Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 12 Maggio 2005

Sentenza 19 febbraio 2002, n.3472

Tribunale di Roma. Sentenza 19 febbraio 2002, n. 3472.

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice della prima sezione penale dott. Andrea Calabria, alla pubblica udienza del 19 febbraio 2002 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente

SENTENZA

Visto l’art. 11 della Legge 27 maggio 1929 n. 810 e visti gli artt. 3 c.p. e 20 c.p.p. dichiara non doversi procedere nei confronti di Tucci Roberto, Borgomeo Pasquale e Pacifici Costantino in ordine al reato loro ascritto per difetto di giurisdizione.
Il Giudice dott. Andrea Calabria

N.R.G. P.M. 6590/00 N.R.G. Dib. 22435/01
TRIBUNALE DI ROMA
PRIMA SEZIONE PENALE
IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con decreto di citazione del 27/11/2000 il P.M. presso questo Tribunale disponeva il giudizio nei confronti di Tucci Roberto, Borgomeo Pasquale e Pacifici Costantino in ordine al reato di cui all’art. 674 c.p.
Alla prima udienza il 12/3/2001, il Tribunale dichiarava preliminarmente la nullità del decreto di citazione a giudizio che disponeva la restituzione degli atti alla Procura della Repubblica in sede.
In data 5/9/2001 il P.M. emetteva nuovo decreto di citazione a giudizio nei confronti degli stessi imputati in ordine al reato in epigrafe indicato.
All’udienza del 20/12/2001, verificata la rituale costituzione delle parti, il Tribunale dichiarava la contumacia di tutti gli imputati ed emetteva le costituzioni di parte civile proposte respingendo le eccezione sollevate in proposito dalla difesa.
In via preliminare i difensori degli imputati deducevano come questione assorbente il difetto di giurisdizione con richiesta di pronuncia di relativa sentenza; deducevano altresì in via subordinata l’applicazione dell’art. 51 del c.p..
Il Tribunale, quindi, invitava le parti a formulare le rispettive osservazioni e conclusioni in ordine alle questioni sollevate.
All’esito della discussione la difesa degli imputati ed il P.M. depositavano memorie tecniche con documentazione allegata, nulla opponendo le altre parti.
Il Tribunale con provvedimento di cui al verbale di udienza si riservava di decidere.
All’udienza del 19/2/2002, sciogliendo la riserva già indicata, il Tribunale emetteva sentenza in accoglimento dell’istanza difensiva.

In modo sintetico ed essenziale le opposte posizioni delle parti possono essere riassunte nel modo che segue.
La difesa degli imputati ha dedotto l’improcedibilità del presente giudizio per difetto di giurisdizione.
Tale richiesta troverebbe fondamento nel fatto che le persone tratte a giudizio devono rispondere di comportamenti posti in essere non come atti individuali della persona fisica, bensì nell’esercizio di funzioni istituzionali e quindi come atti di Radio Vaticana, ente centrale della Santa Sede di cui gli imputati sono rappresentanti a livello direttivo.
L’attività che essi hanno svolto e svolgono dovrebbe pertanto essere qualificata come attività istituzionale della Santa Sede, compresa quindi nelle previsioni dell’art. 11 della legge 27/5/1929 n. 810, previsioni dirette a sottrarre gli enti centrali della Chiesa Cattolica da ogni ingerenza da parte dello Stato Italiano: Radio Vaticana infatti è “l’emittente radiofonica della Santa Sede, giuridicamente riconosciuta presso le istanze internazionali, ed è strumento di comunicazione ed evangelizzazione al servizio del ministero petrino”.
In proposito la difesa ha citato e prodotto copia della sentenza emessa dalla quinta sezione penale della Suprema Corte il 17/7/1987 (cfr. Foro It. 1988, II, 444) che affrontò e risolse in senso favorevole alla tesi finora esposta, il problema del divieto di ingerenza dello Stato nei confronti degli enti centrali della Chiesa in ordine alle attività istituzionali poste in essere (azione ed organizzazione) dai loro organi o rappresentanti, ed ha precisato che si tratta dell’unico precedente rilevante in materia penale.
