Sentenza 20 novembre 2009, n.24502
Corte di cassazione, Civile, Sez. V, sentenza 20 novembre 2009, n. 24502: "ICI e beni immobili di proprietà ecclesiastica".
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PLENTEDA Donato – Presidente
Dott. D’ALONZO Michele – rel. Consigliere
Dott. MERONE Antonio – Consigliere
Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere
Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Casa di Cura Congregazione delle Suore Infermiere dell’Addolorata, con sede in (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata (giusta comunicazione di variazione depositata il 29 gennaio 2008) in Roma alla Via S. Basilio n. 72 (studio dell’avv. Filippo Pingue) insieme con l’avv. CORDEIRO GUERRA Roberto che la rappresenta e difende in forza della procura speciale rilasciata a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Comune di La Spezia, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato, nel giudizio di appello, in Genova alla Via Bacigalupo n. 4/15 presso lo studio dell’avv. UCKMAR Victor che lo rappresentava e difendeva in quel grado insieme con l’avv. BALZANI Francesca;
– intimato –
Avverso la sentenza n. 32/02/04 depositata il 24 settembre 2004 dalla Commissione Tributaria Regionale della Liguria;
Udita la relazione svolta nella Udienza pubblica del 30 settembre 2009 dal Cons. Dott. D’ALONZO Michele;
sentite le difese della ricorrente, perorate dall’avv. Roberto CORDEIRO GUERRA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE Ennio Attilio, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato al Comune di La Spezia, la Casa di Cura Congregazione delle Suore Infermiere dell’Addolorata “ente morale di diritto pontificio dotato di personalita’ giuridica (D.P.R. 31 gennaio 1957)”, esercente, “a norma del proprio statuto”, “opere di religione e di culto nonche’, senza fine di lucro, opere di istruzione, assistenza ospedaliera, assistenza sociale, di beneficenza” – premesso che: (1) perseguiva “i suoi fini istituzionali attraverso la gestione di quattro case di cura (una delle quali, la Casa di Cura Congregazione delle Suore Infermiere dell’Addolorata, … nel Comune di (OMISSIS)… ), tre case di riposo per bisognosi ed anziani, due case missionarie (una in (OMISSIS) e l’altra nelle (OMISSIS)), con finalita’ sia sanitarie che assistenziali”; (2) il 2 maggio 2002 detto Comune aveva emesso un “avviso di accertamento con riferimento all’imposta comunale sugli immobili (ICI) relativa all’anno 1996”, “rilevando la mancanza della denuncia e del versamento” di tale imposta e “disponendo il pagamento di complessivi Euro 38.237, 49” -, in forza di due motivi, chiedeva di cassare (“con ogni consequenziale pronuncia… anche in ordine alle spese”) la sentenza n. 32/02/04 della Commissione Tributaria Regionale della Liguria (depositata il 24 settembre 2004) che aveva respinto il suo appello avverso la decisione (73/01/03) della Commissione Tributaria Provinciale di La Spezia la quale aveva disatteso il ricorso con cui aveva impugnato detto avviso.
Il Comune intimato non svolgeva attivita’ difensiva. Il 24 settembre 2009 la ricorrente depositava memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Con la sentenza gravata la Commissione Tributaria Regionale – individuata la “questione” posta al suo esame nell’accertamento dell’”assoggettabilita’ o meno all’imposta comunale sugli immobili dei fabbricati di proprieta’ di un ente ecclesiastico, nel quale si svolga attivita’ sanitaria” – ha disatteso il gravame della Congregazione (che contestava l’”assoggettabilita” in forza di considerazioni attinenti “sia al dato soggettivo relativo alla propria qualifica di ente ecclesiastico”, sia soggettivo, attinente all’attivita’ svolta”) esponendo che, poiche’ “la base imponibile del tributo” e’ costituita dal “valore dell’immobile”, “l’ICI si configura in relazione ai suoi elementi soggettivo ed oggettivo come un’imposta diretta di tipo patrimoniale reale” e, quindi, “le ipotesi particolari di esenzione, quale quella contenuta nel D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, lett. i… che concerne gli immobili utilizzati dagli enti pubblici e privati, diversi dalle societa’, … non aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attivita’ commerciale, "destinati esclusivamente allo svolgimento di attivita’ assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive…" vanno interpretate “in relazione a tale configurazione”.
