Sentenza 19 ottobre 2007, n.22011
Corte di Cassazione. Sezione Prima Civile. Sentenza 19 ottobre 2007, n. 22011: “Matrimonio concordatario ed esclusione dell’indissolubilità del vincolo”.
La CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI – Presidente
Dott. Fabrizio FORTE – Consigliere
Dott. Paolo GIULIANI – ”
Dott. Maria Rosaria SAN GIORGIO – ”
Dott. Alberto GIUSTI – ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
L. P.B.d.G.d.D.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via del Tritone n. 169, presso lo studio dell’Avv. Prof. Lorenza d’Avack che lo rappresenta e difende in forza di procura speciale a margine del ricorso
– ricorrente
CONTRO
F.I. C., elettivamente domiciliata in Roma, Via Tacito n. 90, presso lo studio ell’Avv. Giuseppe Miuccio che la rappresenta e difende in forza di procura speciale a margine del controricorso
– controricorrente
NONCHE’
Procuratore genenale della Repubblica presso la Corte di Appello di Perugia
– intimato
E
Procuratore generale presso la Corte di Cassazione
– intimato
avverso la sentenza della Corte di Appello di Perugia n. 396/2005, pronunicata il 7 luglio 2005 e pubblicata il 20 ottobre 2005.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 3 luglio 2007 dal Consigliere dott. Paolo Giuliani.
Uditi i difensori delle parti.
Udito il P.M., in perssna del Sostituto procuratore generale dott. Pierfelice Pratis, il quale ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 3.11.2003, P.B.d. G.d.D.A.L. (nel seguito, denominato semplicemente P.B.) conveniva davanti alla Corte di Appello di Perugia C.F.I., chiedendo che venisse riconosciuta l’efficacia nell’ordinamento italiano della sentenza, pronunciata il 22.11.1996 dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Umbro, ratificata mediante sentenza in data 16.5.2002 del Tribunale della Rota Romana e resa esecutiva attraverso il decreto del 23.9.2002 emesso dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, in forza della quale era stata dichiarata la nullità (“per difetto del consenso matrimoniale da parte dell’uomo attore per esclusione della indissolubilità”) del matrimonio concordatario da loro contratto in (…).
Costituitasi in giudizio, la convenuta deduceva, preliminarmente, che nella sede ecclesiastica erano state commesse gravi violazioni del suo diritto alla difesa e, nel merito, che la riserva mentale del coniuge non era stata da lei conosciuta prima del matrimonio.
La Corte territoriale adita, con sentenza del 7.7/20.10.2005, respingeva la domanda del P.B., assumendo: a) che tutte le eccezioni preliminari proposte dalla medesima convenuta fossero da rigettare; b) che, in punto di merito, dovessero ritenersi non sussistenti le condizioni per il riconoscimento della pronuncia ecclesiastica sopra richiamata; c) che sulla base, infatti, delle prove acquisite nel processo canonico, fosse da escludere che il P.B. avesse fatto partecipe la C. della sua volontà di subordinare il matrimonio alla condizione/riserva dell’esclusione dell’indissolubilità, né in modo espresso né attraverso fatti dai quali tale volontà potesse univocamente desumersi con l’ordinaria diligenza; d) che, in particolare, dalla “confessione giudiziale” resa dal P.B. nel processo canonico non si evincesse se non la volontà anzidetta, laddove dalle ulteriori prove ivi acquisite, ritenute confermative di siffatta volontà, non si ricavava alcunché in ordine alla “divulgazione” della stessa ai di fuori della cerchia familiare, trattandosi di elementi inidonei e comunque del tutto insufficienti a radicare la prova rigorosa della conoscenza o conoscibilità, da parte della C., della riserva/condizione in oggetto; e) che, del resto, a fronte delle eccezioni della convenuta al riguardo, nessuna consistente difesa l’attore avesse svolto in sede di delibazione, essendosi limitato a riportare il pensiero del Tribunale Rotale; f) che, nella specie, dunque, ricorresse l’ostativo limite dell’ordine pubblico.