Ha dedotto poi in via del tutto subordinata, l’applicazione della disciplina di cui all’art. 51 c.p..
In sostanza l’attività di radioemissione costituirebbe l’esercizio di un diritto previsto e regolato da un accordo internazionale (accordo dell’8/10/1951) e come tale non potrebbe integrare alcun reato.
Il P.M. ha preliminarmente precisato che il reato contestato deve considerarsi commesso in Italia ai sensi dell’art. 6 c.p.p., perché l’evento pericoloso che lo connota si sarebbe verificato su territorio italiano (questione peraltro pacifica non avendo la difesa dedotto alcunchè in proposito).
Si è poi opposto a tutta la linea difensiva appena riassunta articolando le seguenti contrarie argomentazioni.
Innanzi tutto non sarebbe sostenibile la qualifica di ente centrale della Chiesa per Radio Vaticana.
Tale qualifica, è infatti, andrebbe riferita solo “agli organismi che costituiscono la Curia Romana con tutti gli enti cui danno vita”.
Inoltre pur ammettendo che l’individuazione degli enti centrali spetta al Vaticano, la qualifica deve far riferimento ad elementi certi e predeterminati così da realizzare un procedimento di individuazione oggettivo non modificabile a seconda delle esigenze del momenti di uno dei due contraenti di un trattato bilaterale.
In secondo luogo, qualora si voglia condividere la qualifica di ente centrale, andrebbe precisata la portata del limite di ingerenza e andrebbe riferito alla sola autorità amministrativa italiana e non anche all’autorità giudiziaria, sia in campo civile, sia, soprattutto, in campo penale.
In caso contrario il divieto di non ingerenza di cui al già citato art. 11 si risolverebbe in una estensione delle immunità penali del tutto indeterminata e quindi in una violazione dei principi generali di diritto internazionale in materia.
Infine la formulazione complessiva della norma dovrebbe portare a ritenere che essa si riferisca solo all’attività patrimoniale degli enti centrali.
Con queste premesse la Radio Vaticana dovrebbe essere esclusa dal divieto di non ingerenza anche tenuto conto che un intervento dell’autorità giudiziaria italiana viene richiesto non per valutarne o condizionarne l’attività stessa, ma solo per verificare gli effetti materiali prodotti dalle trasmissioni sul territorio italiano e sulla salute della popolazione italiana.
Sul punto l’Accusa ha anche precisato che l’autorevole precedente giurisprudenziale citato dalla difesa a sostegno della tesi del difetto di giurisdizione in realtà riguarda fatti e reati diversi e, soprattutto, si riferisce all’attività patrimoniale della Chiesa svolta attraverso l’I.O.R.: si tratterebbe quindi di un precedente non rilevante e non applicabile nel presente giudizio e comunque non decisivo per non essere espressione di un orientamento consolidato data la sua unicità.
In via subordinata, infine, in caso di accoglimento della tesi difensiva, l’Accusa ha sollevato eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge 27/5/1929 n. 810 in relazione agli att. 1, comma 2°, 7, comma 1°, 102, 112, 3, comma 1°, 25, comma 12°, e 32, 1° comma della Carta Costituzionale.
Le parti civili costituite, dopo aver precisato le rispettive specifiche posizioni, si sono sostanzialmente riportate alle argomentazioni svolte dal P.M. per confutare le eccezioni difensive.
Osserva il Tribunale che per risolvere le complesse e delicate questioni prospettate è necessario richiamare ed esaminare le fonti normative che disciplinano i rapporti tra lo Stato italiano e la Santa Sede e la peculiare posizione di Radio Vaticana, limitatamente al settore di interesse, per trarne i principi di carattere generale dalla cui applicazione dipende la decisione.
Come è noto i rapporti tra l’Italia e la Chiesa cattolica sono stati da sempre caratterizzati da una circostanza particolare, quella della presenza nel territorio italiano, e segnatamente nella città capitale dello Stato unitario, dell’apparato centrale della Chiesa noto come Santa Sede.
