Sentenza 25 giugno 2007, n.4266
Corte d’Appello di Roma, Sezione I Penale. Sentenza 25 giugno 2007, n. 4266: “Radio Vaticana: emissioni di onde elettromagnetiche e reato di cui art. 674 c.p.”.
SEZIONE 1^ PENALE
Composta sai seguenti magistrati:
Dott. Vincenzo Roselli – Presidente
Dott. Laura Cerini – Consigliere
Dott. Raffaele Capozzi – Consigliere
Con l’intervento del sostituto P.G. Ha pronunciato la seguente
nel procedimento penale di 2° grado a carico di:
– T. R. (…), difeso dall’Avv. Eugenio Pacelli, via U. Boerio 59, Roma e dall’Avv. Marcello Melandri, via Giulio Cesare 6, Roma
– B. P. (…), difeso da Franco Coppi, Via Bruno Buozzi 3, Roma e dall’Avv. Marcello Melandri, via Giulio Cesare 6, Roma
Imputati del reato p.e.p. dall’art. 110 e 647 c.p., in quanto in concorso tra loro, nella loro qualità di responsabili della gestione e del funzionamento di Radio Vaticana, diffondevano tramite gli impianti siti in Santa Maria di Galeria, radiazioni elettromagnetiche atte ad offendere o molestare persone residenti nelle aree circostanti, ed in particolare a Cesano di Roma, arrecando alle stesse disagio, disturbo, fastidio e turbamento.
– CITTADINANZA ATTIVA ONLUS, Parte civile (omissis)
– CODACONS COO.ASS. PER TUTELA AMBIENTE, Parte civile (omissis)
– COORDINAMENTO COMITATI DI ROMA NORD, Parte civile (omissis)
– VAS VERDI AMBIENTE E SOCIETA’, Parte civile (omissis)
– LEGAMBIENTE ONLUS, Parte civile (omissis)
(omissis)
appellanti avverso la sentenza del Tribunale monocratico di Roma del 9 maggio 2005, che così statuiva:
“visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara T.R. e B.P. responsabili del reato loro ascritto, il primo imputato fino alla data del 31.12.2000, e concesse agli imputati le attenuanti generiche li condanna alla pena di giorni dieci di arresto ciascuno più spese. Risarcimento dammi alle PPCC come di seguito liquidate:” (omissis)
– Conclusioni del Procuratore Generale: non doversi procedere per prescrizione, ritenuto il reato consumanto entro l’aprile 2002;
– Conclusioni delle Parti civili: come da rispettive conclusioni scritte, con rifusione delle spese come da specifiche in atti;
– Conclusioni della difesa: tutti i difensori insistono per l’accoglimento dei rispettivi motivi di appello
Con sentenza in data 9-5-2005 del Tribunale di Roma in composizione monocratica T. R. e B. P. venivano condannati, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, ciascuno alta pena di giorni 10 di arresto, col beneficio della sospensione condizionale, nonché al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, e alla rifusione delle spese in favore delle parti civili in epigrafe specificate, in quanto colpevoli, il T. fino al 31-1-2000, del reato previsto dall’art. 674 c. p. per avere in concorso tra loro, nella loro qualità di responsabili della gestione e del funzionamento della RADIO VATICANA, diffuso tramite gli impianti siti in Santa Maria di Galena radiazioni elettromagnetiche atte ad offendere o molestare persone residenti nelle aree circostanti, ed in particolare a Cesareo di Roma, arrecando alle stesse disagio, disturbo, fastidio e turbamento; reato permanente, accertato dal luglio 1999. Dopo un’ampia disamina della pronunce della Cassazione intervenute sulla configurabilità del reato in questione nell’ipotesi in cui la molestia sia provocata, come nel caso di specie, dall’emissione di onde elettromagnetiche, il Tribunale riteneva di aderire all’insegnamento prevalente della sussumibilità del fenomeno di propagazione di energia elettromagnetica nella fattispecie prevista dalla prima parte dell’art. 674 c.p., in primo luogo per l`ampiezza e la genericità del termine “cose” utilizzato dal legislatore nella prima parte dell’articolo, a differenza dei termini specifici ( gas, vapori, fumi) utilizzati invece nella seconda paste della norma; e in secondo luogo per la disposizione dell’art. 624 co. 2 c.p., che espressamente stabilisce che agli effetti della legge penale si considera cosa mobile anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico.
