Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 26 Settembre 2006

Sentenza 23 maggio 2006, n.12143

Corte di Cassazione. I Sezione Civile. Sentenza 23 maggio 2006, 12143: “Scelta del luogo di sepoltura in assenza di disposizioni testamentarie”

Pres. Luccioli – est. Rel. Gilardi

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del … il Tribu­nale di Palermo, in accoglimento della domanda propo­sta da X, Y e Z, fra­telli della defunta A, e nella contu­macia di Tizio, coniuge di quest’ultima, dichiarava che la A aveva conferito mandato agli attori di essere sepolta nella tomba destinata ad accogliere le spoglie della famiglia ed ordinava a Tizio di consegnare, nel rispet­to delle prescrizioni amministrative, la salma della congiunta per consentirne la tumulazione nella tomba loro assegnata.

Avverso la decisione del Tribunale proponeva appello Tizio eccependo la nullita’ del giudizio di primo grado per essere nulla la notifica della citazione, e chiedendo l’integrale riforma della sentenza impugna­ta.

Si costituivano i germani X Y Z deducendo l’inammissibilita’ dell’appello per genericita’ dei mo­tivi e chiedendone comunque il rigetto.

Con sentenza del … la Corte d’appello di Palermo rigettava l’impugnazione.

Contro la sentenza della Corte d’appello ha proposto ricorso Tizio sulla base di tre motivi.

X Y e Z hanno resi­stito notificando controricorso.

Il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione ha chiesto che fosse dichiarata l’inammissibilità del primo motivo di ricorso.

Con ordinanza n. 20960 del 2004 la Corte a Sezioni U­nite ha dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso con il quale Tizio aveva dedotto che la decisione impugnata era in contrasto con l’ordinanza sindacale che aveva autorizzato il trasferimento della salma di A nella tomba del marito, trasferimento rientrante a parere del ricorrente nella competenza esclusiva dell’autorità amministrativa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il secondo motivo di ricorso (il primo riguardando la questione di giurisdizione, che e’ stata dichiarata inammissibile con ordinanza n. 20960/2004 delle Sezioni Unite di questa Corte) il ricorrente ha dedotto violazione dell’art. 116 c.p.c. e degli artt. 1703 e segg. c.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.,in quanto la Corte d’appello di Palermo, nel ritenere l’esistenza del mandato post mortem, avrebbe fatto er­ronea applicazione delle risultanze processuali ed avrebbe trascurato di considerare che un simile mandato non poteva essere provato per testimoni, ma doveva ri­sultare da atto scritto. In mancanza di una disposi­zione testamentaria, che rendesse evidente la volontà della defunta, il luogo della sepoltura avrebbe dovuto essere individuato tenendo presenti le richieste avanzate dai congiunti, prescelti fra quelli a lei più strettamente legati da vincoli, comparando – e dando prevalenza – allo “ius coniugii” rispetto allo “ius sanguinis”.

Il motivo e’ infondato. Ogni persona fisica puo’ infatti scegliere liberamente circa le modalita’ ed il luogo della propria sepoltura, la legge consentendo espres­samente che tra le disposizioni testamentarie rientri­no anche quelle a carattere non patrimoniale (art. 587, secondo comma c.c.). Quando manca la scheda testamentaria, tale volontà può essere espressa senza rigore di forma attraverso il conferimento di un man­dato ai prossimi congiunti. L’esistenza ed il contenu­to di un simile mandato costituisce questione di fat­to; e nella specie la Corte d’appello, con ampia moti­vazione che ha tenuto conto di una pluralità di ele­menti (e non soltanto delle risultanze testimoniali), e che appare del tutto corretta sotto il profilo delle norme di legge, ha chiarito le ragioni per le quali era da ritenere da un lato che la de cujus avesse e­spresso il desiderio di non essere tumulata post mor­tem nella cappella del marito, dall’altro lato che la sepoltura nella tomba destinata ad accogliere le spo­glie della famiglia di A fosse quella più ri­spondente alla volontà delle defunta. Tale conclusione, investendo apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, si sottrarre a sindacato in sede di legittimità; ne’ puo’ darsi alcun rilievo all’argomento fondato sulla comparazione tra “ius coniugii” e “ius sanguinis”, trattandosi di una tesi del tutto nuova che non risulta prospettata e discussa davanti al giudice di merito.

Col il terzo motivo il ricorrente ha dedotto violazio­ne degli artt. 90 e segg. c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c. in quanto le circostanze da cui era scaturita la controversia avrebbero suggerito quanto meno una compensazione delle spese processuali. Il motivo e’ infondato, dal momento che la Corte d’appello, condannando Tizio alle spese del giudizio ­della soccombenza ex art. 90 si e’ limitata a fare applicazione della regola della soccombenza ex art. 91 c.p.c. Sotto altro profilo, la decisione del giudice del merito di compensare in tutto o in parte le spese di lite costituisce espressione di un potere discrezionale ad esso conferito dalla legge, potere il cui esercizio e’ incensurabile in sede di legittimità, a meno che la relativa decisione non sia sorretta da ragioni palesemente illogiche, tali cioè da inficiare per la loro inconsistenza lo stesso processo formativo della volontà decisionale espressa sul punto. Nella specie, peraltro, la condanna alle spese e’ stata emessa a favore della parte totalmente vincitrice e nei confronti della parte totalmente soccombente. Consegue da quanto sopra che il ricorso deve essere respinto, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, spese che si liquidano in favore dei resistenti – tenuto conto del­la maggiorazione dovuta nel caso di difensore che as­sista una pluralità di parti – nella misura complessi­va di euro 3.700,00 di cui euro 3.600,00 per onorario di avvocato, oltre alle spese generali ed agli acces­sori di legge.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in favore dei resistenti nella misura com­plessiva di euro 3. 700,00, di cui euro 3. 600, 00 per o­norari di avvocato, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

(omissis)

In OLIR cfr. su questi temi: Tribunale di Trani. Sentenza 8 settembre 2005, n. 751