Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 9 Marzo 2004

Sentenza 18 marzo 1994, n.3261

Cassazione Penale. Sezione Prima. Sentenza 18 marzo 1994, n. 3261.

(De Lillo, Est. Chieffi)

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con sentenza 27 luglio 1993 il Pretore di Cagliari – Sezione distaccata di Guspini – ha condannato Modesto Floris, con l’attenuante dei particolari valori morali e sociali alla pena di lire 100.000 di ammenda con i doppi benefici di legge per la contravvenzione prevista dall’art. 659 c.p.; perché, nella sua qualità di Parroco della chiesa di S. Barbara in Villacidro, faceva funzionare i rintocchi delle campane con orologio elettronico, di giorno e di notte ogni quarto d’ora, con rumori eccedenti i limiti di tolleranza acustica, così disturbando il riposo e le occupazioni delle persone. Nella motivazione il pretore, dopo aver dato atto che per lungo tempo gli abitanti della zona, riuniti in comitato, e le autorità ecclesiastiche e comunali avevano tentato di raggiungere un accordo tendente alla regolamentazione dell’uso delle campane della chiesa, ha osservato che l’accordo raggiunto tra Stato e Chiesa, pur prevedendo all’art. 1 del Concordato il riconoscimento alla Chiesa della potestà di regolamentare il libero esercizio del culto con norme proprie ed esclusive, non ha comportato la rinuncia da parte dello Stato alla tutela di beni giuridici primari, quali il diritto alla salute previsto dall’art. 32 della Costituzione. Pertanto, secondo il pretore, poiché dai numerosi testi esclusi era risultato che le campane della chiesa suonavano ogni quarto d’ora sia di giorno che di notte, emettendo rumori di intensità fastidiosa, nella fattispecie ricorrevano gli estremi della contravvenzione prevista dall’art. 659 c.p., in quanto tali suoni per la loro intensità e frequenza erano idonei a cagionare l’evento di disturbo del riposo e delle occupazioni delle persone.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore, che ne ha chiesto l’annullamento per violazione di legge e vizio logico della motivazione, deducendo i seguenti motivi.

Con il primo motivo il difensore ha lamentato la violazione dell’art. 2 dell’accordo tra Repubblica italiana e Santa Sede, approvato con L. n. 121/1985 in base al quale la chiesa ha il potere di regolamentare con proprie norme esclusive il pubblico esercizio del culto. Pertanto occorre fare riferimento alla normativa ecclesiastica per stabilire i limiti entro i quali gli organi della Chiesa Cattolica, in particolare i parroci, possono fare uso delle campane, la cui regolamentazione è determinata in modo esclusivo agli organi diocesani del luogo. Ne consegue che, secondo il difensore, l’abuso nel suono delle campane è ipotizzabile solo nel caso che vengano superati i limiti stabiliti da tale normativa.

La doglianza è infondata. Non vi è dubbio che l’art. 2 dell’accordo tra Stato Italiano e Santa Sede, approvato con L. n. 121/1985, ha riconosciuto alla Chiesa cattolica il potere di regolamentare in modo esclusivo il pubblico esercizio del culto; né può dubitarsi che l’uso delle campane può costituire un valido mezzo per l’esercizio del culto, in quanto utile per richiamare i fedeli alle funzioni religiose o per scandire alcune ore significative per l’espletamento di attività connesse al culto. Tuttavia è sempre necessario che l’uso delle campane, regolamentato dagli organi diocesani del luogo, si svolga nei limiti dell’attività connessa al culto, mentre al di fuori di tali limiti non può certo sostenersi che l’uso delle campane rientri nell’attività tutelata dall’accordo tra Stato e Santa Sede. Infatti, come giustamente ha rilevato il pretore, la stipula del Concordato non ha comportato una rinuncia tacita da parte dello Stato alla tutela di beni giuridici primari, quali il diritto alla salute previsto dall’art. 32 della Costituzione, ne consegue che non può invocarsi l’applicazione dell’art. 2 dell’accordo tra Stato e Santa Sede, né l’applicazione di regolamenti ecclesiastici locali, qualora le campane siano utilizzate in tempi e con modalità non attinenti all’esercizio del culto.