Avverso tale sentenza, ricorre per Cassazione il P.B., deducendo un solo motivo di impugnazione, illustrato da memoria, cui resiste con controricorso la C..
Motivi della decisione
Si osserva preliminarmente come non trovi applicazione nella specie il disposto dell’art. 366 bis c.p.c., cui l’odierno ricorrente ha fatto implicito, erroneo riferimento in calce al motivo anzidetto, enunciando il “quesito” da sottoporre a questa Corte.
La norma de qua, infatti, è stata introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, là dove, però, ai sensi del medesimo D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2, le disposizioni ivi contenute si applicano ai ricorsi per Cassazione proposti avverse le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati dalla data di entrata in vigore di tale decreto legislativo, ovvero dal “2 marzo 2006”, mentre, nella specie, la gravata sentenza risulta pubblicata in data “20 ottobre 2005”.
Tanto premesso, lamenta il ricorrente, con l’unico motivo di impugnazione, in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 8, n. 2, dell’Accordo del 18.2.1984, modificativo del Concordato Lateranense dell’11.2.1929, nonché vizio di motivazione, nella parte in cui la Corte di merito, rifiutando la delibazione, ha ritenuto che la simulazione unilaterale del consenso da parte del P.B. non fosse stata manifestata alla futura moglie prima del matrimonio, né fosse da questa conoscibile, così come accertato dalla stessa sentenza ecclesiastica.
Deduce, in particolare, il medesimo ricorrente: a) che quest’ultima sentenza, nel suo decisum, ha affermato la conoscenza o la conoscibilità, da parte della C., della riserva mentale del nubendo; b) che, di contro, il Giudice della delibazione ha ritenuto di non condividere l’assunto del Tribunale ecclesiastico, sostenendo che gli elementi richiamati a supporto di tale convincimento non sono sufficienti per ricavare alcunché in ordine alla divulgazione della volontà condizionata al di fuori della cerchia familiare e che non sussiste in realtà alcuna circostanza atta a supportare l’assunto della conoscenza o della conoscibilità della riserva apposta dal futuro coniuge; c) che l’attenzione critica del Giudice della delibazione è incentrata esclusivamente su due brani, riportati nella sentenza impugnata, di lettere intercorse tra i nubendi, senza alcuna ulteriore attenzione a tutte le altre molteplici affermazioni del Tribunale Rotale sul punto, mancando, in particolare, qualsiasi indagine circa la vicenda prematrimoniale dei coniugi, caratterizzata da aspri conflitti, quale trovasi descritta nella pronuncia ecclesiastica; d) che la pretesa della Corte territoriale è stata quella di superare quanto già preso in considerazione da detto Tribunale, così da ricostruire i fatti in modo diverso senza, però, disporre degli elementi per farlo; e) che, se la medesima Corte, nell’indagine circa il contrasto con l’ordine pubblico, ha inteso avvalersi di criteri presuntivi, sarebbe stato più coerente attribuirsi la possibilità di svolgere un’istruttoria sul punto e tenere conto di quanto sarebbe potuto emergerne nel rispetto del diritto di difesa delle parti; f) che, se invece rimane esclusa l’apertura di un’apposita istruttoria e la sentenza delibanda resta l’unico elemento di riferimento per il giudice italiano, si finisce per attribuire a quest’ultimo un’assoluta discrezionalità quando tale giudice contraddice le risultanze alle quali è pervenuto, invece, il giudice ecclesiastico, senza nuovi elementi di supporto.
Il motivo non è fondato.