Il giudice di appello, poi, aggiunge, che, prevedendo la “norma” – “con specifico riferimento agli enti ecclesiastici, ai quali attiene la disciplina dettata dalla L. 20 maggio 1985, n. 222” – l’”esenzione dall’imposta anche per gli immobili utilizzati…per lo svolgimento delle attivita’ di cui all’art. 16 lett. a) della legge predetta”, “solo gli immobili nei quali si svolgono attivita’ di religione o di culto, individuate nella citata L. n. 222 del 1985, art. 16, lett. a (vale a dire "quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana") sono esentate dall’imposizione, e non anche quelli ai quali si riferisce la lett. b) del medesimo art. 16, nei quali si svolgono attivita’ diverse, di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, attivita’ commerciali o a scopo di lucro“: di conseguenza, “l’attivita’ svolta dalla Congregazione”, “essendo produttiva di reddito”, “non puo’ valere ad esonerare l’immobile dall’imposizione, a nulla valendo considerazioni circa l’impiego delle somme ricavate dall’attivita’ sanitaria che vi si svolge”, non rilevando le stesse “a fronte dell’oggettiva considerazione del carattere commerciale dell’attivita’ stessa” (“che la stessa appellante, sostanzialmente, ammette”).
“In conclusione”, secondo il giudice a quo, “il beneficio dell’esenzione dell’imposta non spetta in relazione agli immobili, appartenenti ad un ente ecclesiastico, che siano destinati allo svolgimento di attivita’ oggettivamente commerciali” (“nella fattispecie, gestione di una casa di cura organizzata per prestazioni di servizi clinici e sanitaria): “cfr., da ultimo, Cass., civ., trib., 8 marzo 2004 n. 4645”. 2. La Congregazione investe tale decisioni con due motivi.
A. Con il primo, la ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, lett. i” esponendo, innanzi tutto, che “le motivazioni” della sentenza impugnata “trovano smentita nel D.L. 11 agosto 2005, n. 163, art. 6 rubricato "esenzione dall’ICI per particolari immobili", con il quale il Governo ha chiarito, con norma di interpretazione autentica” (“evidente dal suo tenore letterale l’esenzione s’intende applicabile“, con conseguente operativita’ della stessa “ab origine”) che “anche gli immobili utilizzati da enti religiosi per attivita’ di assistenza e beneficenza e svolte in forma commerciale fruiscono dell’esenzione dall’ICI qualora dette attivita’ siano connesse a finalita’ di religione o di culto”: “il legislatore, dunque, ha chiarito che il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, comma 7, lett. i deve essere interpretato nel senso che, per il godimento dell’esenzione ivi contemplata, assume rilevanza unicamente il fine di carattere religioso che accompagna il compimento delle attivita’ di assistenza, beneficenza, istruzione, educazione e cultura, a nulla rilevando… l’eventuale veste commerciale assunta dalle attivita’ medesime”.
La ricorrente aggiunge che – ricavandosi “agevolmente”, “dalla semplice lettura” dell’art. 7 detto, che “l’agevolazione in esame e’ applicabile al ricorrere di due sole condizioni”: “una soggettiva” “l’immobile deve essere utilizzato da un ente non commerciale secondo la definizione di cui all’art. 73 TUIR, comma 1, lett. c), gia’ art. 87”, nel caso “pacifica in causa” perche’ “non contestata”; “una oggettiva” (“il cespite deve essere destinato esclusivamente alle attivita’ specificamente elencate”) – “ad identica conclusione si poteva e doveva pervenire anche prima dell’intervento chiarificatore operato con il D.L. n. 163 del 2005” atteso che:
(1) “sul versante soggettivo”, “gli enti ecclesiastici” (come “pacifico” in giurisprudenza ed in dottrina) “sono da ritenersi non commerciali” (a) perche’ per la lett. c) dell’art. 73 TUIR detto “occorre far riferimento allo statuto oppure all’atto costitutivo” (e per l’art. 2 del suo statuto essa "esercita opere di religione e di culto, senza fine di lucro, opere di istruzione, educazione, assistenza ospedaliera, opere di assistenza sociale in tutte le sue varie forme, opere di beneficenza rispondenti alle particolari esigenze dei tempi e dei luoghi dove essa e’ operante, secondo le proprie finalita’" ), per cui “il fine perseguito da una tale realta’ ecclesiastica” e’ “sempre un fine apostolico, di religione e di culto” (come confermato dalla L. 20 maggio 1985, n. 222, art. 2 per il quale "sono considerati aventi fine di religione o di culto gli enti che fanno parte della costituzione gerarchica della Chiesa, gli istituti religiosi e i seminari") dato che “ogni ente ecclesiastico puo’ di