La questione romana nata nel settembre 1870 a seguito dell’unione di Roma all’Italia, subì un tentativo di soluzione con la legge 13 maggio 1871 n. 214: soluzione non condivisa dalla Chiesa in quanto espressione di un atto unilaterale dello Stato Italiano.
Tale situazione ha poi trovato una disciplina sistematica nei Patti Lateranensi sottoscritti a Roma tra la Santa Sede e l’Italia (nella loro indiscutibile veste di soggetti di diritto internazionale) l’11 febbraio 1929 e poi attuati con le leggi 27/5/1929 n. 810 e 27/5/1929 n. 847, esecutive, rispettivamente, del Trattato e del Concordato. Va precisato che solo il contenuto di quest’ultimo ha poi subito rilevanti modifiche a seguito dell’accordo sottoscritto a Roma il 18/2/1984 tra la Santa Sede e l’Italia ed attuato con la legge 25/3/1985 n. 121.
La disciplina appena descritta ha poi trovato riconoscimento nella Costituzione italiana all’art. 7 che così dispone: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi.
Le modificazioni dei patti, accettati dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”.
Subito dopo i patti, nel giugno 1929 nacque lo Stato Città del Vaticano per assicurare alla Santa Sede l’assoluta e visibile indipendenza e garantire ad essa una sovranità indiscutibile anche in campo internazionale: si tratta perciò di uno Stato strumentale, struttura terrena di sostegno alla sovranità della Chiesa finalizzata a garantire l’autonomia e l’indipendenza della missione religiosa.
È uno Stato a regime assoluto con un capo elettivo a cui competono tutti i poteri legislativi, esecutivi e giudiziari, poteri che possono essere delegati e revocati dal Capo stesso a funzionari nominati a sua discrezione.
Sarà qui sufficiente precisare, (perché servirà nel prosieguo della motivazione nella parte relativa all’individuazione della qualifica di Radio Vaticana) che i principali organi amministrativi sono costituiti dalla Segreteria di Stato, dal Governatorato, dal Consiglio Generale dello Stato e dalla Pontificia Commissione per lo S.C.V..
Dopo questa breve premessa è possibile entrare nel vivo delle questioni sollevate dalle parti individuando la categoria degli “enti centrali” della Chiesa e valutando la portata del principio di non ingerenza.
L’art. 11 della legge 27/5/1929, n. 810 così recita: “Gli enti centrali della Chiesa Cattolica sono esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano (salvo le disposizioni delle legge italiane concernenti gli acquisti dei corpi morali), nonché dalla conversione nei riguardi dei beni immobili”.
In via di principio va detto subito che l’individuazione formale di un ente come ente centrale della Chiesa Cattolica non può che spettare alla Santa Sede alla quale l’ente appartiene e che tale designazione non può essere messa in discussione da soggetti esterni all’ordinamento di appartenenza in quanto esplicazione dei poteri di governo dello Stato.
Sono stati tuttavia individuati dalla dottrina e dalla giurisprudenza dei criteri guida in base ai quali può essere definito ente centrale della Chiesa quell’ente che sia costituzionalmente rilevante nell’ordinamento giuridico di appartenenza, che abbia personalità giuridica, autonomia patrimoniale e che svolga attività istituzionale.
In particolare quest’ultimo punto va inteso nel senso che svolga attività, spirituale o materiale o entrambe, ma comunque direttamente funzionale allo svolgimento della missione spirituale della Santa Sede nel mondo.
In base a queste caratteristiche si può affermare che la definizione di ente centrale equivalga a quella di ente pontificio ossia di ente gestito dalla Santa Sede, anche se distinto ed autonomo rispetto agli uffici della Curia romana.
Delineato in generale il significato dell’espressione “enti centrali”, va ora esaminato l’ambito di applicazione del principio di non ingerenza di cui tali enti usufruiscono.
Gli uffici e le Congregazioni pontificie con “attribuzione meramente spirituali” già godevano della grazia loro offerta dall’art. 8 della legge 214 del 1871 in base alla quale erano esenti da “visite, perquisizioni o sequestri”.
