Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 26 Maggio 2005

Sentenza 18 ottobre 2002

Consiglio di Stato. Sezione Quinta. Sentenza 18 ottobre 2002: “Difetto di istruttoria del provvedimento comunale di diniego di retrocessione di immobili ex conventuali: accogimento del ricorso”.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n.r. 7271 del 1995, proposto dal sig. Francesco Romano, quale rappresentante pro tempore della Chiesa di S. Antonio nel Comune di Macchiagodena, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Romano e Mariella Triscari ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Stefania Iasonna, in Roma, viale Mazzini, n. 132,

contro

il Comune di Macchiagodena, rappresentato e difeso dall’avv. Arturo Messere e con lui elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Vincenzo Mazzei, in Roma, corso Trieste, n. 82,

e nei confronti

del Ministero dell’interno, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è per legge domiciliato, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Molise, n. 190/95, pubblicata il 26 luglio 1995.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti suindicate;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Udita, alla pubblica udienza del 7 maggio 2002, la relazione del consigliere Giuseppe Farina ed uditi, altresì, i difensori delle parti, come da verbale d’udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

1. Il ricorso in appello n. 7271 è stato notificato il 29 settembre e 4 ottobre 1995, rispettivamente al Ministero dell’interno ed al Comune di Macchiagodena. È stato depositato il 13 ottobre.

L’appellante, parroco della Chiesa di S. Antonio, sita nel Comune, chiede la riforma della sentenza indicata in epigrafe, con la quale è stato respinto il suo ricorso per l’annullamento della deliberazione del Consiglio comunale, n. 34 del 27 giugno 1994, recante diniego di retrocessione di congrui locali annessi alla chiesa.

2. Avverso la sentenza e la deliberazione consiliare sono proposte censure di erroneità della prima e, quanto alla seconda, di violazione degli artt. 6 ed 8 della legge 27 maggio 1929, n. 848, sotto il profilo del difetto di istruttoria, di difetto di motivazione e di violazione del giusto procedimento.

Sono stati depositati documenti il 5 aprile 2002 ed una memoria illustrativa il 22 aprile.

3. Il Ministero dell’interno si è costituito il 7 novembre 1995. Non ha prodotto memorie, né documenti.

4. Il Comune di Macchiagodena, con memoria del 2 dicembre 1995, oppone l’infondatezza dell’appello con analitiche argomentazioni.

5. All’udienza del 7 maggio 2002, il ricorso è stato chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.

DIRITTO

1.1. L’appellante, parroco della Chiesa di S. Antonio in Macchiagodena, ha richiesto al Comune la retrocessione, ai sensi dell’art. 8 della legge 27 maggio 1929, n. 848, e dell’art. 20 della legge 7 luglio 1866, n. 3036, “di congrui locali annessi alla chiesa da destinare ad uso di rettoria per le opere di culto e di religione”.

Della richiesta dava notizia anche al Ministero dell’interno ed al prefetto della provincia.

Il sindaco ha domandato documentazione idonea, eventualmente in possesso del richiedente. Non risulta che ne sia stata trasmessa.

Sulla diffida a provvedere, inoltrata nel marzo 1994, il consiglio comunale, con deliberazione n. 34 del 27 giugno, ha stabilito di ritenere la Chiesa “già in possesso di congrua parte dei locali dell’ex convento” dei Minori osservanti dello Spirito santo (M.O.S.S.).

1.2. Col provvedimento si dà atto di aver visto la citata norma del 1929 ed un parere della I Sezione di questo Consiglio, e si considera che la Chiesa aveva acquistato personalità giuridica con d.P.R. 22 febbraio 1949 e che, da tale data, era “in possesso dei locali della chiesa, della retrostante sacrestia e di altri due locali”. In questi termini si sostanzia la motivazione del diniego opposto dal Comune.

1.3. La Parrocchia ha impugnato, dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale, la deliberazione del consiglio comunale ed ha chiesto, altresì, l’accertamento del diritto alla retrocessione di congrui locali, come individuati nella planimetria inoltrata alla prefettura il 31 marzo 1994. L’ufficio aveva poi trasmesso questi atti al Comune.