fatto perseguire il generale scopo di religione anche svolgendo attivita’ di diversa natura che comunque costituiscono… un mezzo di apostolato tra le genti, come… l’attivita’ di assistenza ai malati ed ai bisognosi”) e (b) in quanto l’art. 111 bis del TUIR (“art. 149 della nuova numerazione”), pur introdotto (“D.Lgs. n. 460 del 1997”) “successivamente all’emissione della cartella impugnata”, recependo e codificando “un principio gia’ pacificamente accolto in dottrina”, in “evidente omaggio alla netta separazione tra due ordinamenti sovrani e distinti sanciti dagli accordi tra Stato e Chiesa (leggendosi nella relazione governativa a detto D.Lgs. che in tali enti sono sempre presenti le attivita’ istituzionali di ispirazione eminentemente idealistica“), “le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano agli enti ecclesiastici riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili"“, di tal che, “secondo tale norma”, “gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, quali che siano le attivita’ svolte (quindi, anche commerciali), non perdono mai, ai fini fiscali, la qualifica di enti non commerciali”: per essa ricorrente “lo svolgimento dell’attivita’ sanitaria in forma organizzata… non ha modificato lo spirito originale di missione religiosa” e, quindi, “non provoca… la perdita della qualifica di ente non commerciale” per “l’ordinamento tributario”;
(2) “sotto il profilo oggettivo”, “la disposizione de qua prevede che abbiano diritto all’esenzione ICI gli immobili destinati ad una serie di attivita’” (“assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive”), “tassativamente” elencate, considerate dal legislatore “meritevoli di una particolare attenzione” (come nel caso delle “esenzioni IVA disciplinate dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 10”) senza “alcun riferimento alla natura delle attivita’ stesse” (“anche se… alcune di esse siano considerate generalmente commerciali dal legislatore tributario”) e, pertanto, il legislatore ha riconosciuto, “anche in riferimento all’ICI”, un “trattamento di favore… a quei soggetti, gli enti non profit, che per loro natura escludono il perseguimento del lucro nella loro attivita’” (nella sentenza n. 142 del 2004 questa Corte “ha affermato essere " in facolta’ del legislatore esentare da una determinata imposizione fiscale soggetti forniti di capacita’ contributiva, purche’ la scelta non presenti profili di irrazionalita’", ribadendo come cio’ valga anche ai fini ICI "il cui presupposto impositivo e’ il mero possesso dell’immobile e non la utilizzazione di questo a fini di lucro“).
La ricorrente, ancora, ritiene “illegittima” la tesi del giudice di appello secondo cui la “norma agevolativa” lett. i) dell’art. 7 “opererebbe” in relazione “alla sola L. n. 222 del 1985, art. 16, lett. a, sia perche’ “smentita” dal legislatore (che “ha chiarito, ora per allora, l’operativita’ dell’esenzione in parola anche nel caso di immobili adibiti ad attivita’ assistenziali e sanitarie, svolte in forma commerciale e per finalita’ di religione o culto”), sia perche’ il richiamo della “sola lett. a)” non esclude che “possano godere dell’agevolazione anche alcune delle attivita’ elencate nella lett. b)” essendo “per esse” (“assistenza e beneficenza, istruzione ed educazione”) “operante la disposizione… generale contenuta nella stessa lett. i) del comma 1 dell’art. 7 che risulta pacificamente applicabile a tutti gli enti non commerciali” “l’attivita’ sanitaria di casa di cura” da essa svolta (per autorizzazione del Ministero della Sanita’ del 18 marzo 1965), quindi, “rientra tra quelle espressamente elencate nell’art. 7” detto, tenuto anche conto della “ratio”, sottesa a tale norma, “di garantire a soggetti non commerciali la possibilita’ di svolgere attivita’ sanitarie, educative e sociali, pure a titolo oneroso, senza dover scontare l’ICI in relazione agli immobili nei quali esse sono esercitata, sul presupposto che, essendo i relativi proventi interamente reinvestiti nel finanziamento dei compiti benefici ed altruistici propri di tali enti e mancando… l’intento di realizzare un profitto, tali enti non perdono la loro caratterizzazione non commerciale e, pertanto, restano meritevoli di un trattamento agevolato” “il richiamo alla L. n. 222 del 1985, art. 18, lett. a”, quindi, “va sicuramente inteso come una disposizione volta a predisporre una ulteriore protezione nei confronti degli enti ecclesiastici”, “non a restringere il favor espresso dall’… ordinamento nei confronti dei medesimi”.