L’art.11 della legge 810/1929 ha esteso la predetta garanzia a tutti gli enti centrali, senza distinzione di attribuzioni, ente ha indubbiamente ampliato la portata usando la significativa espressione “esenti da ogni ingerenza” senza indicare specifiche limitazioni. Per altro il regime di immunità che ne consegue appare completo perché l'articolo 11 garantisce gli enti centrali rispetto ad eventuali ingerenze dello Stato italiano per l'attività svolta in territorio italiano; mentre gli articoli 13, 14 e 15 della stessa legge 810/1929 garantiscono i medesimi enti che oprino nell'ambito del territorio dello Stato Città del Vaticano e quindi in uno spazio sottratto all'esercizio dei poteri dello Stato italiano. La disciplina trova poi il proprio quadro di riferimento nell'art. 4 della già citata legge.
Il PM e le parti civili hanno offerto un'interpretazione del tutto riduttiva del principio di esenzione da ogni, ingerenza di cui all'art 11 ritenendolo limitato all'attività amministrativa, con esclusione quindi di tutte le pubbliche potestà dello Stato italiano e segnatamente dell'immunità dalla giurisdizione. Ma tale interpretazione non appare sorretta da argomenti convincenti, sia sotto il profilo letterale, sia sotto il profilo logico- sistematico.
Intanto dal punto di vista letterale non è rinvenibile alcun limite espresso nella norma che anzi con la dizione “da ogni ingerenza” induce a non ritenere la sussistenza di esclusioni di alcun tipo con l'unica, minima eccezione relativa agli acquisti dei corpi morali.
Inoltre dal punto di vista logico-sistematico sarebbe ben strano prevedere all'art. 15 della ci legge il godimento delle “immunità riconosciute dal diritto internazionale alle sedi degli agenti diplomatici di Stati esteri” per le attività svolte all'interno degli immobili di cui agli articoli 13, e 15, nonché degli immobili facenti parte del territorio dello Stato italiano nei quali la Santa Sede in avvenire crederà di sistemare altri suoi Dicasteri e poi limitare la portata dell'esenzione da o ingerenza in ordine all'attività istituzionale svolta dagli enti centrali in territorio italiano o che comunque produca effetti sul territorio italiano: se così fosse la Santa Sede potrebbe essere facilmente vulnerata nella propria indipendenza e sovranità perché l'azione dei suoi enti centrali avrebbe una tutela assai limitata e potrebbe subire significativi condizionamenti e, in definitiva, il regime giuridico di tali enti sarebbe in sostanza assimilabile a quello degli ordinari enti ecclesiastici.
D’altra parte la previsione della non ingerenza appare del tutto formale (quali superflua) se riferita ai territori ed agli edifici che godono dell’extraterritorialità e delle immunità di cui al predetto art. 15, mentre acquista un significato sostanziale solo se riferito al territorio italiano perché è su questo territorio che va adempiuta da parte dello Stato italiano l’obbligazione negativa di diritto internazionale di non ingerenza.
Si può quindi concludere che l'espressione esenti da ogni ingerenza fa riferimento ad una cessione pattizia di sovranità da cui deriva la rinuncia all’esercizio delle pubbliche potestà da parte dello Stato italiano, con l’unica eccezione, già indicata, relativa agli acquisti dei corpi morali.
Tale conclusione peraltro trova conforto in alcune Pronunce giurisprudenziali.
Intanto nella sentenza citata dalla difesa degli imputati, emessa dalla 5a sezione penale della Suprema Corte il 17 luglio 1987, che in un capoverso centrale della motivazione così recita: “Per obbligo di non ingerenza dello Stato italiano deve quindi intendersi il dovere, internazionalmente assunto, di non esercitare le funzioni pubbliche della sovranità, comunque implicanti un intervento nell'organizzazione e nell'azione dei detti enti centrali della Chiesa cattolica e, fra queste, ovviamente, la giurisdizione”.
Le obiezioni in proposito sollevate dal P. M. e già riportate in premessa non appaiono condivisibili.