Del resto – osservava il primo giudice – l’energia nella tradizionale distinzione dei beni operata dalla dottrina civilistica rientra già nella categoria concettuale de11e cose mobili corporali poiché è suscettibile di utilizzazione e di misurazione, e quindi non appariva neppure necessaria l’opera di “smaterializzazione” della nozione di “cosa”. richiamata dalla Cassazione nella sentenza Pagano del 12-3-2002.
E poiché il verbo “gettare” è anche sinonimo di “mandar fuori, emettere”, era agevole il suo collegamento anche all’emissione di onde elettromagnetiche; era dunque possibile, utilizzando una interpretazione estensiva che attribuiva alle parole un significato pia ampio di quello apparentemente avuto, ricomprendere il fenomeno della propagazione delle onde elettromagnetiche nell’ambito di operatività dell’art. 674 c.p.
Ciò posto il Tribunale rilevava che dall’ampia istruttoria esperita era risultata provata – più che l’astratta attitudine a molestare persone attraverso la propagazione delle onde elettromagnetiche da parte degli impianti di Radio Vaticana – la sussistenza di rilevanti molestie in concreto arrecate alle persone residenti nella zona circostante in modo permanente dal 1999, a prescindere dal superamento dei limiti nelle emissioni elettromagnetiche, molestie consistite in disturbi nella ricezione di programmi televisivi e nel funzionamento di citofoni e di apparecchi telefonici, nonché di video registratori ed impianti stereo, il cui uso era spesso interrotto o disturbato da continue interferenze delle trasmissioni di Radio Vaticana.
Oltre a ciò – motivava il Tribunale – non era revocabile in dubbio l’ulteriore molestia arrecata dalle emissioni di onde elettromagnetiche provenienti da Radio Vaticana, consistente nella generalizzata preoccupazione e nell’allarme sorti nella popolazione in ordine ai possibili effetti nocivi derivanti dalla esposizione alle onde elettromagnetiche;
timori non infondati, tant’é che lo stesso legislatore aveva ritenuto di adottare la Legge 22-2-2001, n. 36 sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici.
ll Tribunale esaminava poi i rapporti tra la norma di cui all’art. 674 c.p. e la disposizione di cui all’art. 15 della legge 36/2001, concludendo per l’esclusione del principio di specialità non solo perché si tratta di norme che tutelano beni giuridici diversi, ma soprattutto perchè le due norme presuppongono il verificarsi di eventi diversi; d’altra parte secondo il primo giudice per la configurabilità del reato non era necessario il superamento dei limiti, giacche l’inciso “nei casi non consentiti dalla legge” era contenuto nella seconda parte dell’art. 674 c.p. e non poteva che riferirsi alle sole emissioni di gas, vapori e fumo di cui alla norma stessa.
In ogni caso secondo il Tribunale dall’istruttoria era emerso che i valori di emissione delle onde elettromagnetiche da parte di Radio Vaticana dal 1999 al 2002 erano superiori ai limiti di legge fissati dal D.M. 381 del 1998; e per il periodo successivo al 2002 non rilevava i’eventuale superamento dei limiti, in quanto era stata provata la sussistenza di rilevanti molestie.
Quanto all’elemento psicologico, il tribunale riteneva sussistente in capo agli imputati la colpa, giacchè fin dal 1987 — come risultava da una lettera proveniente da un Ente religioso collegato alla Santa Sede – si era posto il problema dei possibili effetti nocivi delle irradiazioni provenienti dagli impianti di Radio Vaticana, e la sussistenza delle molestie era stata portata all’attenzione delle pubbliche autorità e contestata alla stessa Emittente.