“Una diversa interpretazione”, secondo la Congregazione, (a) “restringerebbe il campo di applicazione dell’esenzione ICI a danno dei soli enti ecclesiastici” e (b) determinerebbe “una irragionevole disparita’ di trattamento”: “l’esenzione de qua”, infatti, sarebbe applicabile ad un “ente commerciale diverso da un ente ecclesiastico” a “prescindere da qualsivoglia valutazione in ordine alla natura, commerciale o meno dell’attivita’ stessa” e all’ente ecclesiastico “nel solo caso in cui la predetta attivita’ fosse svolta con modalita’ non commerciali”.
La ricorrente, ancora, assumendo avere il giudice di appello Ssurrettiziamente” introdotto, ai fini del riconoscimento dell’”esenzione in esame”, l’”ulteriore requisito” della “non commercialita’ dell’attivita’ svolta nell’immobile dall’ente ecclesiastico”, sostiene che “una siffatta interpretazione risulta del tutto slegata dalla lettera e dalla ratio della norma” perche’ questa non impone “nessun ulteriore requisito” oltre all’impiego dell’immobile (“in via esclusiva”) “per talune attivita’ di carattere sanitario o assistenziale” ed alla “proprieta’ del medesimo” in capo “ad un ente non commerciale”, si’ che “l’agevolazione ICI e’ invocabile senza che rivestano alcuna importanza le concrete modalita’ (commerciali o meno) con le quali detta attivita’ viene ivi esercitata”.
La Congregazione, di poi, sostiene che “la Commissione Tributaria Regionale ha errato anche nel ritenere che l’attivita’ sanitaria” da essa svolta “nell’immobile… fosse qualificabile alla stregua di un’attivita’ commerciale” in quanto:
– “risulta chiaramente dallo Statuto” che essa “esercita opere di istruzione, educazione, assistenza ospedaliera, opere di assistenza sociale in tutte le sue varie forme, opere di beneficenza“;
– le “attivita’” sono “tutte… svolte non in una logica speculativa (senza fine di lucro) ma in un’ottica di diffusione e presenza cristiana”: “i proventi realizzati”, “in conformita’ a quanto dispone l’art. 20 dello Statuto” (“e’ esclusa ogni finalita’ di lucro, cosi’ come l’eventuale supero tra le entrate e le uscite non costituiscano mai profitto ma avanzo di gestione da destinarsi al migliore conseguimento delle finalita’ costituzionali della Congregazione“) sono “integralmente reinvestiti nel finanziamento delle altre attivita’ di beneficenza” (“in particolare…, per alimentare le numerose opere missionarie sparse in molti paesi del c.d. terzo mondo” di tal che “non esiste… nessuna forma di distribuzione di utili”; “l’eventuale esistenza di proventi al termine di ciascun esercizio dipende, in larga misura, dal fatto che sono le suore stesse che prestano, gratuitamente…, il loro servizio all’interno della Casa di cura, cio’ che consente di realizzare cospicui risparmi sul costo del personale”) per cui “il servizio sanitario si rivela non lo scopo, ma soltanto un mezzo, l’attivita’ strumentale dalla quale ritrarre risorse necessarie per finanziare le finalita’ istituzionali dell’ente (sulla rilevanza di questo profilo, cfr. Cass. 27 marzo 1990 n. 2573…)” non potendo attingere “altrimenti… dette risorse”.
