Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 19 Gennaio 2007

Sentenza 25 giugno 2003, n.10055

Corte di Cassazione. Prima Sezione Civile. Sentenza 25 giugno 2003, n. 10055: “Matrimonio concordatario: Il passaggio in giudicato della sentenza di delibazione della pronuncia ecclesiastica di nullità fa cessare la materia del contendere di un giudizio di divorzio”.

LA Corte Suprema di Cassazione
Sezione Prima Civile

Composta dagli Ill.mi Signori Magistrati:

Dott. Antonio SAGGIO – Presidente
Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI – Relatore Consigliere
Dott. Mario ADAMO – Consigliere
Dott. Giuseppe MARZIALE – Consigliere
Dott. Salvatore DI PALMA – Consigliere –

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA APPIA NUOVA 196, presso l’avvocato LUCIA CECCHI AGLIETTI, rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI MUGHINI, giusta procura a margine del ricorso – ricorrente

contro

L.P.U., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BALDO DEGLI UBALDI 66, presso l’avvocato VINCENZO RINALDI, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso – controricorrente

avverso la sentenza n. 2738-00 della Corte d’Appello di ROMA depositata il 23-08-00;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24-03-2003 dal Consigliere Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI;
udito per il ricorrente, l’Avvocato MUGHINI, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito per il resistente, l’Avvocato RINALDI, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Raffaele PALMIERI che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con sentenza del 12 luglio 1996 – 29 settembre 1997 il Tribunale di Roma, adito da A.C. con ricorso depositato il 23 ottobre 1993, dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto il 16 agosto 1950 con U.L.P. e determinava in L. 600.000 mensili, rivalutabili, l’assegno divorzile.
Il L.P. proponeva impugnazione dinanzi alla Corte di Appello di Roma, deducendo che con sentenza del 17 ottobre 1995 – 8 gennaio 1996, passata in giudicato, la medesima Corte di Appello aveva delibato la sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio e conseguentemente chiedendo che si dichiarasse l’inefficacia della sentenza di divorzio appellata e si revocassero le relative statuizioni di ordine economico.
Con sentenza del 12 luglio – 23 agosto 2000 la Corte territoriale dichiarava cessata la materia del contendere e revocava ogni statuizione della sentenza impugnata.
Osservava in motivazione detta Corte che il riconoscimento di efficacia in Italia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio con sentenza passata in giudicato in data precedente alla pronuncia di divorzio appellata comportava che quest’ultima dovesse considerarsi inutiliter data, avendo dichiarato la cessazione degli effetti civili di un vincolo non più esistente nel nostro ordinamento.

Nè ad avviso della Corte poteva pervenirsi a diversa soluzione accedendo al recente orientamento giurisprudenziale secondo il quale ai sensi dell’art. 8 n. 2 dell’Accordo di revisione del Concordato, concluso il 18 febbraio 1984 e ratificato con legge 25 marzo 1985 n. 121, sarebbe venuta meno la riserva di giurisdizione dei tribunali ecclesiastici, con conseguente riconoscimento della concorrente giurisdizione del giudice italiano a pronunciare, sia in via principale che incidentale, sulla validità del vincolo, atteso che comunque il conflitto tra giurisdizioni andava risolto secondo il criterio della prevenzione e che nella specie non solo il giudizio canonico di nullità era stato definito prima della proposizione della domanda di divorzio, ma lo stesso procedimento di delibazione era stato introdotto anteriormente alla proposizione di detta domanda.
Osservava infine non potersi attribuirsi all’avvenuta adesione del L.P. alla domanda di divorzio nel giudizio di primo grado effetto preclusivo dell’impugnazione, tenuto conto che l’intervenuta pronuncia di delibazione spiegava effetto paralizzante di detto giudizio, con deducibilità in ogni stato e grado.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la C. deducendo un unico motivo. Il L.P. ha resistito con controricorso illustrato con memoria.

Diritto

Con l’unico motivo di ricorso, denunciando violazione della legge n. 121 del 1985 e difetto di motivazione, si deduce che il giudice di appello avrebbe dovuto dichiarare che la sentenza di delibazione della pronuncia del tribunale ecclesiastico, in quanto intervenuta nelle more del giudizio di divorzio, non spiegava effetto preclusivo in ordine alla dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio, atteso che la proposizione di una domanda di divorzio comporta, nel mutato quadro normativo di cui all’Accordo di revisione del Concordato del 1984, la devoluzione al giudice civile, sia pure in via incidentale, della questione della validità del vincolo, e quindi impedisce alla delibazione di determinare la cessazione della materia del contendere in detto giudizio. Si precisa al riguardo che il giudizio civile può essere paralizzato soltanto dalla sentenza di delibazione, e non dalla pendenza del processo canonico, e che nella specie al momento della proposizione della domanda di divorzio detta delibazione non era intervenuta.