Avverso la sentenza proponevano ritualmente appello entrambi gli imputati, il T. tramite i difensori avvocati Pacelli e Melandri, e il B. tramite i difensori Coppi e Melandri, con atti separati ma di contenuto identico, deducendo i seguenti motivi:
I) nullità della sentenza per mancata notifica del decreto di citazione al difensore del B., avvocato Gambino, la cui nomina non poteva ritenersi limitata alla sola fase del ricorso per Cassazione così come ritenuto dal primo giudice, che aveva rigettato la relativa eccezione formulata dall’avv. Melandri;
2) assoluzione perché il fatto non è preveduto dalla legge come reato: l’ambito di operatività dell’art. 674 c.p. poteva essere ampliato fino a farvi ricomprendere l’inquinamento elettromagnetico non gia in virtù di una interpretazione estensiva della norma, ma soltanto attraverso un’applicazione analogica della legge, non consentita in campo penale; invero se l’applicazione della norna può avvenire, come spiegato dalla Cassazione nella sentenza Pagano, solo a seguito di una “smaterializzazione” della condotta tipica (gettare cose) prevista dal legislatore conte condotta materiale, era evidente che non si era più nell’ambito dell’interpretazione estensiva ma si era passati in quello dell’interpretazione analogica.
Né il problema poteva superarsi col richiama dell’art. 624 co. 2 c.p, secondo cui “agli effetti della legge penale si considera cosa mobile anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia valore economico”: a prescindere dal pur lecito interrogativo sul valore economico dell’energia elettromagnetica e dall’opinione di chi ritiene che l’equiparazione valga soltanto nel campo dei reati contro ii patrimonio, vi erano tuttavia proposizioni normative nelle quali la parola cosa, interpretata nel contesto della disposizione e secondo la sua connessione con altre parole, non poteva che esprimere il significato di oggetto materiale o, meglio ancora,solido, come ad esempio nell’au 675 c.p.: solo queste cose infatti possono essere sospese e possono cadere in quei luoghi specificamente indicati da detto articolo.
Anche nell’art. 674 c.p., ove è impiegato lo stesso termine “cosa”, il luogo del getto o del versamento (luogo di pubblico transito o lungo privato ma di comune o altrui uso) richiama ancora una volta la natura della cosa che può essere gettata o versata, e porta a concludere che la norma in questione possa riguardare unicamente cose materiali solide o liquide; il concetto di cosa materiale può certamente essere celeste, ma sicuramente non possono in esso essere ricomprese le onde elettromagnetiche, non riconducibili al significato proprio dell’espressione “gettare cose” interpretata secondo i criteri dettati dall’aut. 12 delle disposizioni sulla legge in generale;
3) assoluzione perché il fatto non costituisce reato: a seguito dell’introduzione nell’ordinamento della legge 36/2001 non può considerarsi consumato il reato quando siano stati rispettati, come nella specie, i limiti fissati dalla legge; l’art. 15 della citata legge afferma “salvo che il fatto costituisca reato, chiunque….superi i limiti di esposizione e i valori di attenzione di cui ai decreti… è punito con la sanzione amministrativa….”; se l’art. 674 c.p. si dovesse ritenere applicabile tanto nel caso in cui i limiti siano superati quanto nel caso in cui essi siano stati invece osservati, non vi sarebbe stato bisogno di ricorrere alla clausola di salvaguardia, che fa esclusivo rifctimento al superamento dei limiti; né potrebbe replicarsi che il caso in esame dovrebbe essere ricondotto nella prima parte dell’art. 674 c.p., che pone un divieto assoluto di porre in essere condotte generatrici di molestie, indipendentemente dal fatto che esse si attuino con modalità rientranti nelle misure di tutela dettate dalla legge: infatti è proprio l’introduzione della legge speciale che, fissando limiti, equipara le due ipotesi previste dall’art. 674 c.p.;