La ricorrente, infine, ricorda che con la sentenza 16 febbraio 2004 n. 2915, pronunciata nei suoi “confronti”, la sezione lavoro di questa Corte, relativa all’”applicabilita’ delle disposizioni di esonero dal pagamento dei contributi CUAF L. 11 giugno 1974, n. 252, ex art. 7”, ha riconosciuto che “correttamente i giudici di appello non hanno condiviso le valutazioni operate dal primo giudice, allorche’ il Pretore ha qualificato come discrezionale, eventuale e non rilevante la scelta della congregazione di destinare gli avanzi di gestione ad altri fini istituzionali, non essendo tale destinazione discrezionale, ma obbligatoria in forza della vincolante norma statutaria di cui al citato art. 20“ ed “ancora: "va dunque affermato con i giudici di appello che l’utile di gestione della casa di cura predetta costituisce non il fine della Congregazione, ma il mezzo per il conseguimento delle finalita’ istituzionali dell’ente, complessivamente considerato, che – a differenza del comune imprenditore, che e’ libero di destinare i profitti della sua attivita’ economica a propria discrezione – deve necessariamente impiegare tali profitti gestionali delle sue strutture al soddisfacimento di quei fini assistenziali e di beneficenza perseguiti, libero soltanto di graduare le priorita’ di intervento in tale ambito istituzionale“: detta sua “caratterizzazione”, secondo la Congregazione, esclude “a priori che l’attivita’ sanitaria… svolta possa essere qualificata come commerciale” ed impedire, quindi, “il godimento dell’esenzione” in questione.
B. Nell’altra doglianza la contribuente denunzia “violazione e falsa applicazione dell’art. 7 dell’Accordo Modificativo del Concordato Lateranense del 18 febbraio 1984 (ratificato con L. n. 121/195)” adducendo che per il comma 3 di tale norma (secondo cui "agli effetti tributali gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attivita’ dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione) – “dotata nel nostro ordinamento di rango superiore e prevalente rispetto ad altre norme di legge ordinaria, in virtu’ del nuovo art. 117 Cost., comma 1” siccome “contenuta in un trattato internazionale” – “gli enti ecclesiastici aventi fini di religione e di culto, di qualunque tipo siano le attivita’ che essi pongono in essere nel perseguimento di dette finalita’, subiscono il medesimo trattamento tributario riservato agli enti di beneficenza o di istruzione, ovvero sono di fatto equiparati ad enti non commerciali” per cui, essendo essa Congregazione “un istituto religioso” (“come tale avente fine di religione e di culto L. n. 222 del 1985, ex art. 2”), si rende applicabile detta “previsione concordataria”: con la conseguenza che essa “deve essere considerata in ogni caso un ente non commerciale ai fini fiscali, dunque anche in materia di ICI; e, come tale, deve fruire delle agevolazioni prescritte del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7”. 3. Il ricorso – i cui due motivi vanno esaminati congiuntamente – deve essere respinto perche’ infondato.
A. Per il D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 503 (istitutivo dell’imposta Comunale sugli immobili, breviter: ICI):
– il "presupposto" oggettivo dell’imposta e’ dato (art. 1) dal "possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio e’ diretta l’attivita’ dell’impresa";
– "soggetti passivi" della medesima sono (art. 5, non interessa qui il testo vigente ratione temporis) "il proprietario di immobili, ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie, sugli stessi";
– la "base imponibile" e’ costituita dal "valore degli immobili".
In considerazione di tali caratteristiche (a) la Corte Costituzionale (sentenza 12 aprile 1996 n. 113) ha affermato che l’ICI "e’ conformata quale imposta patrimoniale", "dovuta in misura predeterminata", e non basata "su indici di produttivita’", e (b) questa Corte (Cass., trib., 4 dicembre 2003 n. 18549) trattarsi di "un’imposta diretta di tipo patrimoniale reale" (sul carattere "reale" dell’ICI cfr., altresi’, Cass., trib., 10 giugno 2008 n. 15321), derivandone la conseguenza che "le ipotesi particolari di esenzione" ("oltre che di agevolazione"), "tra le quali" (per quanto qui interessa) "quella contenuta nel D.Lgs. cit., art. 7, lett. i)", vanno interpretate "in relazione a tale configurazione".
B. Per il D.Lgs. cit. art. 7, comma 1, "sono esenti" dall’ICI, tra gli altri lett. 1), "gli immobili utilizzati dai soggetti di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. c), del testo unico delle imposte sui redditi, e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento di attivita’ assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonche’ delle attivita’ di cui alla L. 20 maggio 1985, n. 222, art. 16, lett. a)".
