Sentenza 25 luglio 2018, n.19151/2018
Ragioni della decisione
2.1. Il motivo è infondato. Nella decisione impugnata si rileva (che) la volontà abortiva è desumibile dalle insistenti richieste della gestante, all'epoca trentaseienne, di effettuare una diagnosi prenatale, rifiutate dal medico curante a causa del cd. cerchiaggio praticato come terapia antiabortiva, e dalle statistiche sul ricorso a interruzione in caso di feti malformati che mostrano un'alta percentuale di richieste di interruzione della gravidanza in caso di preventiva conoscenza di malformazioni di tal tipo.
3.3. Nel caso specifico, pertanto, vale la considerazione che la «struttura a cerchi concentrici del danno psichico» diagnosticato in termini di danno biologico conseguente alla lesione subita fa ritenere la menomazione concretatasi in una patologia bio-psichica permanente, e specificamente diagnosticata come la forma più intensa di alterazione del normale equilibrio biologico e mentale, comprendendo al suo interno le forme più blande del danno esistenziale (v. Cass. 23778/2014; Sez. 3, Sentenza n. 13530 del 11/06/2009).
4.1. Il motivo è fondato nei limiti di seguito espressi.
4.2. In proposito, si osserva che il danno psichico è per sua natura soggettivo e può acquisire una diversa dimensione a seconda del soggetto su cui incide. In materia di rapporto di causalità nella responsabilità civile, in base ai principi tratti dagli artt. 40 e 41 cod. pen. generalmente validi di giudizio prognostico secondo il criterio del «più probabile che non» (causalità adeguata), qualora le condizioni ambientali o i fattori naturali che caratterizzano la realtà fisica su cui incide il comportamento imputabile all'uomo siano sufficienti a determinare l'evento di danno indipendentemente dal comportamento medesimo, l'autore dell'azione o della omissione resta sollevato, per intero, da ogni responsabilità dell'evento, non avendo posto in essere alcun antecedente dotato in concreto di efficienza causale; qualora, invece, quelle condizioni non possano dar luogo, senza l'apporto umano, all'evento di danno, l'autore del comportamento imputabile è responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo un criterio di normalità, non potendo, in tal caso, operarsi una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa, in quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile.
4.3. Ne consegue che, a fronte di una sia pur minima incertezza sulla rilevanza di un eventuale contributo «con-causale»di un fattore naturale (quale che esso sia), non è ammesso, sul piano giuridico, affidarsi a un ragionamento probatorio semplificato, tale da condurre ipso facto ad un frazionamento delle responsabilità in via equitativa, con relativo ridimensionamento del quantum risarcitorio. In tal modo «ai fini della configurabilità del nesso causale tra un fatto illecito ed un danno di natura psichica non è necessario che quest'ultimo si prospetti come conseguenza certa ed inequivoca dell'evento traumatico, ma è sufficiente che la derivazione causale del primo dal secondo possa affermarsi in base ad un criterio di elevata probabilità, e che non sia stato provato l'intervento di un fattore successivo tale da disconnettere la sequenza causale così accertata» (Sez. 3 – , Ordinanza n. 22801 del 29/09/2017; Sez. 3, Sentenza n. 13530 del 11/06/2009 ove, in applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, per avere quest'ultima condiviso le conclusioni di un c.t.u. medico-legale, il quale, considerando non sufficiente una valutazione probabilistica in termini pari al 70-80%, aveva escluso il nesso causale tra il reato di atti di libidine di cui era rimasta vittima una minore e l'esistenza di un danno psichico permanente, ritenendo plausibile un solo danno psichico transeunte).
4.4. In definitiva, ribaltando la prospettiva operata dalla Corte di merito, rileva sottolineare che la ricorrente è risultata menomata nella sua sfera psichica in ragione dell'evento lesivo riconducibile all'operato del medico e che, per più fattori non autonomamente concorrenti, tale lesione non le ha permesso di rielaborare psicologicamente il fallimento dato da una nascita indesiderata, di reggere la lunghezza e complessità di un accertamento giudiziale di un evento lesivo interferente nella sua vita personale di donna, moglie e madre, e di sopportare il peso di una vita sociale compressa e dedicata esclusivamente a una figlia diversamente abile che non sarà mai in grado di diventare autonoma. Lo stesso evento avrebbe potuto non incidere psichicamente su una persona con diverse storia e tenuta psichica, o incidere in misura minore. Quella accertata è pertanto la misura del (suo) danno alla persona eziologicamente collegato all'evento lesivo cui la Corte avrebbe dovuto attenersi, senza operare operazioni di scomposizione matematica in base alle diverse concause concomitanti o successive che lo hanno ipoteticamente determinato, che tuttavia non risultano avere avuto una incidenza autonoma e indipendente sul danno complessivamente ricevuto.
4.5. Per quanto riguarda la misura di invalidità temporanea non accolta, invece, risulta che la Corte ha rigettato la domanda per mancanza di specifica prova e, pertanto, tale giudizio è insindacabile sotto il profilo di violazione di legge dedotto.