Giova, al riguardo, premettere, come (secondo il costante orientamento di questa Corte che l’odierno Collegio intende qui ribadire, non ravvisando motivi sufficienti per discostarsene e non condividendo in particolare le “critiche” avanzate dal ricorrente ancora nella memoria ex art. 378 c.p.c.) La declaratoria di esecutività della sentenza del Tribunale ecclesiastico il quale abbia pronunciato la nullità del matrimonio concordatario per esclusione, da parte di uno solo dei coniugi, di uno dei bona matrimonii, cioè per divergenza unilaterale tra volontà e dichiarazione, postuli che tale divergenza sia stata manifestata all’altro coniuge, ovvero che sia stata da questo in effetti conosciuta, ovvero che non gli sia stata nota esclusivamente a causa della sua negligenza, atteso che, qualora le menzionate situazioni non ricorrano, la delibazione trova ostacolo nella contrarietà all’ordine pubblico italiano, nel cui ambito va compreso il principio fondamentale di tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole (Cass. 16 maggio 2000, n. 6308; Cass. 8 gennaio 2001, n. 198; Cass. 28 marzo 2001, n. 4457; Cass. 12 luglio 2002, n. 10143; Cass. 6 marzo 2003, n. 3339; Cass. 29 aprile 2004, n. 8205; Cass. 7 dicembre 2005, n. 27078; Cass. 10 novembre 2006, n. 24047), laddove, peraltro, se, da un lato, il giudice italiano è tenuto ad accertare la conoscenza o l’oggettiva conoscibilità dell’esclusione anzidetta da parte dell’altro coniuge con piena autonomia, trattandosi di profilo estraneo, in quanto irrilevante, al processo canonico, senza limitarsi al controllo di legittimità della pronuncia ecclesiastica di nullità, dall’altro lato la relativa indagine deve essere condotta con esclusivo riferimento alla pronuncia da delibare ed agli atti del processo medesimo eventualmente acquisiti, opportunamente riesaminati e valutati, non essendovi luogo in fase di delibazione ad alcuna integrazione di attività istruttoria (Cass. 6308/2000, cit; Cass. 198/2001, cit.; Cass. 3339/2003, cit.; Cass. 20 ottobre 2005, n. 20281; Cass. 24047/2006, cit.), così che il convincimento del giudice di merito ai fini della decisione ed, in particolare, l’affermazione o l’esclusione, ad opera di quest’ultimo, che la riserva mentale di uno dei coniugi relativa ad uno dei bona matrimonii fosse conosciuta (o, comunque, conoscibile con l’uso della normale diligenza) da parte dell’altro, costituisce, se motivata secondo un logico e corretto iter argomentativo, statuizione insindacabile in sede di legittimità, ove non è lecito proporre, sotto il surrettizio profilo del preteso vizio di motivazione, doglianze in ordine all’apprezzamento dei fatti e delle prove operato dal giudice di merito, proponendone altri, diversi ed alternativi, rispetto a quello censurato (Cass. 2 settembre 1997, n. 8386; Cass. 4 luglio 1998, n. 6551; Cass. 24047/2006, cit).
Tanto premesso, è da notare, nella specie, come la Corte territoriale, sulla base dell’incensurato (di per sé) apprezzamento di fatto secondo il quale la sentenza ecclesiastica in oggetto “”ha dichiarato la nullità del matrimonio concordatario tra le parti “per difetto del consenso matrimoniale da parte dell’uomo attore per esclusione della indissolubilità””, abbia, quindi, rilevato: a) che, “”sulla base delle prove acquisite nel processo canonico, deve escludersi che il P.B. abbia fatto partecipe la C. della sua volontà di subordinare a “condizione/riserva” (esclusione della indissolubilità) il matrimonio, né in modo espresso nè con fatti dai quali tale volontà fosse univocamente desumibile con l’ordinaria diligenza””; b) che “dalla “confessione giudiziale” resa dal P.B. nel processo canonico non si evince se non la volontà testè detta. Né dalle ulteriori prove ivi acquisite, ritenute confermative di tale volontà, si evince alcunché in ordine alla “divulgazione” della stessa al di fuori della cerchia familiare, né con parole né con fatti concludenti”; c) che “”nella sentenza del Tribunale della Rota Romana si afferma “anche la convenuta si mostrò consapevole” della volontà dell’attore “contro la perpetuità del vincolo…Considerate infatti le peculiari condizioni e soprattutto l’animo tormentato dai dubbi con i quali l’attore andò alle nozze, si deve credere in pieno a L. quando afferma… la sua volontà contro la perpetuità del matrimonio con la C. e la conoscenza prima delle nozze da parte della convenuta della menzionata volontà di risolvere il vincolo, se del caso. D’altra parte, la convenuta ha in realtà confermato sia gli stessi dubbi sia l’incerta volontà con cui L. si determinò al matrimonio se sì considera che lei stessa…così scrisse all’attore anteriormente alle nozze: “Il problema è che tu non sei mai stato sicuro di questo, sennò il 22 luglio p.v. festeggiavamo sei mesi di matrimonio. Non sei mai stato sicuro di volerti sposare con me”. E l’attore stesso prima delle nozze scriveva a sua volta alla convenuta “Sei diventata intollerante, arrabbiata e indisponibile per ogni cosa e non metti nessun entusiasmo nella vita di coppia, ma tutte le attenzioni sono solo sui tuoi problemi o necessità e tuoi individualistici interessi. In questo clima non è facile vivere insieme e tantomeno sposarsi”. Perciò la convenuta ha avuto modo e potuto avere piena conoscenza della mancanza di intenzione di obbligarsi senza condizioni da parte dell’uomo nel contrarre matrimonio”.