L’"esenzione" prevista dalla norma, giusta la giurisprudenza di questa Corte (Cass., trib.: 24 ottobre 2008 n. 25674; 30 agosto 2006 n. 18838; 26 ottobre 2005 n. 20776; 20 giugno 2005 n. 13232; 23 marzo 2005 n. 6316; 8 marzo 2004 n. 4645), e’ subordinata alla compresenza della "duplice condizione":
(a) "dell’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente possessore", e (b) "dell’esclusiva loro destinazione ad attivita’ peculiari" ("ritenute dal legislatore meritevoli di un trattamento fiscale di favore") che, pero’, "non siano produttive di reddito" ("presupposto oggettivo" da accertare Cass. n. 20776 del 1005, cit., che ricorda le anteriori decisioni della sezione 8 marzo 2004 n. 4654 e 4 dicembre 2003 n. 18459 non "sulla base di riscontri documentali che attestino a priori il tipo di attivita’ cui l’immobile e’ destinato" ma verificando "concretamente se l’attivita’ cui l’immobile e’ destinato, se pure rientrante fra quelle esenti, non sia svolta in concreto secondo le modalita’ di un’attivita’ commerciale").
Nella sentenza 2 aprile 1999 n. 119, poi, la stessa Corte costituzionale ha, in particolare, statuito che in base all’art. 7, l’esenzione dall’ICI prevista "alle lett. b), e), d), g), h), i)" riguarda sempre "immobili destinati ad attivita’ peculiari che non siano produttive di lucro e di reddito".
C. Specificamente con riguardo agli enti ecclesiastici, inoltre, questa sezione (sentenza n. 4645 del 2004, cit.) – tenuto conto del disposto della L. 20 maggio 1985, n. 222, art. 16 (recante "disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi), per il quale agli effetti delle leggi civili si considerano comunque (a) "attivita’ di religione o di culto quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana" e (b) "attivita’ diverse da quelle di religione o di culto quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attivita’ commerciali o a scopo di lucro" -, ha condivisibilmente affermato che:
– per la qualita’ dello stesso, "l’esercizio del commercio", di certo, non costituisce il "fine esclusivo" ne’ "prevalente" di un "ente ecclesiastico";
– le "attivita’ di carattere religioso, o, in ogni caso, strettamente connesse a quelle propriamente religiose" indicate nella lett. a) dell’art. 16 detto ("richiamata dalla legge fondamentale sull’I.C.I. n. 504 del 1992") fruiscono "dello stesso trattamento di favore previsto per le altre attivita’, culturali, assistenziali, ecc, indicate al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, lett. i)";
– il "secondo ambito" delle "possibili attivita’ degli enti ecclesiastici", definito nella lett. b) dello stesso art. 16 (attivita’ aventi carattere "non propriamente religioso o strettamente connesso a quello religioso" ), invece, "non e’ richiamato dall’art. 7 della L. I.C.I.": se tanto "non esclude necessariamente che possano godere anch’ esse del medesimo regime di favore" atteso che "molte di esse (quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura) rientrano gia’, in via diretta e non tramite il richiamo alla legge sugli enti ecclesiastici, nella previsione della lettera i)", "non altrettanto avviene per quelle commerciali o per fini di lucro, pure ricomprese nella stessa lettera b) dell’art. 16 della legge sugli enti ecclesiastici" perche’ a quest’ "ambito di attivita’", che pur "puo’ essere svolto da enti ecclesiastici", "il legislatore fiscale non ha riservato un trattamento di esenzione ai fini dell’I.C.I.";
– la previsione della L. 25 marzo 1985, n. 121, art. 7, comma 3 (di "ratifica ed esecuzione dell’accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato Lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede": c.d. "accordi di Villa Madama") (per la quale "agli effetti tributati gli enti ecclesiastici, come pure le attivita’ dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di istruzione o di beneficenza") e’ irrilevante perche’ "ai fini della imposizione I.C.I." gli "gli enti ecclesiastici" (come "quelli con fini di istruzione o di beneficenza") "sono esentati dall’imposta, limitatamente agli immobili direttamente utilizzati per lo svolgimento delle loro attivita’ istituzionali (o di altre attivita’ rientranti, anche tramite il richiamo alla L. n. 222 del 1985, nella previsione dell’art. 7 L. ICI, lett. i)" ma non "per gli immobili destinati ad altro";
– "la destinazione degli utili ad una ripartizione in favore dei partecipanti all’attivita’ commerciale, o al perseguimento di fini sociali o religiosi e’ un momento successivo alla produzione degli utili stessi, che non fa venir meno il carattere commerciale dell’attivita’, e non rileva al fini della tassazione ICI".
