Sentenza 18 maggio 2007, n.11654
Corte di Cassazione. Sezione I Civile. Sentenza 18 maggio 2007, n. 11654: “Matrimonio concordatario e sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili”.
La Corte Suprema di Cassazione, Sezione I Civile
composta dai Sigg.ri Magistrati:
Dott. M.G. Luccioli – Presidente
Dott. F. Felicetti – Consiliere
Dott. P. Giuliani – Consigliere
Dott. M.R. San Giorgio – Consigliere
Dott. Carlo De Chiara – Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
– P.G., rappresentata e difesa, giusta procura a margine del ricorso, dall’avv. Goliardo Canonico ed elettivamente domicialiara presso lo studio dell’avv. Giuseppe dell’Erba in Roma, VIa Belsiana, n. 71
ricorrente
contro
– P.F., rappresentato e difeso, per procura in calce al controricorso, dall’Avv. Zenio Cattivera, presso il quale è elettivamente domiciliato in ROma, Via Cerreto di Spoleto, n. 24
controricorrente
avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce n. 462/03 depositata il 26 luglio 2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21 marzo 2007 dal Consigliere dott. Carlo De Chiara,
udito il controricorso dell’avv. Zentio Cattivera;
udito il P.M. nella persona del sostituto procuratore generlae dott. Pietro Abbritti, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Il sig. P.F., con citazione del febbraio 2002, ha chiesto alla Corte di appello di Lecce la declaratoria di efficacia nella Repubblica della sentenza ecclesiastica, passata in giudicato, dichiarativa della nullità del suo matrimonio con la sig.ra P. G. per esclusione della indissolubilità del vincolo.
La sig.ra P. si è opposta, eccependo il giudicato formatosi a seguito della sentenza di separazione personale dei coniugi, nonché la violazione del principio di ordine pubblico di tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole, essendo ella ignara, prima del matrimonio, della riserva mentale del marito sulla non indissolubilità del vincolo matrimoniale. Ha, inoltre, in via riconvenzionale subordinata, fatto richiesta di riconoscimento delle provvidenze economiche previste dall’art. 8, n. 2, dell’accordo di revisione dei patti lateranensi sottoscritto il 18 febbraio 1984 e ratificato e reso esecutivo con L. 25 marzo 1985, n. 121, nonché dall’art. 129 bis c.c..
La Corte di appello, con sentenza del 26 luglio 2003, ha accolto la domanda dell’attore e respinto la riconvenzionale della convenuta, osservando (per quanto qui ancora rileva):
che non sussisteva il prospettato contrasto di giudicati tra la sentenza di separazione dei coniugi e quella di delibazione della sentenza ecclesiastica, attesa l’autonomia dei due procedimenti, diversi per finalità, obiettivi, petitum e causa petendi;
che neppure sussisteva contrasto con i principi di tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole, dovendo ritenersi, sulla base di dichiarazioni rese dalla sig.ra P. nel processo ecclesiastico, che la riserva mentale del sig. P. le fosse nota prima della celebrazione del matrimonio;
che la richiesta di provvedimenti economici provvisori ai sensi dell’art. 8, n. 2, del richiamato accordo del 1984 era da respingere per difetto, quantomeno, del requisito del periculum in mora, e che quella relativa all’indennità di cui all’art. 129 bis c.c. era inammissibile, dovendo essere rivolta al tribunale ordinario.
Avverso tale sentenza ricorre la sig.ra P. per quattro motivi, cui resiste il sig. P. con controricorso. La ricorrente ha anche depositato memoria.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione dell’art. 2909 c.c. e vizio di motivazione, si sostiene che la sentenza impugnata avrebbe violato il giudicato, implicito in quello di separazione personale dei coniugi, sulla validità del vincolo matrimoniale, dato che l’esistenza ed efficacia di tale vincolo costituiscono presupposto logico e giuridico della pronuncia di separazione e che il giudicato copre il dedotto e il deducibile.
Ciò, ad avviso della ricorrente, è particolarmente vero dopo la modifica del concordato del 1929 tra lo Stato italiano e la Santa Sede mediante il richiamato accordo del 1984, che ha abolito la riserva di giurisdizione dei tribunali ecclesiastici in materia di nullità del matrimonio concordatario, rendendo così deducibile la relativa questione davanti ai giudici dello Stato.