Con il secondo motivo il difensore ha lamentato il vizio logico della motivazione, deducendo che, poiché il pretore aveva affermato che la potenzialità lesiva dei suoni doveva essere valutata con criteri oggettivi, non era stato osservato tale parametro ella valutazione della prova in ordine al superamento dei limiti della normale tollerabilità, atteso che numerosi testi della difesa avevano riferito che il suono delle campane era piacevole o vi avevano fatto l’abitudine. Pertanto, secondo il difensore, doveva essere disposta una perizia al fine di accertare il livello sonoro dei suoni e consentire così una valutazione oggettiva della potenzialità offensiva di tali suoni.

Anche tale doglianza è infondata. é infatti consolidato orientamento di questa corte che ricorrono gli estremi della contravvenzione, prevista dall’art. 659 c.p., ogniqualvolta si verifichi un concreto pericolo di disturbo, che superi i limiti di normale tollerabilità, la cui valutazione deve essere effettuata con criteri oggettivi riferibili alla media sensibilità delle persone che vivono nell’ambiente, ove suoni e rumori vengono percepiti.

Ne consegue che non vi è alcuna necessità di ricorrere ad una perizia fonometrica per accertare l’intensità del suono, allorché il giudice, basandosi su altri elementi probatori acquisiti agli atti, si sia formato il convincimento che per le sue modalità di uso la fonte sonora emetta suoni fastidiosi di intensità tale da superare i limiti di normale tollerabilità.

Nel caso in esame il pretore, con ampia e circostanziata motivazione immune da vizi logici, ha ritenuto che il suono dell’orologio campanario della Chiesa di S. Barbara superasse i limiti di normale tollerabilità, disturbando in tal modo le occupazioni ed il riposo delle persone abitanti nel comune ed in zone limitrofe. In particolare il pretore ha fondato il proprio convincimento sui numerosi esposti presentati al sindaco ed alla USL da cittadini, riuniti in comitato, e sulle attendibili dichiarazioni di numerosi testi, dimoranti anche in luoghi distanti dal centro abitato, che hanno riferito del continuo fastidio provocato dal suono campanario definito martellante ed ossessivo, tanto che alcuni abitanti di Villacidro lamentavano insonnia a causa del rumore ed erano costretti ad usare farmaci per dormire (vedi in particolare il richiamo in motivazione della dichiarazione del teste Curridoni, medico presso il locale ambulatorio). Né il giudizio espresso dal pretore può essere considerato illogico e non aderente a criteri oggettivi per il fatto che altri testi della difesa hanno riferito di non aver ricevuto alcun disturbo per essersi abituati al suono campanario dell’orologio, definito da alcuni piacevole e di compagnia.

Infatti il suono di un orologio campanario, in funzione di giorno e di notte ogni quarto d’ora e con intensità tale da essere sentito in un vasto raggio del territorio, comporta per la sua frequenza e ripetitività un oggettivo disturbo alle occupazioni ed al riposo delle persone. Pertanto l’eventuale assuefazione di alcuni abitanti a tali suoni non esclude che per altri abitanti i suoni siano eccessivamente fastidiosi tanto da disturbarli nel loro riposo ed occupazione (vedi a tal proposito il richiamo in motivazione della dichiarazione della teste Casula di professione insegnante, il cui lavoro richiede concentrazione in ambiente tranquillo).

Con il terzo motivo il difensore ha denunciato l’erronea applicazione degli artt. 163 e 164 c.p. deducendo che il beneficio della sospensione condizionale non era stato richiesto e che l’imputato non aveva interesse da usufruirne.

Il motivo è fondato. Invero è consolidato orientamento di questa corte che l’imputato ha interesse di impugnare la sentenza con la quale gli è stata concessa la sospensione condizionale della pena e di ottenere la revoca di tale beneficio, qualora da esso possa derivargli, anziché un vantaggio, la lesione di un diritto o di un interesse giuridico. Nel caso in esame, poiché la concessione della sospensione condizionale della pena è ostativa, ricorrendone i presupposti previsti dall’art. 164 c.p., alla reiterazione del beneficio per altre due volte, ricorre l’interesse dell’imputato ad ottenere la revoca di tale beneficio, di cui peraltro lo stesso non chiese di usufruirne. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla concessione della sospensione condizionale della pena, che viene eliminata.

(omissis)