4.6. Il motivo è pertanto fondato limitatamente alle ragioni di cui sopra.
5. Il terzo motivo attiene alla illogicità manifesta e carenza di motivazione sul danno patrimoniale riconosciuto.
5.1. Il motivo è fondato nei limiti di seguito esposti.
5.2. La Corte di merito ha suddiviso in tre parti il danno patrimoniale, calcolato in prospettiva delle spese da affrontare per le cure e il mantenimento della figlia diversamente abile e affetta da gravi patologie, senza darne una ragionevole e condivisibile motivazione, riconoscendone anche in tal caso solo la misura di 1/3. La scomposizione operata è priva di ogni logica perché si tratta di un danno patrimoniale riconducile alla nascita non voluta che vale nella sua entità oggettiva di doversi la madre occupare a vita di un soggetto diversamente abile e di doverne affrontare gli oneri economici prevedibili e conseguenti. Pertanto la riduzione sino a un terzo operata è prima illogica che immotivata.
5.3. Per quanto riguarda il danno per l'assistenza prestata alla figlia, indicato in Euro 5000 annui, occorre rilevare che la Corte lo ha considerato incluso nel danno patrimoniale, con giudizio equitativo insindacabile in tale sede.
5.4. La ricorrente infine deduce che non si sarebbe tenuto conto della perdita di capacità lavorativa generica accertata con CTU. Il motivo è infondato. In merito rileva la pronuncia della Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 20312 del 09/10/2015, laddove ha enunciato il principio secondo cui «il danno patrimoniale è risarcibile solo se sia riscontrabile la eliminazione o la riduzione della capacità del danneggiato di produrre reddito, mentre il danno da lesione della "cenestesi lavorativa", che consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell'attività lavorativa, non incidente neanche sotto il profilo delle opportunità sul reddito della persona offesa (cd. perdita di "chance"), si risolve in una compromissione biologica dell'essenza dell'individuo e va liquidato in via onnicomprensiva come danno alla salute, , potendo il giudice, che abbia adottato per la liquidazione il criterio equitativo del valore differenziato del punto di invalidità, anche ricorrere ad un appesantimento del valore monetario di ciascun punto, mentre non è consentito il ricorso al parametro del reddito percepito dal soggetto leso » (v. anche Sez. 3, Sentenza n. 5840 del 24/03/2004). Pertanto, in relazione alla perdita della capacità lavorativa generica tale danno è stato già valutato come danno biologico, oltretutto con un criterio di personalizzazione che permette di ritenere incluso anche questo aspetto.
6. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell' art. 342 cod. proc. civ. nella parte in cui la Corte d'appello ha ritenuto la mancanza di specificità dei motivi di appello attinenti alla pretesa incongruità delle somme liquidate dal tribunale, perché non accompagnati da specifiche critiche. Il motivo è inammissibile. La censura non critica motivatamente la sentenza d'inammissibilità resa sul punto e pertanto risulta non pertinente alla ratio decidendi, e dunque aspecifica ex art. 366 n. 4 cod. proc. civ. . In ogni caso la dedotta "incongruità" sarebbe censurabile in cassazione solo sotto il profilo di nullità ex art.360, n. 5 cod. proc. civ. (quale omissione di un fatto decisivo oggetto di discussione) o sotto il profilo del vizio di motivazione, in tal caso non ravvisabile (v. Cass 14477/2015 e Cass. sez III 19.4.2013, Cass. SSUU 14477/2015).
7. Infine, un'ulteriore parte del ricorso incidentale del medico curante, contro ricorrente, attiene alla violazione dell'art. 112 cod.proc.civ., degli art.1917 cod.civ. alla luce dell' art. 360 n.4 cod.proc.civ. ed è relativo alle spese di lite del medico sopportate nella fase di appello e nel giudizio di primo grado, non liquidate a carico della propria compagnia assicuratrice tenuta a manlevarlo. Il motivo è fondato. Risulta che le spese di giudizio sono state compensate tra le parti, senza avere tenuto però conto del rapporto interno di garanzia propria tra assicurazione e assicurato. Il motivo attinente al vizio di omessa pronuncia è pertanto fondato, poiché la Corte d'appello non si è pronunciata sulla domanda dell'assicurato di essere manlevato per le spese di lite sopportate in proprio.
8. Alla luce di quanto sopra, la Corte accoglie il ricorso principale in relazione al secondo e al terzo motivo per quanto di ragione; rigetta il primo motivo e dichiara inammissibile il quarto motivo; accoglie in parte il ricorso incidentale per quanto di ragione; per l'effetto, cassa la sentenza della Corte di appello di Ancona n. 33 del 14 gennaio 2016 e rinvia il procedimento alla Corte d'appello di Ancona, in diversa composizione, affinché decida sulla base dei principi sopra indicati, anche per le spese del giudizio.
II. Rigetta il primo motivo e dichiara inammissibile il quarto motivo del ricorso principale;
III. Accoglie in parte il ricorso incidentale, rigettandolo per il resto;
IV. Per l'effetto, cassa la sentenza della Corte d'appello di Ancona n. 33 del 14 gennaio 2016 e rinvia alla Corte d'appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio.
Autore:
Corte di Cassazione - Civile
Dossier:
Italia, Bioetica, Paesi Unione europea
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Onere della prova, Responsabilità medica, Danno morale, Risarcimento del danno, Danno esistenziale, Nascita indesiderata
Natura:
Sentenza