I motivi dedotti in primo grado denunziavano difetto di motivazione e di istruttoria, circa la valutazione di congruità dei locali già in possesso, da destinare a rettoria, cioè ad opere pastorali e caritative di cui agli artt. 2 e 16 della legge 20 maggio 1985, n. 222. Neppure sul puro dato spaziale, secondo la ricorrente, il diniego si giustificava, posto che meno del 5% (i due locali detenuti) della superficie dell’ex convento era in possesso della Parrocchia.

2. Il primo giudice, rilevate, in punto di fatto, talune circostanze, ha ritenuto non sussistenti i vizi suindicati, né quello di violazione del giusto procedimento.

3.1. Per un compiuto esame della controversia, occorre premettere l’esame dell’art. 73 della legge 20 maggio 1985, n. 222 ( legge di attuazione del Concordato del 1984, recante disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia ). Questa norma ha stabilito che “le cessioni e le ripartizioni”, previste dagli artt. 6, 7 ed 8 della legge 27 maggio 1929, n. 848 (di attuazione del Concordato del 1929 e recante disposizioni sugli enti ecclesiastici e sulle amministrazioni civili dei patrimoni destinati a fini di culto), “in quanto non siano state ancora eseguite, continuano ad essere disciplinate dalle disposizioni vigenti”, e perciò dagli stessi artt. 6, 7 ed 8.

L’art. 8 della citata legge n. 848 del 1929, della cui applicazione si controverte, dispone, in particolare, che comuni e province, ai quali “siano stati conceduti i fabbricati dei conventi soppressi in virtù dell’art. 20 della legge 7 luglio 1866, n. 3036” ne rilascino gratuitamente “una congrua parte, se non sia stata già riservata all’atto della cessione o rilasciata posteriormente, da destinarsi a rettoria della chiesa annessa, quando questa sia stata conservata al pubblico culto”.

3.1.1. L’avveramento della condizione della conservazione al pubblico culto della chiesa in discussione non è controversa fra le parti.

3.1.2. Ne segue che, sulla domanda di retrocessione, avanzata dalla Parrocchia, il Comune era tenuto a verificare, tenuto conto della riferita norma:

se già, all’atto della cessione o posteriormente, fosse stata rilasciata parte degli ambienti conventuali alla chiesa per il titolo in parola;

in caso positivo, se questa parte potesse ritenersi congrua, in relazione alle esigenze, a suo tempo, esposte da parte della chiesa stessa;

in caso negativo, se fossero congrui i locali attualmente richiesti per dare adempimento al dettato della legge.

3.2. Le osservazioni del primo giudice, intese a dimostrare che non si rinveniva difetto di istruttoria o di motivazione del provvedimento impugnato, e, dunque, che vi era stata un’adeguata valutazione degli elementi di fatto e di diritto da parte del Comune, non sembrano da condividere.

3.2.1. Invero, il T.A.R. ha ritenuto che, dalla data di acquisto della personalità giuridica, la Parrocchia risultava “in possesso tanto dei locali della chiesa, che della retrostante sacrestia e di altri due locali ad uso di rettoria …poiché il fatto è incontestato”.

Ha però trascurato di considerare che era contestato, non già l’uso di tali due locali, ma che essi fossero destinati a rettoria e che, in ogni caso, ciò costituisse, appunto, la cessione o la ripartizione, conforme all’art. 8 della legge n. 848 del 1929, della parte dell’immobile ex conventuale in favore della Parrocchia. Contestazione, dunque, vi era.

3.2.2. A tale scopo non può ritenersi soddisfacente, sul piano logico, l’affermazione del primo giudice che fosse “verosimile” che il Comune avesse già adempiuto i suoi obblighi. Non tanto e non solo perché il diniego del consiglio comunale non muoveva da tale considerazione, quanto anche per la ragione che l’art. 12 del r.d. 2 dicembre 1929, n. 2262 (regolamento di esecuzione della citata legge n. 848 del 1929) ha stabilito che della consegna della chiesa, dopo il riconoscimento della personalità giuridica, si redigesse processo verbale, sicché, in mancanza di questo, neanche v’era traccia dell’avvenuta consegna di parte dell’annesso immobile ex conventuale.