1.1. – Il motivo è infondato.
Questa Corte, infatti, già da epoca risalente ha avuto modo di chiarire che tra giudizio di nullità del matrimonio e giudizio di separazione non sussiste un rapporto di necessaria pregiudizialità, perchè prima della dichiarazione di nullità, e anche in pendenza del relativo processo, i coniugi continuano ad essere trattati dalla legge come tali, con reciproci diritti e doveri e le relative azioni per il loro adempimento, e la questione della relazione fra il giudizio di nullità e quello di separazione deve essere risolta nel senso dell’autonomia dei due procedimenti (cfr., tra le altre, Cass. 1093/1967, 5976/1981, nonché Sez. Un. 2602/1974, le quali hanno conseguentemente escluso la necessità della sospensione del processo di separazione in pendenza di quello di nullità o anche – come puntualizza la richiamata Sez. Un. 2602/1974 – di una mera pronuncia di separazione temporanea ai sensi dell’art. 126 c.c.).
Del resto questa Corte ha anche avuto modo di chiarire, più di recente, che – pur dopo la modifica del concordato del 1929 tra lo Stato italiano e la Santa Sede mediante il già richiamato accordo del 1984, con la conseguente deducibilità della questione di nullità del matrimonio concordatario nel giudizio di cessazione dei suoi effetti civili – lo stesso giudicato formatosi in quest’ultimo giudizio non preclude la dichiarazione di efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, in quanto tale giudicato non spiega efficacia sul punto della esistenza e validità del vincolo matrimoniale (salvo che la relativa questione sia stata espressamente sollevata dalle parti e dunque decisa necessariamente con efficacia di giudicato – trattandosi di questione di status – ai sensi dell’art. 34 c.p.c.), le quali costituiscono un presupposto della sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, ma non formano oggetto, nel relativo giudizio, di specifico accertamento suscettibile di dar luogo al formarsi di un giudicato (Cass. 4202/2001; in precedenza, ma sempre in epoca successiva al richiamato accordo del 1984, anche Cass. 12144/1993 si era espressa nel senso della delibabilità della sentenza ecclesiastica di nullità in presenza di giudicato di cessazione degli effetti civili).
2. – Con il secondo motivo, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, viene censurata la esclusione della contrarietà della delibanda sentenza ecclesiastica all’ordine pubblico interno sotto il profilo della violazione dei principi della buona fede e dell’affidamento incolpevole.
La ricorrente non contesta il principio di diritto (del resto costante nella giurisprudenza di legittimità) cui ha dichiarato di attenersi la Corte di appello, è cioè che i principi di tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole non sono violati allorché la riserva mentale di uno degli sposi in ordine all’esclusione di un bonum matrimonii (nella specie il bonum dell’indissolubilità del vincolo) fosse conosciuta o conoscibile (applicando l’ordinaria diligenza) dall’altro. Ritiene, tuttavia, che in concreto la Corte di merito abbia fatto malgoverno di tale principio nell’osservare che (torna qui utile la riproposizione testuale del passo della sentenza criticato dalla ricorrente) “dall’interrogatorio reso dalla P. al giudice istruttore del Tribunale Ecclesiastico il 24 maggio 1996 (…) emerge che l’esclusione dell’indissolubilità del sacro vincolo da parte dell’attore era conosciuta o, quanto meno, conoscibile da parte della convenuta. Costei, al quesito su quali fossero le convinzioni dell’attore, all’epoca delle nozze, circa il divorzio e l’indissolubilità del matrimonio, si è così testualmente espressa:
Non ricordo di aver mai avuto scambi di idee con F. circa le sue idee sul divorzio. Se debbo esprimere una impressione, penso che ritenesse che una coppia in crisi dovesse fare ogni sforzo per salvare il matrimonio; solo quando ogni tentativo fosse andato a vuoto, fosse possibile il ricorso al divorzio, in tal modo rendendo palese che, sia pure per sua personale “impressione”, si era resa conto che il futuro sposo non era alieno, quale extrema ratio, dal ricorrere alla possibilità di chiedere la declaratoria di cessazione degli effetti civili nascenti dalla trascrizione del matrimonio concordatario prevista dalla L. n. 898 del 1970″.
