criteri spaziali di sviluppo della superficie complessiva dei fabbricati ex conventuali, del rapporto percentuale tra il tutto e la “congrua parte”, concetti del tutto estranei alla normativa a fondamento dell’istituto giuridico che individua la “congrua parte” solo in ragione della funzione cui è destinata.
Quanto sin qui esposto sulla legittimità della determinazione del comune di M. di respingere – in sostanza – la pretesa al rilascio di ulteriori locali del fabbricato conventuale, toglie pregio alla censura di difetto di motivazione, essendo stata indicata in maniera precisa la ragione della determinazione assunta.
Ugualmente non è ravvisabile nel comportamento del comune di M., violazione del principio del giusto procedimento di legge poiché, sia pure dopo sollecitazioni, il comune ha provveduto sulla istanza del parroco di Sant’Antonio.
D’altra parte difficoltà obiettive, evidenziate dallo stesso comune, giustificano il ritardo nella emanazione del provvedimento.
Quanto esposto conclude per la reiezione del ricorso.
Autore:
Tribunale Amministrativo
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Parrocchia, Destinazione, Uso, Finalità, Locali, Chiese ex conventuali, Retrocessione, Rettoria
Natura:
Sentenza