4) assoluzione perché il fatto non sussiste:innanzitutto la sentenza non aveva risolto il problema delle responsabilità “soggettive” degli imputati, che avrebbero dovuto essere assolti per non aver commesso il fatto, non essendo stato provato che il Direttore Generale di Radio Vaticana o il Presidente del comitato di Gestione avessero il potere di decidere se effettuare o meno e con quale intensità certe trasmissioni; in secondo luogo nella specie, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice che aveva effettuato una lettura parziale delle risultanze istruttorie, non erano stati superati i limiti di legge, sicché non poteva configurarsi la violazione dell’art. 674 c.p.;
5) assoluzione perche comunque le emissioni delle antenne di Radio Vaticana non avevano causato “molestie o disturbi”:il primo giudice aveva evidenziato le deposizioni testimoniali favorevoli all’ipatesi accusatoria, ignorando però le risultanze favorevoli alla difesa come ad esempio la Consulenza richiesta dal Comando Regione Carabinieri Lazio dei 2001 la quale afferma: “l’analisi delle misurazioni effettuate evidenzia che sia nei locali interni sia all’esterno non esiste alcuna zona in cui tali limiti siano superati, anche in condizioni di forte impegno degli impianti, almeno per la finestra temporale osservata nella presente indagine. Per quel che riguarda il valore di cautela di cui all’art. 4 del Dl 381/98, tale valore non è tarai stato superato nelle misure all’interno dell’edificio”.
Gli imputati dovevano dunque essere assolti porche il fatto non sussiste, o comunque per non aver commesso il fatto, con conseguente eliminazione della condanna al risarcimento dei danni.
All’esito del giudizio di secondo grado, conclusosi all’odierna udienza in cui le parti hanno concluso come in epigrafe trascritto, osserva la Corte quanta segue.
La prescrizione del reato, già intervenuta quantomeno nei confronti del T. la cui responsabilità é stata ritenuta fino al 31/12/2000, non esime dall’esaminare la fondatezza dell’accusa, ai fini dell’eventuale conferma delle statuizioni civili della sentenza ai sensi dell’art. 578 c.p.p.
Ciò premesso, va innanzitutto rigettata l’eccepita nullità della sentenza di cui al primo motivo d’appello: risulta invero dagli atti che il B. era difeso dagli avvocati Naecili e Melandri, e che la nomina dell’avv. Gambino effettuata dall’imputato il 20/3/2003 e depositata il 1/4/2003 era riferibile unicamente al giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, sicchè correttamente al predetto avvocato cassazionista non fu notificato il decreto di citazione nel successivo giudizio di rinvio dope l’annullamento da parte della Suprema Corte. La specificità di detta procura conferita all’avv. Gambino è del resto confermata dal fatto che dopo la rimessione degli atti al Tribunale il B. il
22/10/2003 presentò una produzione documentale a firma degli avvocati Pacelli e Melandri, che si qualificarono suoi difensori; giustamente dunque all’udienza del 23/10/2003 il Tribunale ha rigettato l’eccezione formulata dall’avv. Melandri.
Per quanto riguarda il merita, ritiene la Corte fondato e assorbente il secondo motiva d’appello, non apparendo giuridicamente corretto sussumere la fattispecie delta produzione di campi elettromagnetici nella previsione di cui alla prima parte dell’art. 674 c.p. È ben consapevole la Corte che il fenomeno dell’inquinamento elettromagnetico al giorno d’oggi ha assunto un rilievo sempre più crescente, alla stregua del numero sempre più ampio di impianti e di apparecchiature che sviluppano campi elettromagnetici e della crescente attenzione al riguardo dell’opinione pubblica e degli studi scientifici.
Ma la consapevolezza del problema e il pur lodevole intento di ovviarvi trovando una soluzione giuridicamente valida non può condurre ad una forzatura nell’interpretazione della norma: all’arretratezza della normativa in materia non può e non deve supplire il giudice, bensì il legislatore, non spettando al primo alcun ruolo di supplenza nei confronti dell’inerzia del secondo.