La decisione citata, infatti è sicuramente spendibile nel presente procedimento, quantomeno con riferimento all’affermazione del principio generale di esenzione dalla giurisdizione italiana degli enti centrali della Chiesa per attività poste in essere nell’esercizio di funzioni istituzionali centrali della Chiesa per attività poste in essere nell'esercizio di funzioni istituzionali.
Inoltre il fatto che la Suprema Corte si sia pronunciata in quell'occasione con riferimento all'attività patrimoniale
della Santa Sede posta in essere dall'ente centrale denominato IOR non sembra significativo.
Si è visto come le garanzie offerte dal diritto preconcordatario (legge 214/1871) e poi riprese ed estese
dall'art. 11 della legge 810/1929, si riferissero già in origine alle attribuzioni meramente spirituali: evidente, quindi, che allo stato attuale della normativa non ha più senso distinguere
l'attività patrimoniale da quella spirituale essendo entrambe garantite dal principio di esenzione da ogni ingerenza purché riconducibili all'esercizio di funzioni istituzionali.
Infine se è vero che nel settore penale la sentenza citata rappresenta l'unico precedente significativo, è pur vero che lo stesso principio risulta affermato in altre sentenze in settori diversi.
Ad esempio già nel 1982 le sezioni unite della Suprema Corte (5 luglio 1982 n° 4005 in Giustizia Civile, parte prima, fogli 2569 e seguenti) affermavano l'esclusione della giurisdizione del giudice italiano in una controversia di lavoro instaurata tra una giornalista di Radio Vaticana e quest'ultima. Ed ancora il 4 maggio del 2000 la Corte di Appello di Roma, in una controversia di natura contrattuale tra la Peregrinatio ad Petri Sedem ed altre parti italiane, emetteva una sentenza con la quale, tra l’altro, negava la giurisdizione del giudice italiano (Giustizia Civile, 2001, parte rima, fogli 225 e seguenti)richiamando espressamente gli articoli 4 e 11 della legge 810/129.
A questo punto è possibile verificare se la Radio Vaticana possiede i requisiti che consentono di qualificarla come ente centrale della Chiesa cattolica.
La Radio Vaticana, come indicato pacificamente dalla difesa degli imputati, veniva inaugurata nel lontano 12/2/1931.
Lo Statuto che ne disciplina la struttura ed il funzionamento risale al 1° settembre 1995 (epoca dell’approvazione da parte del Sommo Pontefice) e deve ritenersi tuttora in vigore non essendo stato modificato nel quinquennio successivo alla sua entrata in vigore (allegato n° 1 della difesa degli imputati).
Dallo Statuto emergono le seguenti peculiari caratteristiche e finalità.
Viene definita in premessa come l'emittente radiofonica della Santa Sede, giuridicamente riconosciuta presso le istanze internazionali, ed è strumento di comunicazione e di evangelizzazione al servizio del ministero Petrino.
Possiede personalità giuridica, autonomia patrimoniale ed ha sede nello Stato Città del Vaticano, (cfr. art. 1, punto 2 e 6, punto 7 dello Statuto).
Suo scopo essenziale è quello di annunciare con libertà, fedeltà ed efficacia il messaggio cristiano e collegare il centro della cattolicità con i diversi paesi del mondo.
Ha pure come compito istituzionale, quello di assicurare la registrazione, l'amplificazione e la distribuzione del suono di tutte le attività pubbliche del Santo Padre, direttamente all'interno della Città del Vaticano e mediante supervisione all’esterno.
Risulta organicamente inserita nella Segreteria di Stato, primo tra gli organi amministrativi dello Stato Città del Vaticano, di cui è tenuta a seguire le direttive.
Il direttore generale viene nominato dal Santo Padre su proposta del Preposito Generale della Compagnia di Gesù, mentre il direttore dei programmi, il direttore tecnico ed il direttore amministrativo vengono nominati dal Cardinale Segretario di Stato sempre su proposta del Preposito Generale della Compagnia di Gesù.
La difesa degli imputati ha inoltre depositato la copia di una nota ufficiale della Segreteria di Stato Vaticana del 19 ottobre 1999, la cui provenienza ed autenticità non è stata contesta da alcuna delle parti, dalla quale risulta la qualifica della Radio Vaticana quale ente centrale della Chiesa cattolica.
