Consiglio di Stato. Sez. IV, sentenza 21 novembre 2013, n. 5523: "Certificato di agibilità e lavori di ristrutturazione riguardanti un immobile sede di centro culturale islamico".
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3148 del 2010, proposto da:
Associazione culturale Al-Waqf Al-Islami, Associazione Comunità islamica di Sassuolo, rappresentati e difesi dall'avv. Federico Gualandi, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;
contro
Comune di Sassuolo, rappresentato e difeso dall'avv. Benedetto Graziosi, con domicilio eletto presso Studio Alfredo e Giuseppe Placidi in Roma, via Cosseria, 2; Sportello Unico delle Imprese e dei Cittadini del Comune di Sassuolo, Sergio Tremosini;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA – BOLOGNA: SEZIONE II n. 02777/2010, resa tra le parti, concernente riutilizzo immobile.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Sassuolo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2013 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Bruno Taverniti (su delega di Benedetto Graziosi) e Federico Gualandi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna l’associazione culturale attuale appellante agiva per l’annullamento della ordinanza n. 4754 del 12 febbraio 2010, a firma del funzionario incaricato dello Sportello Unico delle Imprese e dei Cittadini del Comune di Sassuolo portante divieto di “riutilizzo dell’immobile…ubicato in via Cavour n.68/1”.
Con tale divieto il Comune aveva statuito il divieto di utilizzo dell’edificio di culto fino alla presentazione e decisione della domanda di agibilità, dopo l’esecuzione di un ordine (24 settembre 2009) di ripristino e demolizione di opere di ristrutturazione abusiva.
Secondo la tesi di ricorso il certificato sarebbe supplito per legge dalla dichiarazione di conformità del tecnico, di per sé sufficiente, salvo che per le nuove costruzioni e ristrutturazioni ai sensi dell’art. 21 comma 4, l.r.31 del 2002.
Il primo giudice dichiarava la inammissibilità del ricorso, perché l’atto impugnato si poneva come meramente confermativo dell’ordine di ripristino del 24 settembre 2009, nella parte in cui subordinava il riutilizzo dell’immobile al previo rilascio del certificato di agibilità esplicito. In ogni caso, il primo giudice riteneva il ricorso altresì infondato, oltre che inammissibile, in quanto la esenzione è stabilita solo per categorie di intervento minori rispetto alla ristrutturazione, né il fatto che l’intervento sia stato ordinato lo fa qualificare diversamente da una ristrutturazione, alla quale categoria esso è in realtà ascrivibile.
Secondo la sentenza, la natura confermativa dell’atto impugnato faceva ritenere infondate anche le censure di violazione degli articoli 7 e 10 bis della legge n.241 del 1990, così come doveva ritenersi irrilevante il richiamo ai sopralluoghi eseguiti in data 14 e 21 febbraio 2010, prima della ultimazione dei lavori di ripristino, poiché il divieto di utilizzo era motivato non con riguardo alla parziale inottemperanza alla ordinanza del 24 settembre 2009, ma per la mancanza del certificato di agibilità a fine lavori.
Avverso tale sentenza ha proposto appello la stessa associazione, che propone i seguenti motivi.
Con un primo motivo di appello si deduce la erroneità della affermazione del primo giudice, laddove ha ritenuto meramente confermativo l’atto impugnato, attribuendo contenuto precettivo alle condizioni necessarie per poter riutilizzare i locali a ripristino avvenuto.
La rioccupazione dei locali doveva ritenersi inibita dalla assenza del certificato che era necessario proprio per la esecuzione dei lavori; altra cosa, invece, sarebbe la situazione da considerare dopo la esecuzione dei lavori di ripristino.
Secondo la tesi appellante, l’atto impugnato è un provvedimento di secondo grado rispetto al provvedimento di abitabilità, che sarebbe già stato ottenuto per implicito, utilizzando il procedimento di cui all’art. 21, comma quarto l. r. n. 31 del 2002; ne derivava quindi anche l’obbligo di comunicazione ai sensi dell’art. 7 della legge n.241 del 1990; né potrebbe sostenersi che parte interessata fosse venuta comunque a conoscenza del procedimento: i due sopralluoghi erano stati effettuati in data 14 gennaio 2010 e 21 gennaio 2010, sicché l’esito di essi era conosciuto dai rappresentanti dell’amministrazione all’incontro del 9 febbraio 2010, ma in quella sede nessuno anticipò nulla sul merito del provvedimento assunto soltanto tre giorni dopo; in ogni caso avrebbe dovuto essere rispettato il dovere di preavviso rispetto alla istanza per il rilascio del certificato.
Secondo l’appello, la sentenza appellata è errata anche laddove afferma l’automatica corrispondenza della natura e consistenza dei lavori di ripristino con quella delle opere oggetto di ripristino. La sentenza sarebbe erronea dove ha ritenuto che le opere di demolizione imposte abbiano la stessa consistenza e incisività delle opere realizzate abusivamente, con violazione della regola della tassatività degli interventi soggetti ad esenzione, mentre al contrario la regola generale è proprio quella del regime semplificato.