Ciò non implica del resto una mancanza di protezione nei confronti dei cittadini giacchè, mancando disposizioni che configurino illeciti di natura penale riferiti espressamente alla propagazione delle onde elettromagnetiche, gli strumenti di tutela a fronte dal rapido incremento delle fonti inquinanti sono stati individuati in sede civile, per lo più attraversa la proposizione di ricorsi cautelari in via d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p, c., o in sede amministrativa; e d’altra parte non è qui in questione la problematica afferente le conseguenze dannose provocate dalle onde elettromagnetiche, giacchè con riferimento ai superiori valori della salute anche nel caso delle onde elettromagnetiche è ben possibile la tutela penale (e infatti nei confronti degli imputati pende altro procedimento penale), qualora si configuri il reato di lesioni o altro reato a forma c.d. libera, in cui cioè non rileva in che modo venga realizzato l’evento.
Quello che la Corte non condivide è la configurabilità nel fenomeno dell’inquinantento elettromagnetico dei reato di cui all’art. 674 c.p., così come ritenuto, nel meritevole sforzo di dare tutela a situazioni socio-economiche nuove, dal prevalente orientamento della Cassazione. Non sembra invero alla Corte che si sia in presenza di una interpretazione adeguatrice del dettato letterale normativo, bensì di una estensione dello stesso a fattispecie diverse, e ciò non può accettarsi per il principio di legalità, così come già rilevato nella sentenza Suraci del 27 febbraio 2002.
Con tale sentenza la Cassazione ha decisamente escluso che la condotta di chi genera campi elettromagnetici possa ricondursi alla contravvenzione di cui all’art. 674 c.p., in quanto ha osservato che questa norma descrive due ipotesi di comportamento materiale che differiscono in maniera sostanziale da quello consistente nell’emissione di onde elettromagnetiche; il gettare delle cose presuppone la preesistenza di dette cose in natura, mentre l’emissione di onde elettromagnetiche consiste nel generare flussi di onde che prima dell’azione generatrice non esistevano. L’assimilabilità delle onde elettromagnetiche al concetto di cosa non può poi, secondo la sentenza Suraci, essere automatica, ma richiede necessariamente un’esplicita previsione normativa, come è avvenuto con la disposizione dell’art. 624 c.p. in caso di furto. Anche la seconda ipotesi di comportamento materiale contemplata dall’art. 674 c.p., e cioè l’emissione di gas, vapori o fumi, non potrebbe in alcun modo essere equiparata al fenomeno dell’emissione delle onde elettromagnetiche.
Un’interpretazione estensiva in malam partem della norma incriminatrice, ha concluso la sentenza Suraci, è poi vietata dal principio di stretta legalità, delineato nel nostro ordinamento giuridico dall’art. 25 Cast., dall’art 1 c.p. e dall’art. 14 disposizioni sulla legge in generale.
Orbene, anche se tale sentenza è stata disattesa da successive pronunce della Cassazione, ritiene la Corte che essa sia corretta, mentre non appare condivisibile i1 ragionamento seguito dall’orientamento prevalente della giurisprudenza.
Invero, se è indiscutibile che — come si legge nella sentenza Cappellieri del 14 ottobre 1999, le cui argomentazioni sono state sostanzialmente recepite dalle sentenze successive, di contenuto “tralatizio” — l’intenzione dei legislatore di cui all’art. 12 delle disposizioni sulla legge va intesa come volontà della legge obiettivamente considerata, poiché l’art. 14 delle disposizioni medesime statuisce che le leggi penali “non si applicane oltre i casi e i tempi in esse considerati” è compito dell’interprete accertare se la “volontà” che si pretende di attribuire alla norma sia interna o esterna alla stessa, ovvero accertare se tale volontà possa ricavarsi dalla norma stessa, pur dando al testo un significato più ampio di quello che apparentemente risulta da essa (interpretazione estensiva) oppure debba e ssere mutuata da una norma diversa o anche dai principi generali dell’ordinamento giuridico (interpetazione analogica).