3.2.3. Neppure è da condividere, poi, la definizione di rettoria, che il primo giudice ha ritenuto di fornire, per derivarne la legittimità del diniego ed i limiti della congruità dell’attribuzione da farsi.

Facendo riferimento all’art. 4 della legge 11 agosto 1870, n. 5784 (propriamente all’allegato P, “legge sulla conversione dei beni immobili delle Fabbricerie”), il T.A.R. ha inteso, per rettoria, l’insieme dei “locali necessari ad uso d’ufficio delle amministrazioni di culto o di abitazione dei rettori,” e di altri soggetti. Ed ha, perciò, affermato che non vi potevano rientrare che i locali strettamente necessari per le funzioni propriamente amministrative di competenza della parrocchia e quelli per gli alloggi degli officianti e del personale addetto alle attività della chiesa.

Questo Consiglio ha, tuttavia, avuto già modo di mettere in rilievo (I Sez., n. 1263/89 del 18 ottobre 1989) che del culto è complemento necessario e suo naturale prolungamento la , intesa come azione pastorale e che l’art. 16, lett. a), della legge n. 222 del 1985, afferma che si considerano attività di religione o di culto quelle dirette all’esercizio del culto, alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana. E ne ha tratto la conseguenza che sono riconducibili nelle rettorie, in senso stretto, non solo i locali adibiti ad ufficio amministrativo o ad abitazione dei predetti soggetti, ma anche quelli utilizzati per le opere connesse al culto che nella chiesa si celebra.

Da tali conclusioni non si rinvengono ragioni per discostarsi, anche perché il menzionato parere è richiamato, come si è anticipato, nelle premesse del provvedimento impugnato, sicché esso non solo deve considerarsi noto all’Amministrazione comunale, ma da essa di certo condiviso, poiché nessuna motivazione di dissenso ne è data.

Non era giustificato, di conseguenza, assumere, da parte del primo giudice, una definizione di rettoria diversa da quella data dall’atto richiamato nella deliberazione impugnata, né, quindi, derivarne una limitazione delle esigenze della Parrocchia, come quella statuita dallo stesso giudice.

3.3. Alla stregua delle precisazioni che si sono fatte, è giustificato concludere che:

3.3.1. non sussiste un diritto soggettivo della Parrocchia, come invece essa afferma, ad ottenere la retrocessione dell’immobile ex conventuale. Il fatto che la legge preveda la cessione o ripartizione di una congrua parte del fabbricato implica una valutazione, da parte dell’Amministrazione, improntata a discrezionalità, di fronte alla quale non possono che esistere posizioni di interesse legittimo. Il provvedimento da assumere va, secondo i principi, adeguatamente istruito e motivato, secondo i canoni d’imparzialità e ragionevolezza, avuto riguardo alla situazione di fatto accertata ed alle esigenze manifestate dal soggetto considerato dalla legge come portatore della pretesa tutelata;

3.3.2. l’impugnata deliberazione del consiglio comunale è illegittima per difetto di istruttoria, vizio denunziato in primo grado e riproposto in appello, considerato che non risulta essere stato fatto nessun accertamento che potesse indurre a ritenere che fosse stata già consegnata la congrua parte dell’edificio-ex convento, e che tale fosse quella consistente nei due ambienti genericamente indicati, per i quali neppure è fatto cenno del titolo certo di detenzione o di possesso o di proprietà, da parte della Parrocchia;

3.3.3. la deliberazione è, ancora, illegittima per difetto di motivazione, vizio pure dedotto in ambedue i gradi, posto che l’affermazione di congruità, qualora risultasse che i locali detenuti siano quelli a suo tempo ceduti in esecuzione dell’art. 8 della legge n. 848 del 1929, non è sorretta da alcun elemento che valga a costituire una premessa logica adeguata all’asserzione fatta, anche con riguardo al criterio dello spazio attribuibile, in rapporto all’intero immobile, spazio cui l’appellante fa esplicito riferimento.

4. Con le precisazioni ora esposte, in riforma della sentenza appellata, va accolto il ricorso introduttivo, con annullamento del provvedimento impugnato.

5. Vi sono motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l’appello e, in riforma della sentenza in epigrafe, annulla la deliberazione impugnata in primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.