Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 23 Gennaio 2011

Sentenza 20 gennaio 2011, n.1343

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 20 gennaio 2011, n. 1343: "Matrimonio concordatario di lunga durata e sentenza ecclesiastica dichiarativa di nullità per esclusione unilaterale di uno dei bona matrimonii. Indelibabilità per contrarietà all'ordine pubblico italiano".

Presidente Rel. Vittoria

(omissis)

Svolgimento del processo

1. – V.G.M. , con citazione 26.11.2002, conveniva in giudizio davanti alla corte d'appello di Venezia R.M.L. .
Esponeva d'avere contratto con lei matrimonio concordatario il X-X-1972.
Il matrimonio era stato dichiarato nullo dal Tribunale ecclesiastico regionale ligure con sentenza 25.11.1994, confermata dal Tribunale ecclesiastico della Rota Romana e dichiarata esecutiva dal Supremo tribunale della Segnatura apostolica con decreto del 29.3.2001.
L'attore chiedeva quindi che fosse dichiarata l'efficacia agli effetti civili della pronuncia di nullità del matrimonio.
R.M.L. si opponeva alla domanda e tra l'altro deduceva che la pronuncia di nullità era in contrasto con l'ordine pubblico italiano, perché mancava la prova che il suo rifiuto di avere figli fosse anteriore al matrimonio.
2. – La corte d'appello di Venezia, con sentenza 15.10.2002, rigettava la domanda.
Considerava che dagli atti del processo ecclesiastico non risultava che la R. avesse manifestato al marito, prima del matrimonio, la volontà di non avere figli e neppure che una tale intenzione fosse riconoscibile: conseguentemente la decisione del tribunale ecclesiastico doveva essere ritenuta in contrasto con l'ordine pubblico.
3. – Su ricorso di V.G.M. proposto per due motivi, questa Corte, con sentenza 28.1.2005, ne accoglieva il secondo, dichiarava assorbito il primo, cassava e rinviava alla corte di appello di Venezia.
4. – La Corte, in quella circostanza, ha osservato che la corte d'appello di Venezia aveva ritenuto che il limite dell'ordine pubblico impedisce la dichiarazione di esecutività della sentenza ecclesiastica, qualora l'intentio contraria ad uno dei bona matrimonii, riferibile ad uno solo degli sposi, non sia stata conosciuta e conoscibile da parte dell'altro, anche se – come nella specie era accaduto – la relativa domanda sia stata proposta dal coniuge ignaro.
Cassando la sentenza ha enunciato il seguente principio di diritto: – “La dichiarazione di esecutività nell'ordinamento italiano della sentenza ecclesiastica che dichiara la nullità del matrimonio concordatario, a causa dell'esclusione da parte di uno dei coniugi di uno dei bona matrimonii, trova ostacolo nell'ordine pubblico, qualora detta esclusione sia rimasta nella sfera psichica del suo autore e non sia stata manifestata, ovvero conosciuta o conoscibile dall'altro coniuge, in quanto si pone in contrasto con l'inderogabile principio della tutela della buona fede e dell'affidamento incolpevole, il quale è tuttavia ricollegato ad un valore individuale che appartiene alla sfera di disponibilità del soggetto ed è preordinato a tutelare questo valore contro gli ingiusti attacchi esterni. Pertanto, al suo titolare va riconosciuto il diritto di scegliere la non conservazione del rapporto viziato per fatto dell'altra parte e, conseguentemente non sussiste ostacolo alla delibazione della sentenza nel caso in cui il coniuge che ignorava, o non poteva conoscere, il vizio del consenso dell'altro coniuge chieda la dichiarazione di esecutività della sentenza ecclesiastica da parte della Corte d'appello”.
5. – Il giudizio è stato riassunto da V.G.M. e davanti alla corte d'appello in sede di rinvio R.M.L. si è costituita ed ha riproposto le proprie precedenti difese.
Il giudice di rinvio – dopo aver constatato che il caso oggetto della domanda era appunto quello descritto nel principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione – soffermandosi sulle difese svolte dalla R. – ha osservato – secondo quanto viene riferito nella sentenza di rinvio – che costei aveva insistito su altra questione, ostativa al riconoscimento della sentenza ecclesiastica, già dedotta nel precedente grado di merito, concernente la problematica relativa all'applicabilità del limite posto dall'art. 123 cod. civ..
La R. – così riferisce la corte d'appello di Venezia -sosteneva che, stante la convivenza ventennale tra i coniugi dopo la celebrazione del matrimonio, alla stregua della citata norma del codice civile – espressione di un principio di ordine pubblico sarebbe stata inibita la dichiarazione di simulazione del matrimonio (certamente equivalente al caso che era in esame), con la conseguenza che la sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio per esclusione dei "bona matrimonii" non avrebbe potuto essere riconosciuta nel nostro ordinamento.
Al riguardo – giudicando la questione non fondata – la corte d'appello ha rilevato che la giurisprudenza di questa Corte era molto chiara nel senso di ritenere che il principio di cui all'art. 123 cod. civ. e di conseguenza il suo presupposto in fatto, cioè la convivenza, non costituiscono espressione di principi e regole fondamentali all'istituto del matrimonio.
6. – Della sentenza 11.6.2007 della corte d'appello di Venezia pronunziata in sede di rinvio, a lei notificata il 3.10.2007, R.M.L. ha chiesto la cassazione con ricorso, la cui notifica, chiesta il 3.12.2007 – successivo a giorno festivo – è stata eseguita il 6.12.2007.