In carenza di qualsivoglia convincente argomentazione contraria (che non si rinviene nelle complessive argomentazioni svolte dalla ricorrente in ricorso e nella memoria depositata), vanno, quindi, ribaditi il principio secondo cui, in base al D.Lgs. n. 504 del 1992 ed alle L. n. 121 del 1985 e L. n. 222 del 1985 (norme citate) "un ente ecclesiastico puo’ svolgere liberamente, nel rispetto delle leggi dello Stato, anche un’attivita’ di carattere commerciale, ma non per questo si modifica la natura dell’attivita’ stessa, e, soprattutto, le norme applicabili al suo svolgimento rimangono, anche agli effetti tributari, quelle previste per le attivita’ commerciali, senza che rilevi che l’ente la svolga, oppure no, in via esclusiva, o prevalente" nonche’ il corollario per il quale "gli immobili destinati" da un ente ecclesiastico ad attivita’ "oggettivamente commerciali", siccome non "soltanto ricettive o sanitarie" quindi "ricomprese nella previsione dell’art-. 7, lett. i)", non rientrano "nell’ambito dell’esenzione dell’ICI" attesa l’irrilevanza della destinazione degli utili eventualmente ricavati "al perseguimento di fini sociali o religiosi".
D. Tale principio (come il conseguente corollario) non puo’ ritenersi superato dal D.L. 17 agosto 2005, n. 163, art. 6 (rubricato "esenzione dall’ICI per particolari immobili") (invocato dalla ricorrente) – per il cui comma 1 "l’esenzione prevista dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i), e successive modificazioni, si intende applicabile anche nei casi di immobili utilizzati per le attivita’ di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura di cui alla L. 20 maggio 1985, n. 222, art. 16, comma 1, lett. b, pur svolte in forma commerciale se connesse a finalita’ di religione o di culto" – in quanto (giusta anche il comunicato del Ministero della Giustizia pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 243 del 18 ottobre 2005) detto decreto legge non e’ stato convertito in legge nel termine (art. 77 Cost., comma 3) di sessanta giorni dalla sua pubblicazione e, quindi, le norme contenute nello stesso sono improduttive di qualsivoglia effetto giuridico.
Il principio ed il corollario detti, inoltre, conservano la loro validita’ ratione temporis perche’ non incisi dalle seguenti norme sopravvenute, ovverosia:
– dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248 (di conversione del D.L. 30 settembre 2005 n. 203), che ha inserito nel D.L. convertito, all’art. 7 il comma 2 bis del seguente tenore testuale: "l’esenzione disposta dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i), si intende applicabile alle attivita’ indicate nella medesima lettera a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse";
– dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 2, comma 133 che, a sua volta, ha "aggiunto", in fine al comma 2 bis detto, "il seguente periodo": "con riferimento ad eventuali pagamenti effettuati prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto non si fa comunque luogo a rimborsi e restituzioni d’imposta";
– dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 39 (convertito in L. 4 agosto 2006, n. 248) – specificamente rubricato " modifica della disciplina di esenzione dall’ICI" – che, infine, ha "sostituito" il riprodotto testo originario del comma 2 bis con il seguente: "l’esenzione disposta dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i), si intende applicabile alle attivita’ indicate nella medesima lettera che non abbiano esclusivamente natura commerciale".
Dall’esame delle richiamate norme sopravvenute, infatti, si ricava, in primo luogo, che con le disposizioni successive a quella emanata nell’agosto 2005 il legislatore:
(1) ha del tutto abbandonato il riferimento agli "immobili utilizzati per le attivita’ di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura di cui alla L. 20 maggio 1985, n. 222, art. 16, comma 1, lett. b" contenuto nel D.L. n. 163 del 2005, art. 6 (non convertito):
conseguentemente, ai fini dell’ICI, come gia’ affermato che questa Corte (sentenza n. 4645 del 2004, cit.) non puo’ essere riconosciuto nessun trattamento fiscale differenziato autonomo a detti immobili per le attivita’ considerate nell’art. 16, lett. b;
(2) ha previsto l’applicabilita’ ("si intende applicabile") dell’"esenzione disposta dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i)" alle "attivita’ indicate nella medesima lettera" (a) con la L. n. 248 del 2005, "a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse", e (b) con il D.L. n. 223 del 2006 (convertito nella L. n. 248 del 2006), se quelle attivita’ "non abbiano esclusivamente natura commerciale".
Come ricordato innanzi, la Corte delle leggi (sentenza n. 119 del 1999 cit.) ha chiarito che l’esenzione dall’ICI prevista "al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, lett. b), e), d), g), h), i)" riguarda sempre "immobili destinati ad attivita’ peculiari che non siano produttive di lucro e di reddito".
