Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 5 Maggio 2005

Sentenza 21 gennaio 1988, n.43

Corte Costituzionale 21 gennaio 1988, n. 43: “Autonomia statutaria e requisiti richiesti per l’eleggibilità alla carica di componente dei consigli delle Comunità israelitiche”.

LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:

Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo
CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO dott. Francesco GRECO, prof.
Renato DELL’ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 9 del r.d. 30 ottobre 1930, n. 1731 (“Norme sulle comunità israelitiche e sulla
unione delle comunità medesime”), promosso con ordinanza emessa l’8 febbraio 1980 dalla Corte d’appello di Firenze, iscritta al n. 374
del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 187 dell’anno 1980;

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella Camera di consiglio del 10 dicembre 1987 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

Fatto

1. – Nel corso di un giudizio instaurato ex art. 28 R.D. 19 novembre 1931, n. 1561, ed avente ad oggetto l’eleggibilità alla carica di consigliere di una Comunità israelitica, la Corte di appello di Firenze, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 R.D. 30 ottobre 1931, n. 1731, sostenendo che questa – limitando l’eleggibilità (alla predetta carica) ai soggetti di età superiore ai 25 anni, di sesso maschile, ed in possesso del diploma di scuola inferiore ovvero di grado rabbinico si porrebbe in contrasto l’art. 8, secondo comma, Cost., che sancisce il principio della libertà organizzativa delle chiese diverse da quella cattolica;
Il giudice a quo ritiene inapplicabile alla fattispecie sottoposta al suo esame l’art. 3 della delibera del Congresso straordinario delle Comunità israelitiche italiane, che stabilisce per l’eleggibilità i soli requisiti dell’età e della buona condotta, in quanto tale disposizione non potrebbe avere alcun effetto abrogativo sulla norma impugnata. Il permanere della vigenza di questa, secondo l’ordinanza di rimessione, contrasta perciò con l’art. 8, terzo comma Cost., che consente allo Stato di intervenire con legge solo per regolare i rapporti con le confessioni religiose, e non anche per dettarne la disciplina organizzativa.

2. – È intervenuta l’Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata, sostenendo che la norma costituzionale attribuisce alle confessioni religiose non cattoliche il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, ma non impone alle stesse il dovere di emanare norme autonome di organizzazione. Ne conseguirebbe che le eventuali norme statali in tema di organizzazione delle confessioni religiose, avrebbero carattere suppletivo, destinate perciò a divenire inefficaci ove dovessero sopravvenire norme confessionali incompatibili con esse. Questo carattere escluderebbe perciò il ravvisato contrasto della norma denunciata con l’art. 8 Cost.

Diritto

1. – Oggetto della questione di legittimità costituzionale sottoposta all’esame della Corte è l’art. 9 del r.d. 24 settembre 1931, n. 1279, il quale prevede i requisiti per l’eleggibilità dei componenti dei consigli delle Comunità israelitiche.
Ad avviso del giudice a quo la norma denunciata è in contrasto con l’art. 8, secondo comma, Cost., il quale sancisce il diritto delle confessioni religiose ad organizzarsi secondo i propri statuti in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.

2. – La questione è fondata.
Come è stato rilevato in dottrina, al riconoscimento da parte dell’art. 8, secondo comma, Cost., della capacità delle confessioni religiose, diverse dalla cattolica, di dotarsi di propri statuti, corrisponde l’abbandono da parte dello Stato della pretesa di fissarne direttamente per legge i contenuti.
Con questa autonomia istituzionale, che esclude ogni possibilità di ingerenza dello Stato nell’emanazione delle disposizioni statutarie delle confessioni religiose, è in contrasto la norma denunciata. Questa, difatti, con lo stabilire i requisiti per l’eleggibilità alla carica di componente dei consigli delle Comunità israelitiche (requisiti che, peraltro, sono indicati attualmente in modo diverso dall’art. 3 della delibera del 28-29 aprile 1968 adottata dal Congresso straordinario delle Comunità israelitiche italiane) condiziona e limita il diritto riconosciuto alle confessioni religiose dall’art. 8 Cost. di darsi i propri statuti, purché “non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano”. Questa espressione si può intendere riferita difatti solo ai principi fondamentali dell’ordinamento stesso e non anche a specifiche limitazioni poste da particolari disposizioni normative, come quella rispetto alla quale è stata sollevata la questione in esame.

3. – Sostiene l’Avvocatura Generale dello Stato che la norma denunciata avrebbe carattere suppletivo e quindi cederebbe di fronte a disposizioni statutarie che dovessero disporre in modo diverso, onde la questione sarebbe in parte infondata e in parte irrilevante. L’assunto non può essere condiviso perché l’art. 9 del R.D. 30 ottobre 1930, n. 1731, per l’epoca in cui fu emanato, per il contesto normativo nel quale è collocato e per la sua formulazione testuale, ha un chiaro significato cogente, prevalendo, ove non ne venisse dichiarata l’incostituzionalità, sugli statuti emanati dagli organismi delle confessioni religiose che risultassero in contrasto con essa.
È proprio il caso che ha dato luogo al giudizio a quo indicativo di questa evenienza, perché, appunto facendo riferimento alla norma censurata il Prefetto di Firenze ha dichiarato l’ineleggibilità di alcuni componenti del consiglio di una Comunità israelitica, il che dimostra come la vigenza della norma sia tuttora limitativa di quella potestà statutaria ampiamente riconosciuta alle confessioni religiose dall’art. 8, secondo comma, Cost.

P.Q.M

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 9 del R.D. 30 ottobre 1930, n. 1731, (“Norme sulle comunità israelitiche e sulla unione delle comunità medesime”).