Pur avendo presente la problematica della distinzione tra interpretazione estensiva ed analogia, l’orientamento giurisprudenziale qui disatteso non sembra aver tratto conclusioni in linea con la premessa; invero è pacifico che l’interpretazione estensiva richiede che il caso non espressamente previsto sia uguale a quello disciplinato e possa quindi considerarsi implicitamente contenuto nella norma; in altri termini essa ricorre quando l’ambito di applicazione di una norma penale per necessità logica, (e non già per similitudine di rapporti, che determina il ricorso all’analogia) viene esteso ad un caso che, non essendo ivi previsto, si dove ritenere compreso nella norma stessa, risalendo all’intenzione del legislatore (Cass. 10/81 1990n. 113 80).
L’interpretazione estensiva si limita dunque ad esplicitare il contenuto della norma, senza nulla aggiungere alla portata della medesima; con l’interpretazione estensiva si può dilatare il contenuto della proposizione linguistica, ma non si possono superare i limiti della proposizione linguistica. Altra cosa è l’analogia, tant’è che neppure è corretto parlare di interpretazione analogica di una norma, trattandosi in realtà di applicazione analogica di una norma.
Ciò precisato, tenendo presenti tali principi, la soluzione del problema appare agevole, sulla scorta dell’analisi semantica della disposizione in esame e, condotta alta stregua delle preleggi. Sotto il profilo oggettivo gli elementi costitutivi detta contravvenzione in parola sono rappresentati, in quanto qui interessa, dal gettare o versare, nei luoghi specificamente indicati dalla norma, rispettivamente “cose” solide o liquide, oppure nel provocare emissioni di gas, di vapori o di fumo, atte a offendere o imbrattare o molestare persone. Innanzitutto sembra opportuno rilevare che l’art. 674 c.p. configura una norma penale mista, in quanto prevede congiuntamente più tipologie fattuali. Peraltro nella prima ipotesi (getto o versamento di cose) l’alternativa tra il gettare e il versare è meramente modale, mentre tra la prima e la seconda ipotesi (provocare nei casi non consentiti emissioni di gas, vapori e fumi) c’è incompatibilità logica.
Orbene, essendo le onde elettromagnetiche una forma di energia e ammettendo che abbiano un valore economico, ad un primo approccio appare suggestivo l’orientamento prevalente in quanta difficilmente si potrebbe negare la loro qualità di “cose mobili” agli effetti delta legge penale, come stabilisce in generale l’art. 624 co. 2 c.p., e dunque anche agli effetti dell’art, 674 c.p.. Resterebbe però da giustificare perché, ai fini della tutela dell’incolumità pubblica considerata dalla contravvenzione in esame, debbano rilevare soltanto le energie aventi valore economico, e non qualsiasi energia atta a molestare persone; rilievo questo che farebbe propendere a ritenere l’equiparazione voluta dal legisiatore valida solo nei reati contro il patrimonio, o comunque in tutti quei reati in cui l’equiparazione tra energie e cose ha come ratio la tutela della sottrazione o della dispersione dell’energia.
Pur a prescindere da ciò, la validità dell’equiparazione legislativa rispetto alla norma in esame va però verificata ulteriormente. Infatti, da un esame comparativo delle due ipotesi di “getto pericoloso” risulta: che le espressioni usate per descrivere la prima condotte (gettare o versare) evocano, da un punto di vista linguistico, le sole cose dotate di materialità e quindi sostanze solide – polveri comprese – o liquide; che in relazione alla seconda condotta (provocare emissioni) ci si trova di fronte ad una tassativa specificazione della natura delle sostanze, statuendosi espressamente che deve trattarsi di gas, vapori o fumi.