V.G.M. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. – Il ricorso contiene un motivo.
La cassazione vi è chiesta per il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 8 L. 25 marzo 1985, n. 121; 64, lett. g) L. 31 maggio 1995, n. 219; 123 cod. civ. e 29 Cost.).
È concluso dal seguente quesito di diritto: – “Se possa essere riconosciuta nello Stato italiano la sentenza ecclesiastica che dichiara la nullità del matrimonio, quando i coniugi abbiano convissuto come tali per oltre un anno, nella fattispecie per vent'anni, e se detta sentenza produca effetti contrari all'ordine pubblico, per contrasto con gli artt. 123 c.c. e 29 Cost.”.
2. – La parte ha ripercorso l'itinerario della giurisprudenza di legittimità osservando, che sino alla sentenza 4701 del 1988 delle sezioni unite, la Corte si era in prevalenza orientata nel senso di riconoscere la contrarietà all'ordine pubblico della sentenza del tribunale ecclesiastico che non avesse tenuto in conto la disposizione dell'art. 123, comma 2, cod. civ., e ciò perché l'effettiva instaurazione del rapporto matrimoniale con la pienezza della convivenza morale e materiale dei coniugi avrebbe precluso ogni possibilità di far valere vizi simulatori dell'atto matrimoniale – come sentenze orientate in questo senso ha indicato la 192 del 1988, le 5358 e 5354 del 1987.
Dopo aver affermato che – come risultava dalla citazione in riassunzione – il matrimonio era stato contratto nel 1972 e la separazione era stata omologata nel 1992, la parte ha concluso dicendo di reputare che “vanificare una convivenza ventennale con perdita per la ricorrente dei diritti derivati dal matrimonio dichiarato nullo (in caso di passaggio in giudicato della sentenza ora impugnata) sia in contrasto, oltre che con l'ordine pubblico, con il dettato costituzionale, che all'art. 29 assicura l'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi”.
Dal canto suo il resistente ha ribattuto richiamandosi a quanto statuito, in senso contrario, nella sentenza 4700 del 1988 delle sezioni unite e poi in una successiva decisione, indicata nella sentenza 10143 del 2002.
3. – Il motivo è fondato.
La rivisitazione della precedente giurisprudenza della Corte, compiuta in questa materia dalle sezioni unite con la sentenza 18.7.2008 n. 19809, ha consentito di mettere in rilievo che “L'ordine pubblico interno matrimoniale evidenzia un palese favor per la validità del matrimonio quale fonte del rapporto familiare incidente sulla persona e oggetto di rilievo e tutela costituzionali, con la conseguenza che i motivi per i quali esso si contrae, che, in quanto attinenti alla coscienza, sono rilevanti per l'ordinamento canonico, non hanno di regola significato per l'annullamento in sede civile”.
Nella medesima decisione si è osservato come nella sentenza 6 marzo 2003 n. 3339 fosse stato dato implicito rilievo anche al matrimonio-rapporto, che nell'ordine pubblico italiano ha una incidenza rilevante, per i principi emergenti dalla Costituzione e dalla riforma del diritto di famiglia, ed impedisce di annullare il matrimonio dopo che è iniziata la convivenza e spesso se questa è durata per un certo tempo (come si desume dagli artt. 120 cpv, 121 comma 3 e 123 cpv. cod. civ.).
Si è quindi osservato che “Non appare condivisibile, alla luce della distinzione enunciata tra cause di incompatibilità assoluta e relativa delle sentenze di altri ordinamenti con l'ordine pubblico interno, qualificare come relative quelle delle pronunce di annullamento canonico intervenute dopo molti anni di convivenza e di coabitazione dei coniugi, ritenendo l'impedimento a chiedere l'annullamento di cui sopra mera condizione di azionabilità, da considerare esterna e irrilevante come ostacolo d'ordine pubblico alla delibazione”.
La considerazione di fondo che sorregge tale scelta è in ciò, che, riferita a date situazioni invalidanti dell'atto matrimonio, la successiva prolungata convivenza è considerata espressiva di una volontà di accettazione del rapporto che ne è seguito e con questa volontà è incompatibile il successivo esercizio della facoltà di rimetterlo in discussione, altrimenti riconosciuta dalla legge.
La Corte condivide questa impostazione.
Ritiene dunque che la sentenza impugnata presenti il vizio denunziato nel motivo, per avere considerato in linea di principio non ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, pronunciata a motivo del rifiuto della procreazione, sottaciuto da un coniuge all'altro, la loro particolarmente prolungata convivenza oltre il matrimonio.
4. – Il ricorso è accolto e la sentenza è cassata.
5. – La Corte ritiene che – dedotto e non contestato che la convivenza si è protratta per quasi un ventennio – non siano necessari ulteriori accertamenti per addivenire sulla domanda ad una pronunzia di merito, che rientra dunque, secondo l'art. 384 cod. proc. civ., nei suoi poteri.
La conclusione è che la domanda deve essere rigettata.
6. – Le spese dell'intero giudizio debbono essere interamente compensate: il processo ha conosciuto alterne vicende e nel suo corso gli orientamenti della giurisprudenza si sono venuti modificando.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e pronunciando nel merito rigetta la domanda; compensa le spese dell'intero giudizio.