Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 21 Luglio 2006

Sentenza 20 luglio 2006, n.297

Corte Costituzionale. Sentenza 20 luglio 2006, n. 297: “IRC: infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, della legge n. 186/2003 (Norme sullo stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica)”.

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

– Franco BILE Presidente

– Giovanni Maria FLICK Giudice

– Francesco AMIRANTE ”

– Ugo DE SIERVO ”

– Paolo MADDALENA ”

– Alfio FINOCCHIARO ”

– Alfonso QUARANTA ”

– Franco GALLO ”

– Luigi MAZZELLA ”

– Gaetano SILVESTRI ”

– Sabino CASSESE ”

– Maria Rita SAULLE ”

– Giuseppe TESAURO ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, della legge 18 luglio 2003, n. 186 (Norme sullo stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado), promossi con due ordinanze del 29 gennaio 2005 dal Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sezione staccata di Lecce, sui ricorsi proposti da A. R. M. ed altra e da M. G. contro il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ed altro, iscritte ai numeri 216 e 217 del registro ordinanze 2005 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2005.

Visti gli atti di costituzione di A. R. M. ed altra e di M. G., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 4 luglio 2006 il Giudice relatore Sabino Cassese;

udito l’avvocato Fausto Buccellato per A. Rita M. ed altra e per M. G..

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sezione staccata di Lecce, con due distinte ordinanze (r.o. n. 216 e n. 217 del 2005) ha sollevato – in riferimento agli articoli 3, 4, 51 e 97 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, della legge 18 luglio 2003, n. 186 (Norme sullo stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado).

La disposizione impugnata prevede che il primo concorso per l’accesso in ruolo degli insegnanti di religione cattolica è riservato esclusivamente a quelli che hanno «prestato continuativamente servizio per almeno quattro anni nel corso degli ultimi dieci anni e per un orario complessivamente non inferiore alla metà di quello d’obbligo anche in ordini e gradi scolastici diversi» e sono in possesso di altri requisiti.

Dinanzi al Tar pendono due giudizi promossi da docenti precari – incaricati dell’insegnamento di religione cattolica per periodi diversi, ma non continuativi, per almeno quattro anni – volti all’annullamento del bando di concorso (decreto del direttore generale del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, 2 febbraio 2004), adottato in applicazione dell’art. 5 suddetto, e dei decreti con i quali i ricorrenti erano stati esclusi dalla procedura concorsuale per difetto del requisito del quadriennio continuativo di servizio ed erano state annullate le prove sostenute. La domanda di sospensione di questi ultimi decreti è stata accolta, sino alla definizione del giudizio incidentale di legittimità costituzionale.

Nelle due analoghe ordinanze di remissione, il giudice premette che i ricorrenti hanno eccepito l’illegittimità dell’art. 5 in argomento.

In ordine alla rilevanza, il giudice sostiene che l’eliminazione dalla norma in questione del requisito della continuità del servizio determinerebbe la caducazione della corrispondente previsione contenuta nel bando di concorso e, quindi, l’ammissione dei ricorrenti al concorso riservato.

Quanto alla non manifesta infondatezza, precisato che non è contestato che i ricorrenti sono in possesso del requisito del servizio almeno quadriennale, ma non continuativo, il rimettente prospetta la violazione degli artt. 3, 4, 51 e 97 Cost., ad opera della norma impugnata, nella parte in cui richiede il servizio di insegnamento prestato in maniera continuativa per un quadriennio nell’ultimo decennio e non il servizio di durata quadriennale, comunque prestato nello stesso periodo.

A sostegno della incostituzionalità, il Tar richiama la giurisprudenza della Corte in ordine al controllo di ragionevolezza delle scelte operate dal legislatore, che ne ammette il sindacato in caso di «palese arbitrarietà od irrazionalità» (sentenze n. 437 del 2002, n. 431 e n. 466 del 1997, n. 113 del 1996). Precisa che le pronunce relative all’accesso al pubblico impiego (sentenze n. 136 e n. 205 del 2004) hanno evidenziato il nesso esistente con la regola costituzionale del pubblico concorso di cui all’art. 97, terzo comma, Cost. In particolare, ricorda che, secondo la Corte, il concorso pubblico costituisce «la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale al canone di efficienza dell’amministrazione» (sentenze n. 34 del 2004, n. 194 del 2002 e n. 1 del 1999) e che tale regola può dirsi rispettata «solo quando le selezioni non siano caratterizzate da arbitrarie ed irragionevoli forme di restrizione dell’ambito dei soggetti legittimati a parteciparvi» (sentenza n. 205 del 2004). In tale direzione, recependo le argomentazioni contenute nei ricorsi introduttivi, il Tar mette in luce che la previsione della continuità del servizio non risponde alla finalità di selezionare il precariato più recente e conduce all’ipotesi paradossale di escludere dal concorso chi abbia comunque insegnato per otto anni (con due interruzioni annuali) e, quindi, per un periodo doppio rispetto a chi abbia il requisito quadriennale continuativo. In definitiva, secondo il giudice remittente, il requisito della continuità del quadriennio, delimitando il periodo temporale ritenuto idoneo alla partecipazione al concorso di soggetti in possesso di sufficienti requisiti di professionalità, determina una arbitraria ed irragionevole forma di restrizione dei soggetti legittimati.

2. – In entrambi i giudizi, con atti analoghi, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

La difesa erariale si sofferma sul contenuto dell’intera legge, mettendone in evidenza la matrice concordataria, nel cui contesto sono stati istituiti i ruoli degli insegnanti di religione cattolica. Sottolineato il carattere transitorio della norma impugnata, che disciplina i requisiti per l’accesso soltanto per il primo concorso, l’Avvocatura sostiene che il servizio continuativo è stato richiesto «all’evidente scopo di valorizzare l’esperienza professionale acquisita attraverso una maggiore concentrazione del servizio dimostrata dalla continuità senza soluzioni e per ciò stesso non frammentaria e atomizzata». Il legislatore, quindi, avrebbe non irragionevolmente esercitato il proprio potere discrezionale privilegiando l’esperienza professionale acquisita «con la maggiore garanzia di consistenza, dimostrata, appunto, dal periodo di servizio quadriennale ininterrotto», coniugato ad altri requisiti.

3. – Si sono costituiti con memorie distinte, ma analoghe, i ricorrenti dei giudizi principali, chiedendo l’accoglimento della questione.

In generale, a sostegno della irragionevolezza, sottolineano i risultati «aberranti» cui conduce il requisito della continuità, già messi in luce dalle ordinanze di remissione, nonché la mancanza di ragionevolezza di una delimitazione temporale continuativa all’interno di un periodo ampio, atteso che l’unico fine ragionevole dovrebbe essere la selezione a monte del precariato in possesso di un’esperienza più consistente, soddisfatta pienamente dalla richiesta dei quattro anni nell’arco di dieci, visto che l’esperienza discende dal numero di anni di servizio e non dalla loro continuità.

In particolare, rispetto alla violazione dell’art. 3 Cost., le parti private sostengono che la norma impugnata attribuisce un trattamento deteriore agli insegnanti che si troverebbero in una situazione più meritevole, avendo prestato servizio per più anni non continuativi, ai fini della formazione della graduatoria, in base alle previsioni dello stesso art. 5, secondo cui il servizio prestato è titolo valutabile a tali fini (allegato n. 5 al bando di concorso). L’art. 4 Cost. sarebbe violato, restando limitato il diritto al lavoro dei più meritevoli. Con riferimento alla previsione dell’art. 51 Cost., che garantisce il diritto all’accesso agli impieghi pubblici in posizione di eguaglianza, sostengono che la disposizione impugnata esclude dal concorso i soggetti che, sulla base della stessa norma, possiedono «merito concorsuale maggiore». Quanto alla violazione dell’art. 97 Cost., infine, lo sbarramento alla partecipazione al concorso «non costituisce certamente un mezzo di selezione dei migliori».

Da ultimo, secondo le parti intervenute, l’irragionevolezza della disposizione contestata emergerebbe anche dalla circostanza che la stessa costituisce un «unicum» nell’intera legislazione scolastica concernente l’accesso in ruolo dei precari.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sezione staccata di Lecce, con due distinte ordinanze (r.o. n. 216 e 217 del 2005) ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 4, 51 e 97 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, della legge 18 luglio 2003, n. 186 (Norme sullo stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado).

La disposizione impugnata stabilisce che il primo concorso per l’accesso in ruolo degli insegnanti di religione cattolica è riservato esclusivamente a coloro che hanno «prestato continuativamente servizio per almeno quattro anni nel corso degli ultimi dieci anni» e sono in possesso di altri requisiti. Il giudice remittente censura la norma, rispetto ai parametri costituzionali suddetti, nella parte in cui è richiesto il servizio di insegnamento prestato in maniera continuativa per un quadriennio nell’ultimo decennio e non il servizio di durata quadriennale, comunque prestato nello stesso periodo.