Per quanto riguarda gli impianti tecnici realizzati in aree di proprietà della Santa Sede, in località Santa Maria di Galeria e di Castel Romano ( di cui all’imputazione ), risulta stipulato uno specifico
accordo tra la Santa Sede e l'Italia in data 8 'ottobre 1951, entrato in vigore il 24 luglio 1952 (legge 13 giugno 1952 n° 680 che autorizza la ratifica e l'esecuzione dell'accordo, in Gazz. Uff. del 1 luglio 1952, n. 150).
Nella premessa viene riconosciuta la necessità di assicurare alla Santa Sede la possibilità di effettuare radio trasmissioni dirette a tutto il mondo cattolico e nei successivi artt. 1 e 2 viene prevista l'estensione dei privilegi di cui agli articoli 15 e 16 del Trattato dell'11 febbraio 1929 (legge 810/1929) alle aree utilizzate per la realizzazione degli impianti.
Ebbene alla luce dei principi di carattere genera1e esposti e degli elementi peculiari che caratterizzano la Radio Vaticana, così come desunti con chiarezza, dalla sua disciplina giuridica, ritiene il Tribunale che non vi possano essere dubbi sulla sua natura di ente centrale della Chiesa cattolica. sia per essere stata definita tale dalla Segreteria di Stato Vaticana, sia perchè risulta possedere tutti i requisiti sopra evidenziati: ha personalità giuridica, autonomia patrimoniale, rilievo indiscutibile nell'ambito dell'ordinamento giuridico di appartenenza e svolge indubitabilmente un'attività direttamente funzionale alla missione spirituale della Santa Sede nel mondo costituendo il principale veicolo di trasmissione ed amplificazione del messaggio evangelico.
Anzi le caratteristiche della Radio Vaticana sono tali che potrebbe anche rientrare tra gli enti centrali in senso stretto, ossia tra gli organismi che costituiscono la Curia romana ai sensi del diritto canonico (cfr. canone 360 del nuovo codice di diritto canonico) essendo inserita, come si è visto, nell'ambito della Segreteria di Stato e dipendendo, almeno per la nomina del direttore generale, direttamente dal Santo Padre.
L'Accusa e le parti civili hanno sostenuto che la diffusione di radiazioni elettromagnetiche in misura anomala e molesta nulla ha a che vedere con l'attività istituzionale svolta dalla Radio Vaticana. L’affermazione è semplicistica e non può essere condivisa. Premesso che in questa fase processuale l'anomalo livello quantitativo delle radiazioni elettromagnetiche e la loro idoneità a creare molestia e disturbo alle persone rimane solo un assunto accusatorio, appare di tutta evidenza il collegamento diretto tra le emanazioni elettromagnetiche e gli impianti radio trasmittenti.
Il dimensionamento, l'ubicazione, l'organizzazione e la potenza di tali impianti sono ovviamente finalizzati al raggiungimento degli scopi istituzionali affidati alla Radio Vaticana con particolare riferimento alla necessità di diffondere in tutto il mondo il messaggio evangelico.
Interferire unilateralmente con i predetti impianti condizionandone i requisiti equivale ad interferire direttamente con l'attività istituzionale dell'ente.
D'altra parte risulta depositata agli atti come allegato n° 7 della difesa degli imputati la copia della nota ufficiale trasmessa dal Ministero degli Affari Esteri al Ministero della Giustizia nell'aprile 2000 (provenienza ed autenticità di contenuto della stessa non sono state oggetto di eccezioni), nella quale vengono riconosciute la pertinenza e la correttezza delle argomentazioni addotte dalla Santa Sede concernenti 1’interpretazione degli Accordi del Laterano e del 1951 per gli impianti di Santa Maria in Galeria e di Castel Romano.
Osserva il Tribunale che il contenuto di tale comunicazione appare di sicuro sostegno alla tesi della difesa ed alle conclusioni alle quali si è finora pervenuti.
