Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 12 Luglio 2005

Sentenza 20 settembre 2002, n.39727

Corte di Cassazione. Sezione III Penale. Sentenza 20 settembre 2002, n. 39727:
“Danneggiamento del patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale e configurabilità del reato in capo a soggetti privi della titolarità di diritti reali sul bene”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE III PENALE

Composta dagli IIl.mi Sigg.:

Dott. Aldo RIZZO – Presidente –
1. Dott. Antonio ZUMBO – Consigliere –
2. Dott. Luigi PICCIALLI – Consigliere –
3. Dott. Carlo GRILLO – Consigliere –
4. Dott. Mario GENTILE – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Trento, nei confronti degli imputati , n. il 21.8.39 a Cles. res, a Fondo,
, n. il 4.10.55 a Romeno, ivi res.;
, n. il 7.12.57 a Dambel, ivi res.;

avverso la sentenza del Tribunale di Trento, del 6-6 – 20-7-2001
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso,
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Piccialli,
Udito il Pubblico Ministero in persona del sost. P.G. dott. M. Fraticelli che ha concluso per l’annullamento con rinvio.

Fatto e Diritto

Con la sentenza epigrafe, , quale progettista e direttore delle opere di restauro di una chiesa parrocchiale, e , quali legali rappresentanti della ditta esecutrice, imputati di concorso (tra loro e con il parroco, giudicato a parte e prosciolto per oblazione) nel reato di cui all’art. 733 c.p. (per aver distrutto alcune parti di un affresco quattocentesco, venute alla luce durante i lavori), sono stati assolti sulla base del seguente duplice ordine di considerazioni: a) perché non titolari del diritto di proprietà sul bene tutelato e, dunque, non passibili della rubricata contravvenzione, configurante un “reato proprio”; b) per assenza di prove in ordine alla necessaria consapevolezza, indispensabile ai fini della “compartecipazione dolosa nel reato” de quo, non essendo risultato nè comunque essendo stato assunto dalla pubblica accusa, “che gli stessi si fossero ben resi conto e avessero voluto che la propria azione desse un contributo causale nella determinazione del fatto..”
Avverso detta decisione ricorre il P.G. territoriale, con impugnazione non titolata, ma sostanzialmente deducente violazione della legge penale, per avere il giudice di merito aderito a quella “giurisprudenza per la quale il soggetto attivo del reato di cui all’art. 733 C.P. può essere soltanto il proprietario della cosa”.
II ricorrente ritiene, invece, più corretto quel diverso indirizzo giurisprudenziale che estende Ìascrivibilità del reato in questione anche ai possessori e detentori delle cose in questione, censurando un’intepretazione “eccessivamente restrittiva del termine proprio”, che lascerebbe fuori della tutela penale tutti i beni pubblici, “che, in quanto res communes omnium, non possono considerarsi stricto sensu “propri” di determinate persone fisiche preposte alla loro effettiva salvaguardia”.
L’impugnazione non è meritevole di accoglimento.

Dall’esame del capo d’imputazione si rileva che al , al ed al è stato contestato il concorso, ai sensi dell’art. 110 c.p., con il parroco , nel reato di cui all’art. 733 c.p., per la consapevole partecipazione degli odierni residui imputati alla distruzione dell’affresco, bene appartenente alla Parrocchia e, dunque, da ritenersi, agli effetti della fattispecie penale, “cosa propria” dell’ente rappresentato dal sacerdote, con la conseguente applicabilità a tale imputato, intraneus nella suddetta qualità, della disposizione configurante un reato “proprio”, nel quale ben avrebbero potuto concorrere soggetti estranei, ove ricorrente, in ciascuno, l’adeguato elemento soggettivo: Ma questo, con la seconda delle argomentazioni poste a base della decisione, in narrativa menzionata, è stato ritenuto insufficientemente provato dal giudice di merito, con motivazione in fatto non censurabile, nè, peraltro, oggetto di alcuna censura da parte del ricorrente P.G.
Ne consegue, vertendosi in tema di concorso di extranei in un reato proprio (nè essendo contestata alcuna ipotesi di cooperazione ex art 113 c.p. nella colpa), l’inconferenza non solo delle argomentazioni, svolte dal giudice di merito in ordine alla non ascrivibilità dell’addebito ai tre imputati diversi dal parroco (giacché non nelle loro qualità di detentori, più o meno “qualificati”, gli stessi ne erano stati chiamati a rispondere, bensì quali concorrenti nella volontaria distruzione del bene protetto), ma anche delle censure con le quali il ricorrente P.G., senza porre in discussione la seconda argomentazione (di per sè sola idonea a sorreggere la decisione assolutoria), propone un'”interpretazione estensiva” (o, meglio, un’inammissibile applicazione analogica) della disposizione penale, tale da ricomprendere tra i destinatari del precetto anche soggetti privi della titolarità di diritti reali o comunque di possesso sui beni protetti.

Il ricorso va, pertanto, respinto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso