Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 15 Febbraio 2008

Sentenza 18 settembre 2007, n.19361

Corte di Cassazione. Sezione III Civile. Sentenza 18 settembre 2007, n. 19361: “Enti ecclesiastici e titolarità di beni immobili oggetto di locazione”.

(omissis)

Svolgimento del processo

Con ricorso al pretore di Sorrento la Rettoria di San Martino, in persona del legale rappresentante D.M.N., avendo interesse a sentire determinare l’indennità per l’avviamento commerciale dovuta a Q.M., nei cui confronti intendeva promuovere l’esecuzione per il rilascio di un campetto sportivo in comune di S. Agnello a seguito dell’avvenuta risoluzione del rapporto di locazione, conveniva la conduttrice in giudizio.

Q.M. contrastava la domanda eccependo l’inesistenza giuridica dell’ente “Rettoria di San Martino” e spiegava domanda riconvenzionale diretta ad ottenere, a titolo di miglioramenti alla res locata, il pagamento della complessiva somma di L. 287.233.973.

Il tribunale di Torre Annunziata determinava la misura del compenso di avviamento in L. 9.999.000 e rigettava la domanda riconvenzionale.

Sul gravame della soccombente Q.M. provvedeva la Corte d’appello di Napoli con la sentenza pubblicata il 1 ottobre 2002, che rigettava l’impugnazione e condannava l’appellante alle spese del grado.

I giudici d’appello, ai fini che ancora interessano, consideravano che:

a) la Chiesa di San Martino, detta anche Oratorio (o Rettoria), era un ente dotato di personalità giuridica, rappresentato dal rettore N.D.M.;

b) in ogni caso, ove anche si fosse potuto negare la soggettività giuridica della Chiesa di San Martino, la medesima, per il tramite del suo legale rappresentante, era legittimata ad esercitare le azioni contrattuali, ai sensi dell’art. 37 c.c., quale proprietaria dell’immobile oggetto della locazione;

c) la domanda riconvenzionale, relativa ai pretesi miglioramenti, correttamente era stata rigettata dal giudice di primo grado, poichè in virtù di espressa clausola del contratto di locazione la conduttrice aveva rinunciato a qualsiasi indennità per miglioramenti ed addizioni all’immobile locato.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Q. M., che ha affidato l’accoglimento dell’impugnazione a sette motivi.

Ha resistito con controricorso la Rettoria di San Martino (detta anche Chiesa od Oratorio di San Martino), in persona del suo Rettore pro-tempore C.M..

Motivi della decisione

Con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente – deducendo la violazione della norma di cui all’art. 132 c.p.c. – sostiene che la sentenza impugnata sarebbe nulla giacchè essa contiene l’indicazione come appellato di un soggetto diverso da quello che nei suoi confronti ebbe a proporre la originaria domanda.

La censura è manifestamente infondata, poichè, ove anche si potesse ritenere che la dizione “Rettoria di S. Martino (detta anche Chiesa od Oratorio di S. Martino)”, riportata nell’intestazione della sentenza, sia il frutto di un errore rispetto alla diversa ed esatta dizione di “Rettoria di S. Martino”, detto errore, siccome ripete in costante indirizzo questa Corte di legittimità (Cass., n. 8242/2003; Cass., n. 9077/2001; Cass., n. 2869/99; Cass., n. 1386/97), non ha comportato alcuna incertezza circa il soggetto cui l’appello era stato rivolto e la sentenza si era riferita, risolvendosi esso in mera irregolarità, non inducente nullità di sorta ed eventualmente rimediabile con la procedura di correzione di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c..

Con il secondo motivo d’impugnazione – deducendo la violazione delle norme di cui agli artt. 1, 12 e 25 c.c., L. 20 maggio 1985, n. 222, artt. 4, 5 e 6, nonchè la nullità della sentenza – la ricorrente denuncia che la Rettoria di S. Martino sarebbe ente privo della capacità giuridica, circostanza della quale il giudice del merito avrebbe dovuto tener conto.

Con il terzo mezzo di doglianza – deducendo la violazione delle norme di cui agli artt. 75 ed 81 c.p.c. – la ricorrente denuncia che l’impugnata sentenza sarebbe errata nella parte in cui ha affermato che la capacità giuridica della Rettoria e la legittimazione del suo rappresentante D.M. deriverebbero dalla precedente sentenza nel giudizio avente ad oggetto la risoluzione della locazione.

Con il quarto motivo – deducendo la violazione delle norme di cui agli artt. 75 e 112 c.p.c., – la ricorrente assume che la Corte territoriale, ritenendo che la legittimazione processuale della Rettoria sarebbe comunque da riconoscere ai sensi della disposizione dell’art. 37 c.c., avrebbe introdotto una tematica non oggetto del giudizio, poichè la domanda era stata proposta da soggetto qualificatosi come persona giuridica e non già come associazione non riconosciuta legittimata a far valere le sue ragioni per il tramite di un suo rappresentante.

I tre motivi – che vanno esaminati congiuntamente in quanto le censure riflettono l’unico tema della capacità della Rettoria di agire in giudizio al fine di ottenere la determinazione dell’indennità di avviamento dovuta alla conduttrice dell’immobile di sua proprietà a seguito della pronuncia di risoluzione della locazione alla scadenza per effetto di sentenza definitiva – non possono essere accolti.

In disparte la considerazione che, ove anche si volesse ritenere che nel presente giudizio non fosse stata offerta la prova della soggettività giuridica della Rettoria sulla scorta della disciplina degli enti pubblici ecclesiastici, resterebbe comunque valida la statuizione circa l’applicabilità, nella specie, della norma di cui all’art. 37 c.c. della quale il giudice del merito bene poteva affermare la rilevanza, trattandosi di questione attinente alla legittimazione processuale, per la quale le ordinarie preclusioni istruttorie non operano ai fini del relativo accertamento, che ben può essere compiuto dal giudice anche di ufficio (ex plurimis: Cass., n. 11506/2004; Cass., n. 8996/2002; Cass., n. 8442/2992), occorre rilevare che, per effetto della sentenza definitiva che nell’altro giudizio tra le stesse parti ha dichiarato risolta la locazione, si è formato il giudicato sulla questione della titolarità attiva del contratto ex parte locatoris in capo alla Rettoria di S. Martino, la quale, pertanto, nella predetta ed oramai incontestabile qualità, deve ritenersi abilitata altresì a far valere ogni altra pretesa relativa al rapporto di locazione, compresa quella diretta ad ottenere la determinazione della misura dell’indennità per l’avviamento commerciale dovuta al conduttore, pronuncia indispensabile per potere attivare la procedura esecutiva di rilascio dell’immobile locato.

Con il quinto motivo d’impugnazione – deducendo la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – la ricorrente critica la sentenza d’appello nella parte in cui il giudice di secondo grado ha affermato che vi sarebbe stata da parte sua implicita rinuncia all’indennità per i miglioramenti apportati all’immobile locato (all’art. 1592 c.c.).

Con il sesto mezzo di doglianza – deducendo la errata e contraddittoria motivazione della sentenza su un punto decisivo della controversia – la ricorrente assume che il giudice del merito avrebbe sbagliato nell’interpretare la clausola di cui al 4 inciso del contratto nel senso che la conduttrice rinunciava ai miglioramenti e sostiene che la rinuncia riguardava le migliorie già realizzate in precedenza, ma non comprendeva anche quelle successive.

Le due censure, che vanno esaminate congiuntamente perchè attinenti ad unica questione, non possono essere accolte.

Anzitutto, con riferimento al sesto motivo, osserva questa Corte che costituisce principio assolutamente indiscusso che l’interpretazione del contratto e degli altri negozi unilaterali, la quale consiste nell’accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, la cui valutazione è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche.

Pertanto non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale, operata dal giudice di merito, che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli elementi di fatto già esaminati.

Inoltre, nell’interpretazione delle clausole contrattuali il giudice del merito, allorchè le espressioni usate dalle parti fanno emergere in modo immediato la comune loro volontà, deve arrestarsi al significato letterale delle parole e non può fare applicazione degli ulteriori criteri ermeneutici sussidiari, il ricorso ai quali (fuori dell’ipotesi dell’ambiguità delle clausole) presuppone la rigorosa dimostrazione dell’insufficienza del mero dato letterale ad evidenziare in modo soddisfacente l’intenzione dei contraenti.

Orbene, nel caso in esame la Corte territoriale, sulla scorta dell’univoco significato del dato letterale, ha esposto logica e non contraddittoria motivazione circa la precisa volontà delle parti di escludere la spettanza alla conduttrice di qualsiasi indennità a lei spettante per le eventuali migliorie ed addizioni alla res locata, onde la censura, siccome diretta ad ottenere in questa sede un diverso apprezzamento della fonte di prova, integra una tipica quaestio facti, inammissibile in questa sede di legittimità.

La suddetta ratio decidendi da sola è sufficiente a sorreggere la pronuncia di rigetto della domanda riconvenzionale della conduttrice, il che fa assumere rilievo puramente residuale all’altro argomento circa la implicita rinuncia a far valere la relativa pretesa, oggetto della critica di cui al quinto motivo: ove anche la successiva implicita rinuncia nelle forme del processo non si fosse verificata, in ogni caso la pretesa riconvenzionale restava rigettata nel merito.

Con l’ultimo motivo – deducendo la nullità della sentenza ex art. 112 c.p.c. – la ricorrente lamenta l’omesso esame del punto relativo alla richiesta di ammissione di prova (orale e per interpello) diretta a dimostrare che la parte locatrice aveva autorizzato la conduttrice ed il marito ad effettuare i lavori di miglioramento per trasformare il terreno in struttura sportiva attrezzata.

Anche detto motivo non può essere accolto.

Il vizio di mancata ammissione della prova testimoniale o per interpello può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, quando la prova non ammessa sia, in concreto, idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento.

Nella specie, poichè vi era stata rinuncia della conduttrice all’indennità per eventuali successivi miglioramenti, è evidente che non mette conto stabilire se i miglioramenti fossero stati o meno autorizzati, giacchè il consenso del locatore ad eseguirli, stante la rinuncia del conduttore ad ottenerne l’indennizzo, non vale a produrre gli effetti di cui alla seconda parte del primo comma dell’art. 1592 c.c..

Il ricorso, quindi, è rigettato e la soccombente ricorrente è condannata a pagare le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 900,00 (novecento/00), di cui Euro 800,00 (ottocento/00) per onorari, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2007.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2007