Appare, dunque, palese da quanto precede come l’accertamento della Corte territoriale, al riguardo, preceduto dalla puntuale enunciazione dei principi sopra illustrati, si basi vuoi sulle “prove acquisite nel processo canonico”, ed, in particolare, sulla “confessione giudiziale” resa dal P.B. in quella sede, vuoi sulla “sentenza del Tribunale della Rota Romana”. Conviene, quindi, osservare che i relativi elementi così acquisiti: a) sono stati correttamente richiamati in via esclusiva, senza cioè che la medesima Corte, riportandoli analiticamente ed utilizzandoli ai fini della formazione del proprio convincimento, abbia fatto ricorso ad alcuna integrazione probatoria; b) risultano del tutto idonei a fondare il convincimento anzidetto, essendosi tradotti, nella specie, in un apprezzamento espresso con motivazione adeguata, immune da vizi logico-giuridici siccome articolata su un ragionevole e corretto iter argomentativo, particolarmente significati attraverso lo specifico riferimento vuoi alla “confessione giudiziale” resa dal P.B. nel processo canonico (dalla quale non si evince se non la volontà dell’uomo di subordinare a “condizione/riserva” – esclusione dell’indissolubilità – il matrimonio) ed alle “ulteriori prove ivi acquisite” (dalle quali non si “”evince alcunchè in ordine alla “divulgazione” della stessa al di fuori della cerchia familiare”), vuoi, soprattutto, al contenuto della pronuncia ecclesiastica quanto alle “affermazioni di L.” ed ai “colloqui epistolari” intervenuti tra i nubendi prima delle nozze (analiticamente descritti, le une e gli altri, nella sentenza sopra riportata), ovvero ad elementi istruttori che ben giustificano la conclusione, di cui alla decisione impugnata in questa sede, secondo la quale “trattasi, all’evidenza, di elementi inidonei e comunque del tutto insufficienti a radicare la prova rigorosa della conoscenza o conoscibilità da parte della Sig.ra C. della “riserva/condizione” in questione””, onde la ricorrenza, nel caso di specie, dell’indicato “ostacolo” dell’ordine pubblico.