La necessita’, affermata dalla Corte Costituzionale, che, ai fini del riconoscimento dell’esenzione prevista dalla norma, le attivita’ esercitate negli immobili "non siano produttive di lucro e di reddito" costituisce, quindi, secondo la stessa Corte, imprescindibile condizione (anche logico giuridica) per la delimitazione della fattispecie legale della esenzione prevista dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7: di conseguenza – tenuto conto che, come "piu’ volte precisato" dalla Corte costituzionale (di recente nel provvedimento 27 luglio 2007 n. 330) "la retroattivita’ propria dell’interpretazione autentica non tollera logicamente eccezioni al significato attribuito alla legge interpretata" -, non puo’ ritenersi che rientri "nell’area semantica della disposizione" (ovverosia "tra le possibili letture del testo originario") dettata dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, lett. i), ("area" e "letture" cui, secondo Corte Cost., 7 novembre 2008 n. 362, occorre fare riferimento al fine di riscontare la "natura interpretativa" di una norma) la successiva disposizione con la quale il legislatore ha stabilito che l’esenzione in questione "si intende applicabile" alle "attivita’" indicate nella lettera detta una volta (L. n. 248 del 2005) a prescindere dalla natura eventualmente commerciale di quelle attivita’ e, successivamente (D.L. n. 223 del 2006, convertito nella L. n. 248 del 2006), (solo) se quelle attivita’ non abbiano esclusivamente natura commerciale", essendo evidente che le due previsioni circa la rilevanza (peraltro di differente latitudine per ciascuna norma), ai fini dell’esclusione dall’imposta, della "natura commerciale" dell’attivita’ svolta nell’immobile (altrimenti soggetto all’imposta stessa) tolgono valore (in tutto od in parte) – imponendo una valutazione ermeneutica della disciplina normativa del tutto diversa dalla precedente – alla produzione "di lucro e di reddito" gia’ ritenuta, anche dalla Corte delle leggi (sentenza n. 119 del 1999 cit.), ostativa al riconoscimento dell’esclusione dall’imposta in base alla sola previsione dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, lett. i). Si deduce da tanto che nelle indicate sopravvenute norme difetta qualsiasi carattere di interpretazione autentica perche’ esse – imponendo di comunque valutare la "natura commerciale" dell’attivita’ espletata, considerata (si ripete: anche dalla Corte delle leggi) ostativa all’esclusione dall’imposta in base all’art. 7 lett. i) – Innovano la disciplina di quello che la Corte Costituzionale (ord. 19 dicembre 2006 n. 429) ha definito il "requisito oggettivo delle attivita’ da svolgersi negli immobili ai fini dell’esenzione dall’ICI" e, di conseguenza, che (diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente) nessuna di essa e’ applicabile alla specie essendo questa regolata dal testo del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7 vigente al momento di riferimento dell’imposta, nel caso (ampiamente) anteriore all’entrata in vigore delle nuove norme.
E. Il disposto della quarta alinea del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 111 bis (introdotto con il D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, art. 6 di "riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilita’ sociale) – per la quale "le disposizioni di cui ai commi 1 e 2" (in particolare, quella del comma 1 secondo cui "indipendentemente dalle previsioni statutarie, l’ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attivita’ commerciale per un intero periodo d’imposta") "non si applicano agli enti ecclesiastici riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili" -, infine, a prescindere dalla sua portata e dalla influenza dello stesso sull’ICI, non regola la fattispecie in esame (che riflette un annualita’ di imposta anteriore) perche’ per l’art. 30 dello stesso testo legislativo le sue "disposizioni… entrano in vigore il 1 gennaio 1998 e, relativamente alle imposte sui redditi, si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data del 31 dicembre 1997". 4. Nonostante l’integrale reiezione del ricorso, nessun provvedimento deve essere adottato in ordine alle spese processuali di questo giudizio di legittimita’ perche’ il Comune intimato non ha svolto attivita’ difensiva.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso.
Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 settembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2009
Autore:
Corte di Cassazione - Civile, Sez. Trib.
Dossier:
Enti religiosi, Italia, CESEN
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Enti ecclesiastici, Regime tributario, Beni immobili, Attività commerciali, Attività diverse, Agevolazioni fiscali, Fine di religione o di culto, Ici
Natura:
Sentenza