Nel ricorso si critica tale ragionamento della Corte di appello perchè:
fa confusione tra esclusione dell’indissolubilità del vincolo e possibilità di richiederne la mera cessazione degli effetti civili, la quale, invece, non intacca la validità sacramentale del matrimonio;
non basta sapere, o addirittura supporre (la ricorrente nel processo ecclesiastico aveva parlato di una sua “impressione”), che il futuro coniuge può anche seguire ideologie favorevoli al divorzio, per essere definiti consapevoli di una intenzione concretamente simulatoria dello stesso con riferimento specifico al suo matrimonio; intenzione che, del resto, come risulta dagli stessi verbali del processo ecclesiastico prodotti dal P., quest’ultimo aveva escluso di aver confidato alla sposa.
2.1. – Il motivo non può essere accolto.
E’ vero che l’esclusione del bonum sacramenti, che presuppone la riserva di riprendere la piena libertà da ogni legame, con la connessa possibilità di celebrare nuove nozze, non si identifica, concettualmente, con la riserva di ricorrere al divorzio civile, che di per sé non tocca direttamente il vincolo matrimoniale canonico; ma è pur vero che (come riconosciuto anche nella giurisprudenza ecclesiastica; cfr. Trib. regionale Vicariato Lazio 13 febbraio 1996) è giustificata la presunzione che chi si riserva di divorziare abbia appunto l’intenzione di riprendere pienamente la sua libertà (salva, ovviamente, la prova contraria, di cui però nella specie non si discute), onde, di fatto, i due accertamenti possono ben coincidere.
Ed appunto a ciò ha inteso far riferimento la Corte di appello nella sentenza impugnata.
Per il resto, il motivo contiene inammissibili censure di merito sulla valutazione del materiale probatorio compiuta dalla Corte di appello (la quale non ha mancato neppure di considerare la tesi della ricorrente secondo cui il P., nell’ipotizzare lo scioglimento del matrimonio, si riferisse a tutti i matrimoni tranne che al suo, valutandola come non plausibile).
3. – Con il terzo e il quarto motivo, da esaminare congiuntamente data la loro connessione, la ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia rigettato la sua domanda riconvenzionale, riguardante le provvidenze economiche in suo favore, escludendo il periculum in mora senza considerare le sue condizioni economiche e la sua situazione di bisogno documentata in atti (terzo motivo), e che abbia dichiarato inammissibile la domanda volta al conseguimento dell’indennità prevista dall’art. 129 bis c.c. sul rilievo che la domanda andava proposta davanti al tribunale, mentre invece, ai sensi dell’art. 8, n. 2, del più volte richiamato accordo del 1984, alla corte di appello compete il riconoscimento delle provvidenze economiche in via provvisoria in sede di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio (quarto motivo).
3.1. – I due motivi sono inammissibili, avendo questa Corte già avuto occasione di chiarire che il provvedimento con il quale la corte d’appello, chiamata a delibare la sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, disponga, a norma dell’art. 8, n. 2, dell’accordo del 1984, misure economiche provvisorie a favore di uno dei coniugi il cui matrimonio sia stato dichiarato nullo, rientra tra i provvedimenti aventi funzione strumentale e natura anticipatoria, con la conseguenza che avverso detto provvedimento interinale, per sua natura inidoneo a conseguire efficacia di giudicato (sia dal punto di vista formale sia dal punto di vista sostanziale), non è esperibile il ricorso per cassazione, ammissibile soltanto nei confronti di provvedimenti giurisdizionali che siano definitivi ed abbiano carattere decisorio, ossia attitudine ad incidere con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale (Cass. 17535/2003). Le medesime considerazioni valgono, evidentemente, anche per i provvedimenti che, come nella specie, negano l’invocata tutela provvisoria.
4. – Il ricorso va pertanto respinto. La natura e i termini della controversia giustificano la compensazione tra le parti delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate tra le parti le spese processuali.
Autore:
Corte di Cassazione - Civile
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Matrimonio concordatario, Nullità, Separazione personale, Coniugi, Sentenza civile passato in giudicato, Delibazione della sentenza ecclesiastica
Natura:
Sentenza