Si è costituito l’appellato Comune di Sassuolo, chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato.
Con ordinanza emessa in sede cautelare n.2048 del 2010 del 5 maggio 2010, la sezione accoglieva la domanda di sospensione.
Alla udienza pubblica del 22 ottobre 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato.
Come ha dedotto ed eccepito la difesa comunale, l’associazione appellante aveva apportato ad un vecchio laboratorio artigianale varie modifiche distributive interne, senza cambio d’uso negli anni 2002-2003.
I primi sopralluoghi si verificavano nell’anno 2003 a seguito di lamentele dei residenti, che denunciavano un alto indice di affollamento di fedeli; l’amministrazione provvedeva a primi sopralluoghi, che evidenziavano la esigenza di adozione di provvedimenti sanzionatori per cambio di uso non autorizzato con aumento di carico urbanistico; sopravveniva la legge sul condono edilizio del 2003 e l’associazione presentava domanda di sanatoria; la pratica restava pendente vari anni e si concludeva positivamente con rilascio di condono del 22 giugno 2009.
A seguito di verifiche effettuate nei mesi di giugno e luglio 2009 da parte degli uffici comunali, si accertava che la proprietà aveva effettuato nuove trasformazioni dell’immobile in assenza di titolo abilitativo.
Tali opere abusive, descritte nel provvedimento sanzionatorio, sono le seguenti: demolizione/ricostruzione delle pareti divisorie dei locali ufficio e disimpegno, con ampliamento della zona destinata a culto; accorpamento all’area culto del vano legittimato come soggiorno, mediante demolizione delle mura interne; demolizione dei due wc sul lato sud, con accorpamento dei locali all’area culto; realizzazione di un soppalco di mq.141,20 mq, collegato al pianterreno da due scale metalliche ed adibito ad area supplementare per il culto.
In tali opere l’amministrazione ravvisava una ristrutturazione senza titolo e avviava nuovo procedimento sanzionatorio ai sensi dell’art. 14 l. r. 23 del 2004, accertando nel contempo che l’affollamento del centro islamico era notevolmente aumentato, fino ad oltre 400 persone (da 150-200 dell’anno 2003).
Il procedimento sanzionatorio si concludeva con ingiunzione n. 331 del 24 settembre 2009, con cui l’amministrazione accertava la realizzazione di opere di ristrutturazione edilizia senza titolo ed ingiungeva al proprietario e utilizzatore la rimessione in pristino entro novanta giorni. Inoltre, vietava “l’utilizzo dei locali in assenza del certificato di conformità edilizia e agibilità come previsto dall’art. 144 co.1 del RUE”.
Tale atto non veniva impugnato.
La proprietà dava inizio ai lavori di ripristino in data 24 ottobre 2009 e dichiarava di averli conclusi in data 4 febbraio 2010; comunicava con nota dell’8 febbraio 2010 di voler rioccupare l’immobile senza avere, però, né chiesto, né ottenuto il certificato di agibilità, come invece prescritto nella ingiunzione del 24 settembre 2009.
Successivamente il Comune emetteva l’atto impugnato in prime cure, con cui vietava (nuovamente, è il caso di dire) l’utilizzo dell’edificio fino alla presentazione e decisione favorevole della domanda di agibilità.
Con un primo motivo di appello, come detto, si contesta la conclusione del primo giudice, laddove ha dichiarato la inammissibilità del ricorso originario, perché l’atto impugnato è stato ritenuto meramente confermativo.
Il motivo di appello è infondato.
La tesi di parte appellante era di poter rioccupare l’immobile pur senza il prescritto certificato di agibilità, in virtù di autocertificazione semplificata redatta dal progettista; ciò sarebbe stato consentito dalla natura limitata degli interventi effettuati.
Il Collegio osserva che già con la prima ingiunzione del 2009, non impugnata, il Comune aveva vietato l’utilizzo dell’immobile fino al positivo rilascio del certificato di agibilità.
Con la successiva comunicazione del 12 febbraio 2010, rispondendo ad e-mail della parte appellante, l’amministrazione si era limitata a confermare quanto già espresso con la precedente determinazione.
Pertanto, è immune da vizi di censura la sentenza appellata nella parte in cui ha concluso per la inammissibilità del ricorso originario, per mancata tempestiva impugnazione dell’atto presupposto realmente lesivo.
Soltanto quando l'antecedente determinazione della stessa amministrazione, non impugnata, viene successivamente sottoposta a riesame nell'ambito di una nuova attività istruttoria, seppure con esito sostanzialmente confermativo, non incorre nel termine decadenziale l'interessato che promuove ricorso nei riguardi della sol determinazione finale successiva e degli atti riesaminati, che ne hanno rappresentato il presupposto per l'adozione (in tal senso, tra tante, Consiglio di Stato sez. IV, 7 febbraio 2011, n. 813).
Nella specie, come detto, non si dava luogo ad alcuna attività istruttoria nuova.