Il motivo è infondato. Come ricordato nella esposizione in fatto che precede, la decisione impugnata ha fondato la propria statuizione di cessazione della materia dei contendere sul decisivo rilievo che il passaggio in giudicato della sentenza di riconoscimento di efficacia della pronuncia ecclesiastica di nullità del matrimonio, determinando il venir meno anche nel nostro ordinamento del vincolo coniugale, valeva a travolgere ogni ulteriore controversia che trovasse nell’esistenza e nella validità del matrimonio il proprio presupposto.
La sentenza stessa ha altresì rilevato che, pur volendosi seguire l’orientamento espresso nella sentenza di questa Suprema Corte n. 3345 del 1997, ai sensi del quale, a seguito del venir meno della esclusività della giurisdizione dei tribunali ecclesiastici sulle cause di nullità dei matrimoni concordatari, il giudice del divorzio resta investito, sia pure incidenter tantum, della questione della validità del vincolo, nella specie il criterio della prevenzione – mediante il quale secondo l’insegnamento della nota sentenza a Sezioni Unite n. 1824 del 1983 il concorso delle giurisdizioni deve trovare composizione – operava comunque in favore della giurisdizione ecclesiastica.
Infondatamente il ricorrente oppone a tali argomentazioni, richiamando ancora alcuni passaggi motivazionali della citata sentenza n. 3345 del 1997, che l’avvenuta devoluzione alla giurisdizione civile della questione della validità del matrimonio, sia pure in via meramente incidentale, impedisce alla delibazione della sentenza ecclesiastica di determinare la cessazione della materia del contendere nel processo di divorzio. Va al riguardo innanzi tutto osservato che il principio enunciato in detta sentenza espressamente presuppone che il criterio della prevenzione operi in favore della giurisdizione civile, e tale favore è stato correttamente escluso nella specie, atteso che non solo il giudizio canonico era stato definito prima della introduzione della domanda di divorzio, ma che lo stesso procedimento diretto al riconoscimento della sentenza ecclesiastica era stato introdotto prima della proposizione della domanda di cessazione degli effetti civili.

Appare inoltre opportuno rilevare che l’affermazione, contenuta nella richiamata pronuncia n. 3345 del 1997, secondo la quale la cognizione della domanda di divorzio presuppone in ogni caso l’accertamento, sia pure m via incidentale, della esistenza e validità del matrimonio, è da considerare superata dal successivo orientamento espresso da questa Suprema Corte nella sentenza n. 4202 del 2002, nella quale si è posto in luce che la domanda di divorzio ha causa petendi e petitum diversi da quelli della domanda di nullità del matrimonio e che ove nel giudizio di divorzio le parti non introducano esplicitamente questioni sull’esistenza e validità del vincolo – che darebbero luogo a statuizioni incidenti sullo status delle persone, e quindi da decidere necessariamente, ai sensi dell’art. 34 c.p.c., con efficacia di giudicato – Ì esistenza e la validità del matrimonio costituiscono un presupposto della pronuncia di divorzio, ma non formano oggetto di specifico accertamento suscettibile di determinare la formazione del giudicato (v. altresì, circa i criteri per Ìaccertamento della identità dei due giudizi di nullità, Cass. 1999 n. 12671).
Nella medesima sentenza n. 4202 del 2002 si è altresì data soluzione alla problematica relativa agli effetti della sopravvenuta pronuncia di delibazione sui provvedimenti patrimoniali emessi in sede di sentenza di divorzio, ma tale questione non può essere affrontata in questa sede, in quanto estranea alle censure proposte.
Deve in conclusione ritenersi che del tutto correttamente la decisione impugnata abbia dichiarato la cessazione della materia del contendere a seguito del passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa della efficacia nel nostro ordinamento della pronuncia ecclesiastica di nullità del matrimonio.
La natura della causa giustifica la compensazione tra le parti delle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M

la Corte di Cassazione rigetta il ricorso. Compensa le spese.