Infatti non può sfuggire come la nota in esame provenga dal Dicastero italiano preposto, tra l'altro, a mantenere i rapporti diplomatici con gli altri soggetti internazionali e a rappresentare normalmente l'Italia nella stipula degli accordi.
Ebbene poichè sia i Patti Lateranensi., sia il Patto per gli impianti della Radio Vaticana vanno inseriti nella categoria degli accordi internazionali bilaterali, il contenuto di quella nota assume quasi il valore di un'interpretazione autentica della norme pattizie richiamate, oltretutto proveniente dal soggetto ( l'Italia ) che ha operato con quegli accordi una cessione di sovranità ed ha assunto l'obbligazione negativa della non ingerenza. Inoltre, coerentemente a quanto sostenuto dal M.A.E, il potere esecutivo ha assunto su di se l'onere della soluzione delle questioni sorte a causa del funzionamento degli impianti della Radio Vaticana e ha provveduto ad istituire una commissione bilaterale tra la Santa Sede e l'Italia che risulta aver ultimato i propri lavori 1'8 giugno 200 1 con l'accordo prodotto in copia dalla difesa degli imputati e contraddistinto come allegato n° 2.
Rimane da esaminare la posizione degli imputati. Tuttavia su questo punto saranno sufficienti poche parole.
Dallo stesso capo di imputazione risulta che T. R., B. P. e P. C. sono stati tratti a giudizio nella qualità dì responsabili della gestione e del funzionamento delta Radio Vaticana.
Quindi non come privati individui, ma per aver svolto funzioni istituzionali dall'esercizio delle quali sarebbero derivati i comportamenti ritenuti sanzionabili.
In quest'ottica l'attività di cui alla contestata imputazione diventa riferibile giuridicamente alla stessa Radio Vaticana o comunque coincide con l'attività propria della Radio Vaticana e rientra, conseguentemente, sulla base dei principi generali sopra analiticamente individuati, nelle previsioni di cui all’art.11 della legge 810/1929 esecutiva del Trattato Lateranense.
Va pertanto dichiarata l’improcedibilità del presente giudizio nei confronti di tutti gli imputati per difetto di giurisdizione.
Il P.M., come già si è avuto modo di vedere, ha chiesto, in via subordinata, nel caso in cui il Tribunale avesse, accolto la tesi difensiva, che venisse sollevata una questione di legittimità costituzionale nei termini sopra esposti.
Anche in questo caso la tesi dell'Accusa non può essere condivisa.
Il P.M con la richiesta in esame ha introdotto un'altra delicata questione: l'ammissibilità o meno della rilevanza giuridica degli eventuali contrasti tra le norme dei Patti Lateranensi e la Costituzione italiana che, giova ripeterlo, quei Patti ha recepito nell'articolo 7 tra i principi fondamentali con la conseguenza che la legge 81011929, che qui interessa, deve ritenersi protetta come una legge costituzionale.
La questione è complessa e non è il caso in questa sede di ricostruire le posizioni maturate nel tempo dalla dottrina e dalla giurisprudenza della Corte.
Sarà sufficiente chiarire che, allo stato, sulla base della giurisprudenza della Corte Costituzionale è possibile individuare due indirizzi.
Secondo un primo indirizzo la Corte esplica la propria competenza anche in ordine ai giudizi di legittimità delle norme poste dalle leggi di revisione costituzionale e dalle altre leggi costituzionali.
Tale competenza è ammessa in modo pacifico solo nei confronti dei vizi formali delle predette leggi.
Successivamente è maturato però un secondo indirizzo in base al quale la competenza della Corte, sempre con riferimento alle norme appena citate, si estenderebbe anche ai vizi di legittimità costituzionale di ordine sostanziale.
Tale orientamento presuppone che nel nostro ordinamento esistano princìpi costituzionali superiori rispetto alle norme della Costituzione formale.
Il punto debole di quest'ultimo orientamento consiste nella mancanza di una codificazione dei predetti principi superiori che finora sono stati elaborati, con oscillazioni, in alcune sentenze della stessa Corte, permanendo comunque l'oggettiva difficoltà di stabilire il confine tra i principi ordinari dell'ordinamento costituzionale. Orbene la richiesta formulata dal P.M., qualora si condivida il primo indirizzo appare inammissibile, qualora si adotti il secondo più ampio orientamento, appare manifestamente infondata.