La successiva comunicazione, poi impugnata, si limitava a richiamare la precedente ingiunzione del 24 settembre 2009, ma non riesaminava la possibilità di rioccupare l’edificio senza certificato di agibilità, e semplicemente si limitava a ribadire il divieto già impartito.
Senza acquisizione di nuovi elementi di fatto e senza alcuna valutazione – in sostanza senza alcuna nuova istruttoria – sono state tenute ferme le statuizioni in precedenza già adottate, in modo da non toccare la portata precettiva del provvedimento originario non impugnato.
Non vale il ragionamento di parte appellante, che sostiene che la comunicazione del febbraio 2010 avrebbe portata differente da quella del settembre 2009, in quanto riguarderebbe la situazione abusiva in essere in quel momento.
Infatti, l’ordinanza precedente ordina il ripristino dello stato legittimo, vietando la rioccupazione senza rilascio di un nuovo certificato di agibilità; la esigenza di munirsi del certificato di agibilità non può intendersi limitato alla sola fase anteriore al ripristino dell’abuso, in quanto la normativa generale pretende – senza distinzioni – la conformità dell’immobile alla normativa edilizia.
Ai sensi dell'art. 24 comma 1, t.u. 6 giugno 2001 n. 380 il certificato di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, ma tale accertamento fa proprio anche l'integrale conformità delle opere realizzate al progetto approvato come attestato dalla licenza di abitabilità.
Al tempo stesso l'accertamento della piena conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie ed alle prescrizioni del permesso di costruire, nonché alle disposizioni di convenzione urbanistica, costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità (tra tante, Consiglio di Stato sez. IV, 24 ottobre 2012, n. 5450).
L’appello è infondato anche nel merito.
La tesi di parte appellante è che sarebbe sufficiente l’autodichiarazione di conformità in luogo del prescritto certificato di agibilità e che, una volta eliminate le parti abusive, nessuna nuova autorizzazione sarebbe necessaria.
L’articolo 21 comma 1 della legge regionale 31 del 2002 prevede che il certificato di agibilità abbia la funzione di attestare che l’opera realizzata corrisponda al progetto approvato e possieda le condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico prescritte dalla legge.
Tale certificato (secondo comma) è necessario per tutte le opere di nuova costruzione, ristrutturazione edilizia e urbanistica, mentre se ne può prescindere solo per opere minori, supplendo solo in tal caso l’autocertificazione.
La comunicazione precedente richiamava altresì l’articolo 144 del RUE, che, riprendendo tale concetto, analogamente prevede che “il certificato di conformità edilizia ed agibilità è necessario per la rioccupazione di unità immobiliari o edifici che siano stati oggetto di interventi di nuova costruzione, ristrutturazione edilizia ed urbanistica”.
Nella fattispecie, gli interventi hanno certamente raggiunto la “soglia della ristrutturazione” e in tal senso deve ritenersi necessario un nuovo certificato di conformità edilizia; la dichiarazione di conformità del professionista abilitato non può tenere luogo del certificato di conformità, contrariamente a quanto ritenuto, in sede cautelare, ad una delibazione sommaria da parte della sezione nella ordinanza menzionata.
Gli interventi sono consistiti in: demolizione e ricostruzione dei muri interni, redistribuzione dei vani, ampliamento della superficie del 40% con realizzazione di un nuovo piano in soppalco; le opere ordinate dall’amministrazione sono consistite in interventi per modificare la superficie interna, demolire e ricostruire i tramezzi, ricostruire i bagni e così via.
Né può sostenersi che la circostanza che i lavori e gli interventi, consistenti in sostanza e nella realtà materiale in una ristrutturazione, possano essere privi del certificato di agibilità – prescritto dalla normativa e preteso dalla prima ingiunzione, non contestata – soltanto perché si tratta di interventi imposti.
Non può valere neanche l’assunto di parte appellante – in relazione al quale la parte comunale appellata controdeduce la novità in appello e quindi la inammissibilità – secondo cui le trasformazioni avrebbero riportato l’edificio allo stato originario, con reviviscenza del precedente certificato di agibilità.
Infatti, indipendentemente dalla novità dell’assunto, la funzione del certificato di agibilità sarebbe proprio quella di attestare che l’opera realizzata corrisponda al progetto approvato o presentato, dal punto di vista dimensionale, prestazionale e delle prescrizioni urbanistiche ed edilizie ed in particolare la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati.
Le considerazioni in ordine alla circostanza che nella specie già la prima ingiunzione aveva vietato l’utilizzo dei locali senza la acquisizione del certificato di agibilità fanno ritenere infondati i motivi con i quali si lamenta la violazione dei doveri partecipativi, di comunicazione e di preavviso di rigetto, doveri in sostanza già rispettati nella prima e decisiva ingiunzione del 24 settembre 2009.
Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va respinto.
Sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese di giudizio del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta, confermando l’appellata sentenza. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere, Estensore
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Francesca Quadri, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/11/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)