La norma impugnata si inserisce, quale disposizione transitoria, nella legge n. 186 del 2003, con la quale lo Stato ha realizzato l’intento di «dare una nuova disciplina dello stato giuridico degli insegnanti di religione»; intento manifestato nel preambolo dell’Intesa, intervenuta il 14 dicembre 1985 tra l’autorità scolastica italiana e la Conferenza episcopale italiana per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, resa esecutiva dal decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1985, n. 751 (Esecuzione dell’intesa tra l’autorità scolastica italiana e la Conferenza episcopale italiana per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche).

Tale legge ha istituito i ruoli degli insegnanti di religione cattolica, assicurando la stabilità del rapporto di servizio del docente, prima regolato mediante incarichi annuali. In particolare, è stata stabilita la consistenza delle dotazioni organiche, pari al settanta per cento dei posti di insegnamento (art. 2), mentre il restante trenta per cento viene coperto mediante contratto di lavoro a tempo determinato (art. 3, comma 10); per i docenti di ruolo, è stata prevista l’applicabilità delle norme sullo stato giuridico ed economico del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado) e della contrattazione collettiva, salve le norme speciali previste nella stessa legge (art. 1); sono state disciplinate le modalità di accesso ai ruoli, mediante concorsi per titoli ed esami senza restrizioni (art. 3). In questo contesto, il legislatore si è occupato del primo concorso, richiedendo per l’ammissione – oltre ai requisiti costituiti dal possesso dei titoli professionali – la continuità dell’insegnamento per almeno quattro anni nel corso degli ultimi dieci.

La questione sottoposta alla Corte censura, appunto, la disposizione che fissa il requisito del servizio continuativo in quattro anni. Il giudice remittente sostiene l’irragionevolezza del suddetto criterio, volto a restringere il numero dei soggetti legittimati a partecipare al primo concorso per l’accesso in ruolo. Tale criterio non troverebbe giustificazione «nella volontà di dare prevalenza all’attività di insegnamento espletata in data più recente», atteso che la continuità quadriennale può risalire anche al primo quadriennio del decennio. Inoltre, comporterebbe l’esclusione dei docenti con maggiore professionalità, quale sarebbe quella acquisita mediante un servizio in ipotesi di durata largamente superiore rispetto a quella quadriennale richiesta, ma non continuativa.

2. – Le ordinanze di remissione pongono identica questione di costituzionalità rispetto alla stessa disposizione di legge; conseguentemente, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia.

3. – La questione non è fondata.

Nel valutare la conformità a Costituzione della norma impugnata, occorre tener conto del suo carattere eccezionale rispetto al contesto normativo in cui è inserita. Essa, infatti, disciplina il primo inquadramento in ruolo di una categoria di insegnanti che ha operato tradizionalmente con un rapporto di servizio costituito mediante incarico annuale e non in base a concorso. Solo in virtù di tale carattere eccezionale, la norma in questione sfugge al dubbio di costituzionalità, che deriva dalla riserva di tutti i posti ai soli incaricati annuali che la stessa norma ammette al concorso (sent. n. 205 del 2004).

Secondo il costante orientamento di questa Corte, la scelta di introdurre norme del genere «è espressione di discrezionalità legislativa, non censurabile sotto il profilo del principio di parità di trattamento di cui all’art. 3 Cost., se non esercitata in modo palesemente irragionevole» (sentenze n. 136 e n. 35 del 2004, nonché n. 208 del 2002, e ordinanza n. 168 del 2001).

I tre criteri prescelti nel caso in esame (il quadriennio, l’ambito dell’ultimo decennio e la continuità) sono tra di loro congruenti e, nell’insieme, non palesemente irragionevoli. Il legislatore – nell’ambito delle possibilità di scelta compatibili con i principi costituzionali – ha ritenuto che l’espletamento continuativo, nell’ultimo decennio, per quattro anni, dell’insegnamento della religione cattolica costituisce indice di una più sicura professionalità e, su tale base, ha delimitato l’accesso al concorso per la copertura dei primi posti nel ruolo organico dei docenti in argomento (analogamente sentenza n. 412 del 1988).

Data la stretta connessione con cui i vari profili di censura sono stati formulati, le considerazioni che precedono comportano la dichiarazione di non fondatezza della questione in riferimento a tutti i parametri evocati.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, della legge 18 luglio 2003, n. 186 (Norme sullo stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 4, 51 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sezione staccata di Lecce, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2006.

Franco BILE, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2006.

Il Direttore della Cancelleria

DI PAOLA