Orbene, è proprio la tassativìtà della seconda ipotesi che induce a riflettere: invero da una parte, se il termine non dovesse essere inteso per la sua genericità in senso ampio così come sostenuto dal Tribunale, non si comprenderebbe perché il legislatore abbia sentito l’esigenza di formulare l’espressa previsione delle emissioni di gas, vapori o fumi, sostanze tutte sussumibili nell’ampio significato dei termine “cosa dall’altra parte, poiché le onde elettromagnetiche non vengono gettate né versate, ma si generano o si producono o si emettono o si diffondono o si propagano, è innegabile che da un punto di vista logico la loro naturale collocazione sarebbe stata nell’ambito della seconda ipotesi di getto pericoloso di cose. E’evidente che non essendo ciò possibile per la tassatività della previsione legislativa, si è cercato di ricondurre il fenomeno dell’emissione di onde elettromagnetiche nella prima parte dell’art. 674 c.p., giovandosi della genericità nella lingua italiana del termine cosa.
Ma ad avviso della Corte ciò e stato fatto avvalendosi di un’applicazione non corretta dell’art, 12 delle preleggi; tale norma stabilisce che nell’applicare la legge non si può alla stessa attribuire altro senso che quello fatto palese “dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse”. Ciò significa, all’evidenza, che tra i vari significati normalmente propri delle singole parole usate dal legislatore (basta consultare qualsiasi dizionario per constatare che nessun termine della lingua italiana ha un solo significato) va scelto quello che si accorda col significato delle altre parole che precedono e seguono quella da interpretare. Così, se è vero che il verbo “gettare” di per sè è anche sinonimo di “mandar fuori, emettere”, l’espressione “gettare un grido” sarà correttamente intesa nel senso di “emettere un grido”; viceversa l’espressione “gettare un piatto” non può significare “emettere” un piatto.
In altri termini sembra alla Corte che l’orientamento giurisprudenziale favorevole alla configurabilità della contravvenzione in esame nel caso di emissione di onde elettromagnetiche sia giunto a tale conclusione interpretando singolarmente le parole utilizzate nella norma, e non secondo la loro connessione.
Per di più anche il luogo del getto (di pubblico transito o luogo privato ma di comune o altrui uso) concorre nella fattispecie a circoscrivere la natura delle cose che possono essere gettate, escludendo che in essa possano essere ricomprese anche le onde elettromagnetiche, che per la loro essenza si disperdono in tutte le direzioni nell’atmosfera.
II vuoto di tutela e il giustificato e crescente allarme sociale non possono legittimare interpretazioni asseritamente evolutive, ma in contrasto con i principi giuridici. In conclusione ritiene la Corte che ci si trovi di fronte ad una lacuna legislativa, che non può essere colmata con una interpretazione analogica, rectius con una applicazione analogica quale sarebbe quella volta ad affermare la riconducibiliti dell’inquinamento elettromagnetico nel paradigma punitivo dell’art. 674 c.p.: anche a voler dilatare al massimo l’estensione del concetto di cosa ricomprendendovi anche le onde elettromagnetiche, resta il fatto che esse non sono elementi di immediata percezione e suscettibili di essere gettati o versati in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso; donde l’impossibilità, senza violare il principio costituzionale di legalità (art. 25 co. 2 Cost., art. 1 c.p.), di estendere agli stessi la portata della norma incriminatrice.
Entrambi gli imputati vanno pertanto assolti dall’addebito loro ascritto perché il fatto non è previsto dalla legge come reato: e in tal sense va riformata l’impugnata sentenza,
Visto l’art. 605 c.p.p.
In riforma della sentenza del Tribunale di Roma in data 9/5/2005 appellata da T. R. e B. P., assolve i predetti dall’imputazione loro ascritta perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Indica in giorni trenta il termine per il deposito della motivazione.
Roma, 4/6/2007
Autore:
Corte d'Appello - Penale
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Radio, Danni, Antenne, Inquinamento elettromagnetico, Radiazioni elettromagnetiche, Energia elettromagnetica, Onde radio, Effetti nocivi, Emittente radio
Natura:
Sentenza