Basti, a tale riguardo, osservare come le “affermazioni di L.” (circa “la sua volontà contro la perpetuità del matrimonio con la signora C. e la conoscenza, prima delle nozze, da parte della convenuta della menzionata volontà di risolvere il vincolo, se del caso”) costituiscano niente più che dichiarazioni “favorevoli” alla parte stessa che le ha rilasciate, onde simili dichiarazioni, sulla base dell’efficacia riconosciuta loro nell’ordinamento interno, hanno valenza meramente indiziaria potendo concorrere alla formazione del convincimento del giudice soltanto in relazione agli altri elementi acquisiti al processo (Cass. 16 gennaio 1987, n. 295; Cass. 3 aprile 2001, n. 4865), laddove, per quel che attiene agli anzidetti “colloqui epistolari”, la Corte territoriale ha ragionevolmente (e, quindi, correttamente) osservato: a) che da tali colloqui “”si evincono, al più, dei “dissidi” tra fidanzati, “normali” in qualsiasi vicenda di fidanzamento”; b) che “alla frase “Il problema è che tu non sei mai stato sicuro di questo, sennò il 22 luglio p.v. festeggiavamo sei mesi di matrimonio. Non sei mai stato sicuro di volerti sposare con me” non è concedibile la valenza di “indizio” che la C. avesse il “sospetto” (atto a renderla consapevole di ciò che segue) che il suo promesso sposo avesse in animo di “legarsi” a lei con la sottesa volontà contraria alla perpetuità del vincolo, giacchè la frase manifesta, al più, un rimprovero per il rinvio del coniugio e non contiene espressioni incompatibili con la convinzione che in capo ad entrambi i nubendi fosse ben fermo il principio dell’indissolubilità del matrimonio”; c) che “del pari, qualsiasi valenza nel senso “preteso” dal Tribunale Rotale deve essere negata alla frase dell’attore sopra riportata (“Sei diventata intollerante, arrabbiata e indisponibile per ogni cosa e non metti nessun entusiasmo nella vita di coppia, ma tutte le attenzioni sono solo sui tuoi problemi o necessità e tuoi individualistici interessi. In questo clima non è facile vivere insieme e tantomeno sposarsi”), anch’essa manifestando, al più, un rimprovero/una doglianza in relazione alle vicende del rapporto e non essendo recepibile da nessun interlocutore come manifestazione di volontà, da parte del dichiarante, contraria alla perpetuità del vincolo”.
Né, del resto, appaiono fondate le deduzioni del ricorrente, segnatamente là dove quest’ultimo: a) per un verso, non ha specificato, riportandone semmai in dettaglio il contenuto così da assolvere al requisito stesso dell’autosufficienza del ricorso e da permettere a questa Corte di apprezzarne la decisi vita o meno, “tutte le altre molteplici affermazioni del Tribunale della Rota sul punto” (pagina 7 del ricorso), senza che, comunque, gli “aspri conflitti” (di cui alla medesima pagina 7) i quali avrebbero caratterizzato la vicenda prematrimoniali dei coniugi possano minimamente equivalere alla “conoscenza o conoscibilità da parte della moglie della riserva mentale del marito prima del matrimonio”; b) per altro verso, si è limitato a riportare semplicemente il brano della sentenza ecclesiastica (pagina 8 del ricorso) in cui il suindicato Tribunale ha affermato “Ma (la C.) continuò a far pressioni sull’uomo. Non si deve prestar fede alla sig.ra C. allorchè nega, se si considera che nelle dichiarazioni della medesima si trovano svariate contraddizioni che non consentono di attribuirle credibilità”, là dove, però, appare evidente come il “passaggio” in questione non risulti affatto decisivo, non aggiungendo nulla di particolare, in ragione della sua stessa genericità e non trovandosi, cioè, specificate nè le “”dichiarazioni della medesima” nè le “svariate contraddizioni, a quanto già prima illustrato.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
La sorte delle spese del giudizio di Cassazione segue il disposto dell’art. 385 c.p.c., comma 1, liquidandosi dette spese in complessivi Euro 3.600,00, di cui Euro 3.500,00 per onorari, oltre le spese generali (nella misura percentuale del 12,50% sull’importo degli onorari medesimi) e gli accessori (I.V.A. e Cassa Previdenza Avvocati) dovuti per legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso in favore della controricorrente delle spese del giudizio di Cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.600,00, di cui Euro 3.500,00 per onorari, oltre le spese generali e gli accessori dovuti per legge.
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2007.
Maria Gabriella LUCCIOLI – Presidente
Paolo GIULIANI – Estensore
Autore:
Corte di Cassazione - Civile
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Ordine pubblico, Matrimonio concordatario, Bona matrimonii, Riserva mentale, Indissolubilità del vincolo, Diritto alla difesa, Delibazione della sentenza ecclesiastica, Difetto del concsenso
Natura:
Sentenza