Orebene la richiesta formulata dal P.M., qualora si condvida il primo mezzo appare inammissibile, qualora si adotti il secondo più ampio orientamento, appare manifestamente infondata.
Nel primo caso, come si è visto, è ammissibile solo la deduzione di vizi formali della legge (si pensi, ad esempio, alla violazione della procedura di approvazione),.vizi non dedotti da alcuna delle parti.
Nel secondo la questione di legittimità costituzionale deve essere posta con rinferimento alla violazione di uno o più principi supremi dell’ordinamento costituzionale.
Nel caso di specie i parametri di riferimento citati dall’Accusa rientrano tutti nell’ambito della Costituzione formale, ne il P.M. nella discussione orale o nella memoria scritta ha fatto riferimanto ai suddetti principi superiori in modo espresso; rifacendosi genericamente, per relationem, alle ordinanze emesse dal giudice istruttore del Tribunale di Milano il 26 novembre ed il 2 dicembre 1987 di cui ha allegato copia dei fogli della rivista giuridica sulla quale furono pubblicate. In proposito ritiene comunque il Tribunale che non si possa parlare di violazione dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale nei casi di difetto di giurisdizione collegato a privilegi ed immunità derivanti da una consensuale e consapevole cessione di sovranità prevista, codificata e attuata nel rispetto dei principi generali di diritto internazionale e per di più dotata di garanzia costituzionale.
A maggior ragione, poi, nel caso che ci occupa, non è sostenibile tale violazione se solo si rifletta sul fatto che la Costituzione italiana è entrata in vigore il 1° gennaio 1948, ossia 19 anni dopo la stipula dei Patti Lateranensi che, quindi, non possono non essere stati recepiti in modo giuridicamente consapevole dal legislatore costituzionale.
Tutto ciò non significa ovviamente che le situazioni di fatto e di diritto siano immutabili, ma che i mutamenti necessari dettati dall’evoluzione sociale e dalle conoscenze scientifiche vanno realizzati in modo rituale seguendo i meccanismi di revisione previsti dall’ordinamento internazionale e/o dall’ordinamento interno.
Infine ultima precisazione.
Il P.M. e le parti civili hanno sottolineato alcuni affetti pratici negativi derivanti dall’applicazione dell’art. 11 della legge 810/1929 e delle latre norme già citate, secondo l’interpretazione dedotta dalla difesa degli imputati ed ora condivisa da questo Tribunale, come, ad esempio, l’eccessiva estensione delle immunità e dei privilegi, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo; o ancora l’assenza di tutela per i cittadini di fronte ad una presunta lesione di una norma penale dell’ordinamento giuridico interno.
Ebbene se dalla corretta applicazione di un quadro normativo discendono di fatto conseguenze negative rilevanti, tali conseguenze dovranno essere eliminate seguendo procedure legittime poste in essere ella sede idonea e dalle Autorità competenti.
Nel nostro caso al sede idonea è quella internazionale nell’ambito delle relazioni tra lo Stato italiano e la Santa Sede e lo strumento legittimo è quello dell’accordo bilaterale o, in mancanza di consenso, della denuncia del Trattato.
In ogni caso e bene chiarire che si tratta di situazioni che non possono e no devono condizionare od orientare la giurisdizione.
Se il giudice tutelasse comunque quelle situazioni superando le risultanze normative, magari andando oltre i normali canoni interpretativi, svolgerebbe un’attività suppletiva in violazione, quanto meno, del principio fondamentale della separazione dei poteri.

PQM

Visto l’art. 11 della legge 27 maggio 1929 n. 810 e visti gli artt. 3 c.p. e 20 c.p..
Dichiara non doversi procedere nei confronti di T. R., B. P. e P. C. in ordine al reato loro ascritto per difetto di giurisdizione.

(Omissis)

Per una nota alla presente sentenza vedi: https://www.olir.it/areetematiche/100/documents/Carmignani_Radio_Vaticana.pdf